Traduzione da Strategic Culture, 9 agosto 2021.

"Il declino dell'Occidente è iniziato con la caduta del comunismo nel 1989", scrive il filosofo politico John Gray. "Le nostre élite trionfanti hanno perso il senso della realtà, e in un susseguirsi di tentativi di plasmare il mondo a loro immagine [... hanno portato al] risultato che gli stati occidentali sono più deboli e più in pericolo di quanto lo fossero stati in un qualsiasi momento durante la guerra fredda".
La decomposizione dell'Occidente, sottolinea Gray, non è solo un fatto geopolitico; è un fenomeno culturale e intellettuale. I paesi occidentali ora albergano consistenti correnti di opinione che considerano la civiltà occidentale come una forza unicamente capace di produrre danni. In questa visione superliberista, fortemente rappresentata negli ambienti dell'istruzione superiore, i valori occidentali di libertà e di tolleranza sono ora intesi come poco più che un codice per la dominazione razziale bianca.
Se le élite occidentali siano ancora in grado di sottoporre a qualche cambiamento il loro zeitgeist sotto vuoto spinto è discutibile. Piuttosto l'approccio sottostante e profondamente moraleggiante rappresentato da questo atteggiamento di liberismo assoluto limita il discorso a posizioni morali semplicistiche, che vengono considerate evidenti per contro proprio e moralmente prive di macchia. A discutere i pro e i contro della realpolitik, oggi come oggi ci si avvicina a intraprendere qualche cosa di proibito e in concreto non si affrontano in modo serio i mutamenti nel paradigma strategico globale o le sfide di più ampia portata che esso si trova davanti. Perché affrontarli in modo serio richiederebbe un realismo e una comprensione strategica che i principali opinion leader occidentali rifiutano bollandola come disfattismo, se non come immoralità. La élite cittadina statunitense ha convertito l'appartenenza culturale in privilegio economico e viceversa. Essa controlla quello che Jonathan Rauch definisce nel suo nuovo libro The Constitution of Knowledge "il regime epistemico", la grossa rete di accademici e di analisti che determinano quale sia la verità. Soprattutto essa possiede il potere di consacrazione: indica cosa merita di essere riconosciuto e ben considerato e ciò che merita di essere disdegnato e respinto.
Per dirlo esplicitamente, questa dinamica è sulla buona strada per diventare la più grande linea di frattura nella politica globale, come lo è già nella politica degli Stati Uniti e dell'Unione Europea. Sta peggiorando sia negli Stati Uniti che in Europa, e si estenderà alla geopolitica. In un certo senso vi è già arrivata. "Non è quello che vuoi; ma sta succedendo comunque". E se la lunga deriva della storia vale in qualche modo come guida, porterà un aumento delle tensioni e al rischio di guerre.
Ecco un esempio (tratto dalla rubrica quotidiana di Ishaan Tharoor sul Washington Post):
 
È una delle convergenze meno sorprendenti del mondo. Il conduttore di Fox News Tucker Carlson -probabilmente la voce più influente della destra americana, a parte un certo ex presidente- si trova in Ungheria. Ogni episodio del suo show in prima serata questa settimana sarà trasmesso da Budapest.
Carlson, come indicato il mese scorso dal mio collega Michael Kranish in un profilo approfondito, è diventato la "voce del malcontento bianco"... il più noto sostenitore di un orientamento caratteristico dell'estrema destra -la politica nativista- reso popolare da Trump e ora ulteriormente pompato da un gruppo di esperti e di politici che stanno facendosi largo con decisione nel partito repubblicano... Sono antiimmigrazionisti arrabbiati, scettici in materia di libero scambio e di potere delle multinazionali... Adottano un tipo di nazionalismo a sfondo religioso e implicitamente razzista e portano avanti una guerra culturale implacabile contro quelle che considerano delle minacce, il multiculturalismo, il femminismo, i diritti LGBT e il liberalismo in generale.
 
Il conduttore di Fox News non è certo l'unico ameriKKKano di destra a considerare Orban come un esempio. In un discorso recente J.D. Vance, un capitalista d'assalto che sta facendo campagna su una piattaforma popolare e nazionalista per le primarie repubblicane per il Senato in Ohio, ha deriso la "sinistra senza figli" negli Stati Uniti bollandola come manovalanza a servizio del "crollo della civiltà". Poi ha presentato consegne in stile Orban: In Ungheria "offrono prestiti alle coppie appena sposate, che a un certo punto vengono in seguito condonati se quelle coppie sono effettivamente rimaste insieme e hanno avuto figli", ha detto Vance. "Perché non possiamo farlo qui? Perché non possiamo effettivamente promuovere la formazione della famiglia"?
Il nostro punto qui non è politico. Non riguarda i meriti percepiti dal Washington Post o da Orbàn. Si tratta di una questione sulla alterità; è il rifiuto di ammettere che l'"altro" possa avere una visione e un'identità alternativa, anche se non si è d'accordo con essa e non se ne accettano le premesse. In breve si tratta dell'assenza di empatia.
La "classe creativa" (espressione coniata da Richard Florida) non si era prefissata di essere una classe dominante e di élite, sostiene l'editorialista liberale del NY Times David Brooks nel suo Bobos in Paradise. Semplicemente, è andata così. La nuova classe avrebbe dovuto favorire i valori progressisti e la crescita economica. Invece ha generato risentimento, alienazione e infiniti malfunzionamenti sul piano politico.
I BoBo, i borghesi bohemienne, non provenivano necessariamente da ambienti facoltosi e di questo erano orgogliosi; si erano assicurati un posto in università esclusive e nel mercato del lavoro grazie alla grinta e all'intelligenza di cui avevano dato prova fin da tenera età, credevano. Ma dal 2000 in poi, l'economia informatizzata e il boom della tecnologia hanno preso a inondare di denaro i più istruiti.
The Rise of the Creative Class di Richard Florida elogiava i benefici economici e sociali che la classe creativa aveva recato, e con l'espressione "classe creativa" intendeva più o meno i BoBo di cui sopra, così definiti in precedenza da Brooks (i bohemienne borghesi, bohemienne perché venivano dalla narcisistica generazione di Woodstock, e borghesi perché dopo Woodstock questa classe 'liberale' si era poi evoluta nelle alte sfere mercantili dei paradigmi del potere culturale, aziendale e di Wall Street).
Florida di questa classe era un campione. E Brooks ammette che anch'egli la vedeva positivamente: "La classe istruita non corre il rischio di diventare una casta isolata", scrisse nel 2000. "Chiunque abbia la laurea, il lavoro e le competenze culturali giuste può entrare a farne parte".
Quella si è rivelata una delle frasi più ingenue che abbia mai scritto, ha ammesso Brooks.
Ogni tanto nasce si afferma una classe rivoluzionaria che butta all'aria le vecchie strutture. Nel XIX secolo era stata la volta della borghesia, la classe mercantile capitalista. Nell'ultima parte del XX secolo, quando si è affermata l'economia dell'informazione è la classe media industriale si è svuotata è stato il turno della classe creativa, sostiene Brooks.
"Negli ultimi due decenni, la rapida crescita del potere economico, culturale e sociale di [questa classe] ha prodotto un contraccolpo globale che sta diventando sempre più odioso, squilibrato e apocalittico. Eppure questo contraccolpo non è privo di un fondamento. La classe creativa, o comunque la si voglia chiamare, si è coalizzata alla maniera della casta dei bramini in un'élite verticistica isolata ed endogamica che domina la cultura, i media, l'educazione e la tecnologia".
Questa classe, che stava accumulando enormi ricchezze e si stava raccogliendo nelle grandi aree metropolitane d'AmeriKKKa, ha creato disuguaglianze enormi all'interno delle città poiché i prezzi elevati degli alloggi ne hanno allontanato le classi medie e quelle inferiori. "Nell'ultimo decennio e mezzo", ha scritto Florida, "nove aree metropolitane statunitensi su dieci hanno visto decrescere il numero di abitanti afferenti alla classe media. Mentre i centri vengono svuotati, i quartieri periferici in tutta l'AmeriKKKa si stanno dividendo in grandi zone dove si concentrano gli svantaggiati e zone molto più piccole dove si concentrano i ricchi." Questa classe è arrivata anche a dominare i partiti di sinistra in tutto il mondo, partiti che prima erano espressione della classe operaia. "Abbiamo spinto questi partiti ancor più a sinistra sulle questioni culturali (privilegiando il cosmopolitismo e le questioni di identità), mentre indebolivamo o rovesciavamo le tradizionali posizioni del Partito Democratico in materia di traffici commerciali e di sindacati. Mentre le persone della classe creativa entrano nei partiti di sinistra, le persone della classe operaia tendono ad andarsene".
Queste differenze culturali e ideologiche sono polarizzanti e ora si sovrappongono con precisione alle differenze economiche. Nel 2020 Joe Biden ha vinto in appena cinquecento contee, che però nel loro complesso rappresentano il 71% dell'economia ameriKKKana. Trump, al contrario, ha vinto in più di duemilacinquecento contee. Solo che queste duemilacinquecento contee producono tutte insieme solo il 29% del PIL. Ecco perché i democratici deridono i repubblicani che rifiutano il vaccino Covid tacciandoli di parassiti: sono le contee a maggioranza democratica quelle che pagano, e in misura schiacciante, il conto imposto dall'epidemia. Un'analisi di Brookings e dello Wall Street Journal ha messo in evidenza che appena tredici anni fa le aree democratiche e repubblicane erano quasi alla pari in materia di prosperità e di reddito. Adesso si stanno separando, e sempre più si separeranno.
I repubblicani e i democratici in USA parlano come se vivessero in due mondi diversi. Ed è così.
"Mi sono sbagliato della grossa sui BoBo", afferma Brooks. "Non avevo previsto con quanta aggressività ci saremmo mossi per affermare il nostro dominio culturale, il modo in cui avremmo cercato di imporre valori d'élite attraverso i nostri codici di linguaggio e di pensiero. Ho sottovalutato il successo che la classe creativa avrebbe avuto nell'elevare barriere intorno a sé a tutela dei propri privilegi economici... E ho sottovalutato la nostra intolleranza nei confronti delle ideologie diverse dalla nostra".
"Quando si dice a consistenti settori del paese che le loro voci non sono degne di essere ascoltate, essi finiranno col reagire male; e infatti hanno reagito male. La classe operaia oggi rifiuta con veemenza non solo la classe creativa, ma anche il regime epistemico che essa controlla... Questo dominio ha però generato insofferenza anche fra gli esponenti della sua nuova generazione.
"I membri della classe creativa si sono adoperati per far entrare i loro figli in buoni college. Ma hanno anche alzato i costi dei college e i prezzi delle abitazioni urbane al punto che adesso i loro figli lottano sotto un indebitamento che li schiaccia. E da qui viene l'insofferenza che ha spinto Bernie Sanders negli Stati Uniti, Jeremy Corbyn in Gran Bretagna, Jean-Luc Mélenchon in Francia e così via.
"Il malcontento giovanile ha in parte le proprie radici nell'economia, ma in parte è guidato dall'indignazione sul piano morale. I più giovani guardano le generazioni che li hanno preceduti e vedono persone che parlano di uguaglianza ma che in concreto sono responsabili della disuguaglianza. Gli appartenenti alle giovani generazioni considerano il periodo che va da Clinton a Obama -gli anni formativi per la sensibilità della classe creativa- come il periodo in cui il neoliberismo ha raggiunto il picco della bancarotta".
L'analogia con la Russia negli anni 1840 e 1860, con la radicalizzazione delle nuove generazioni figlie di genitori liberali, è appropriata.
Il punto, sul piano geo-politico più ampio, è che se Orbàn -leader di uno stato dell'Unione Europea- viene bollato in modo tanto perentorio come un trumpista e come un bigotto nativista e arretrato, possiamo facilmente prevedere la stessa assenza di empatia e di comprensione per altri leader mondiali, che siano Xi, Raisi o Putin.
Abbiamo a che fare con l'ideologia di un'aspirante classe dirigente che mira ad accumulare ricchezza e posizioni, mentre ostenta credenziali progressiste e globaliste immacolate. Le schermaglie culturali irrisolvibili e una crisi epistemica in cui fondamentali questioni oggettive e scientifiche vengono politicizzate in sostanza non sono altro che un tentativo di mantenere il potere da parte di coloro che si trovano al vertice di questa "classe creativa"; una stretta cerchia di oligarchi molto ricchi.
Anche così, si fanno pressioni sulle scuole perché insegnino un'unica versione della storia, le aziende private licenziano i dipendenti per le loro opinioni non conformi, e le istituzioni culturali agiscono come guardiane dell'ortodossia. Luogo principe per queste pratiche sono gli Stati Uniti, che si ostinano a proclamare la peculiarità della propria vicenda storica e a predicare le proprie divisioni come fonte di emulazione per ogni società contemporanea. In gran parte del mondo, il movimento woke viene considerato con indifferenza, o -come nel caso della Francia dove la denuncia è venuta da Macron- viene accusato di "razzializzare" la società. Ma ovunque questa agenda ameriKKKana prevalga, la società non è più liberale in nessun senso storicamente riconoscibile. Se liberato dalla sua aura mitica, lo stile di vita liberale può essere visto essenzialmente come un incidente storico.
Quale incidente?
"Nel 2007, ad Alan Greenspan, l'ex presidente della Federal Reserve degli Stati Uniti, fu chiesto quale candidato avrebbe sostenuto nelle imminenti elezioni presidenziali. "Siamo fortunati che, grazie alla globalizzazione, le decisioni politiche negli Stati Uniti sono state in gran parte sostituite dalle forze del mercato globale", rispose a fronte della scelta tra Barack Obama e John McCain. "Sicurezza nazionale a parte, non fa quasi nessuna differenza chi sarà il prossimo presidente. Il mondo è governato dalle forze del mercato".
Per inciso, sono state le politiche di Greenspan che hanno spinto i BoBo a diventare una élite globale, e che li hanno resi favolosamente ricchi.
"La condiscendenza di Greenspan ha rappresentato l'apice del neoliberismo, un termine spesso frainteso e abusato ma che rimane il migliore per indicare in modo stringato le politiche che hanno plasmato l'economia globale per come la conosciamo: privatizzazioni, taglio delle imposte, controllo dell'inflazione e legislazione antisindacale. Invece di essere soggette a pressioni democratiche -come le elezioni- queste misure sono state postulate come irreversibili. "Sento la gente dire che dobbiamo fermarci e discutere della globalizzazione", ha dichiarato Tony Blair nel suo discorso alla conferenza del Partito Laburista del 2005: "Si potrebbe anche discutere se l'autunno debba seguire l'estate".
Ma si è trattato di certezze illusorie. "Ho trovato un difetto [nella mia ideologia]", disse Greenspan a un'audizione del Congresso durante la grande crisi finanziaria del 2008. "Non so quanto sia significativo, quanto sia permanente."