Traduzione da Strategic Culture, 26 febbraio 2024.

La duplice strategia dello stato sionista in Libano consiste nel fare pressione attraverso incursioni dirette per incutere timore nella popolazione generale, e nel dispiegare al contempo pressioni diplomatiche per allontanare Hezbollah non solo dal confine, ma anche dalle regioni oltre il fiume Litani (circa 23 km a nord).
Solo che Hezbollah non si muove.
Resiste a piè fermo: non intende allontanarsi dalle regioni del sud che sono la sua culla storica e si rifiuta di discutere la questione.
"Se questa minaccia non sarà eliminata per via diplomatica non esiteremo a intraprendere un'azione militare", insistono ripetutamente i ministri dello stato sionista. Un sondaggio del quotidiano dello stato sionista Ma'ariv ha mostrato che il 71% dei cittadini ritiene che lo stato sionista dovrebbe lanciare un'operazione militare su larga scala contro il Libano per tenere Hezbollah lontano dal confine. Ancora una volta, gli Stati Uniti accettano l'idea che lo stato sionista debba organizzare un'operazione militare in Libano.
Il coordinatore speciale degli Stati Uniti Amos Hochstein, pur sottolineando l'assoluta necessità che i residenti facciano ritorno alle loro case nel nord dello stato sionista, afferma che gli Stati Uniti stanno comunque cercando di mantenere le ostilità in Libano al livello più basso possibile. Ha sottolineato che
Quello che stiamo cercando di fare è di assicurarci di mantenere gli scontri al livello più basso possibile e di lavorare su soluzioni durature che possano portare alla cessazione delle ostilità. Ci sarà molto da fare, sia per costruire le forze armate libanesi che per rimettere in sesto l'economia del Libano meridionale. Questo richiederà il sostegno di una coalizione internazionale, non solo degli Stati Uniti.
In parole povere: Hezbollah ha creato una zona esposta al fuoco che è una zona cuscinetto all'interno dello stato sionista e che si estende per oltre cento chilometri, penetrando in profondità per cinque - dieci chilometri. Lo stato sionista vuole tornare a controllare questa zona cuscinetto e ora insiste per averne invece una propria, fino al cuore del Libano, per "rassicurare" i suoi abitanti di confine che stanno tornando alle loro case: saranno al sicuro.
Hezbollah si rifiuta di cedere un centimetro mentre la guerra a Gaza continua, e le due questioni finiscono per diventare una sola.
Netanyahu ha detto tuttavia chiaramente che la guerra a Gaza deve continuare -e sarà lunga- finché tutti gli obiettivi dello stato sionista (probabilmente irrealizzabili) non saranno raggiunti. Solo che la questione dei cittadini sionisti sfollati sta diventando importante nell'immediato. La tensione in tutta la regione è alta e sta crescendo, mentre si avvicina il Ramadan e si profila un'incursione dello stato sionista a Rafah.
I media sionisti riferiscono che 
I funzionari statunitensi temono che il Ramadan possa diventare una "tempesta perfetta", portando al deflagrare di un conflitto regionale.
La totale condiscendenza di Netanyahu nei confronti dei suoi partner di coalizione di estrema destra riguardo all'accesso degli arabi cittadini dello stato sionista al Monte del Tempio, ovvero al complesso di Al Aqsa, durante il Ramadan ha allarmato i funzionari statunitensi, anche se questo è solo uno dei tanti fattori che alimentano il timore che una serie di tendenze preoccupanti possa concretizzarsi e causare tensioni in Medio Oriente nelle prossime due settimane.
In questo momento è in corso un breve momento di calma, con i negoziatori per gli ostaggi che si riuniscono al Cairo e gli Stati Uniti che fanno tutto il possibile perché si arrivi a un sostanziale cessate il fuoco.
Solo che prima o poi lo stato sionista inizierà un'operazione militare in Libano, operazione che in un certo senso è già in corso. Il governo sionista si sente obbligato a cercare il modo di ripristinare la deterrenza. Il ministro Smotrich ha detto che questo obiettivo, in ultima analisi, è più importante anche della liberazione degli ostaggi.
La Resistenza potrebbe riconfigurarsi in vari modi, oltre che seguendo quello di Hezbollah, nel momento in cui lo stato sionista prenderà l'iniziativa in Libano; gli alleati della Resistenza in Iraq potrebbero riprendere a colpire le basi statunitensi, la Siria potrebbe assumere un ruolo più importante e le forze Houthi potrebbero alzare il livello degli attacchi alle navi dello stato sionista, statunitensi e britanniche.
Ed ecco il paradosso: la "soluzione" su cui gli Stati Uniti fanno affidamento per arginare la violenza, e che è rappresentata dalla deterrenza statunitense, un deterrente non lo è più. L'atteggiamento nei confronti della "deterrenza" statunitense tra le forze della Resistenza ha subito uno stravolgimento totale; c'è stato un cambiamento nelle tattiche cui la coscienza occidentale non ha prestato attenzione sufficiente, sempre che si sia degnata di farlo.
Sergei Witte, storico militare, ha descritto in poche parole la questione:
Per cominciare, bisogna capire la logica dei dispiegamenti strategici statunitensi. Gli USA (e la NATO) hanno fatto un uso generoso di uno "strumento" di deterrenza noto colloquialmente come Tripwire Force. Si tratta di una forza sottodimensionata e dispiegata in zone di potenziale conflitto, con l'obiettivo di dissuadere dalla guerra indicando che gli USA sono intenzionati a rispondere.
Un tripwire, un filo di innesco, può presentare degli inconvenienti. Sebbene l'idea sia quella delle deterrenza, nelle mani dei falchi sionisti e statunitensi contro l'Iran queste basi sottodimensionate e vulnerabili si trasformano da deterrente a esche, piazzate apposta perché qualche grosso pesce più o meno iraniano vi abbocchi; ed ecco servita ai falchi la tanto desiderata guerra con l'Iran. Ecco perché le forze statunitensi rimangono in Siria e in Iraq. Quello della "lotta all'ISIS" è sostanzialmente un pretesto.
Il problema, e in effetti anche il limite di questi schieramenti avanzati ridotti all'osso, è che sono troppo piccoli per scoraggiare in modo credibile un attacco, ma abbastanza grandi da invitare qualcuno ad attaccare, magari le irate forze della milizia irachena infuriate per i massacri di Gaza.
Hochstein ci dice che il piano degli Stati Uniti è quello di "gestire" i conflitti (Gaza, Cisgiordania e Libano) mantenendo lo scontro al livello più basso possibile. Eppure a ben vedere gli attacchi di rappresaglia contro le milizie -la risposta standard, nella cassetta degli attrezzi statunitense- sono relativamente inutili per contenere la violenza; la provocano, piuttosto che scoraggiarla. Come conclude Witte:
Vediamo queste dinamiche in atto in un Medio Oriente in cui la perdita di efficacia del potere deterrente degli USA potrebbe presto costringerli a iniziative di maggiore aggressività". Ecco perché le voci che invocano la guerra con l'Iran, per quanto folli e pericolose possano essere, hanno in realtà colto un aspetto cruciale del calcolo strategico statunitense. Le misure limitate non bastano più per intimidire, e questo può togliere dalle alternative qualsiasi scelta diversa da un coinvolgimento a tutti gli effetti.
È a questo punto che l'Iran e la Resistenza giocano il loro ruolo paradossale. Gli Stati Uniti (nonostante i fanatici neocon) non vogliono una guerra di vasta portata, e nemmeno l'Iran. Quest'ultimo, tuttavia, sembra capire che gli attacchi delle milizie irachene alle basi statunitensi avranno anche l'intenzione di mettere sotto pressione gli Stati Uniti affinché si ritirino dall'Iraq, ma finiscono al contrario per fornire ai neoconservatori il pretesto -l'Iran come "testa del serpente"- per spingere a ostilità a tutto campo contro la Repubblica Islamica.
L'interesse dell'Iran e dell'Asse è duplice: primo, mantenere il potere di calibrare con finezza l'intensità del conflitto; secondo, mantenere l'iniziativa nell'escalation. Come nota Al-Akhbar:
La Resistenza, con tutte le sue ramificazioni, non ha intenzione di cedere a condizioni dettate dallo stato sionista suscettibili di aprire la strada a un cambiamento importante nell'equazione che protegge il Libano. Qualsiasi accordo successivo dipenderà dal posizionamento che la Resistenza sceglierà per preservare le sue capacità di deterrenza e di difesa.
Quindi, in Iraq, il capo della Forza al Quds all'interno dell'IRGC ha consigliato alle milizie irachene di cessare il fuoco, per il momento. Questa iniziativa è comunque nell'interesse del governo iracheno, che vuole che tutte le forze statunitensi lascino il paese.
L'armamentario del tripwire schierato dall'Occidente è un classico esempio di paradosso strategico. Un vantaggio di deterrenza che svapora rischia di costringere gli Stati Uniti a un massiccio ed eccessivo dispiegamento militare (anche quando non ne avrebbero l'intenzione). Ed è così che gli USA si trovano sotto scacco matto. Il loro pezzo, bloccato su una casella, è il "Re" sionista; solo che ogni potenziale mossa successiva promette solo di peggiorare la situazione di partenza.
Inoltre, gli Stati Uniti sono messi in scacco matto dal blocco cognitivo che li porta a non interiorizzare del tutto i concetti con cui il generale Qassem Suleimani ha operato mutamenti nella deterrenza già sperimentati nel 2006 durante la guerra dello stato sionista contro Hezbollah.
Lo stato sionista, come gli Stati Uniti, gode da tempo della superiorità aerea. Come si è comportata la Resistenza per far fronte a questa situazione? Una delle inziative è stata quella di trincerare forze, missili e tutti i mezzi strategici a una profondità che nemmeno le bombe per distruggere i bunker riescono a raggiungere. I lanciamissili possono emergere dal suolo, sparare e tornare a esservi riparati. Tutto in novanta secondi.
Altra iniziativa, l'approntamento di una costellazione di combattenti inquadrati in unità autonome addestrate per combattere ininterrottamente secondo un piano prestabilito per un anno o anche due, anche se tutte le comunicazioni con il quartier generale dovessero interrompersi del tutto.
Nel 2006 Hezbollah capì che la capacità della popolazione civile dello stato sionista di tollerare quotidiani e intensi bombardamenti missilistici era molto limitata, e che lo stato sionista non aveva munizioni sufficienti a una campagna di bombardamenti aerei di lunga durata. In quella guerra, Hezbollah continuò a lanciare razzi e missili continuamente, per trentatré giorni. Fu sufficiente; lo stato sionista cercò di porre fine alla guerra. La lezione è che le guerre di oggi sono guerre di logoramento, come nel caso dell'Ucraina, più che campagne di breve durata.
Così, la Resistenza cerca di mantenere il controllo sull'intensità dello scontro al fine di distruggere lo stato sionista, mentre l'esecutivo sionista vuole passare direttamente alla sua versione del Giorno del Giudizio. L'incapacità di interiorizzare le implicazioni di questa nuova guerra asimmetrica ideata dal generale Suleimani -l'arroganza gioca un ruolo importante, in questo- spiega come mai gli Stati Uniti possano essere così ottimisti nei confronti dei rischi che corrono, sia essi stessi che lo stato sionista. Sono rischi che ad altri sembrano ovvi. Gli ufficiali addestrati dalla NATO semplicemente non riescono a concepire come una potenza militare come quella sionista non riesca a prevalere su formazioni di milizia come Hezbollah e gli Houthi. Né riescono a capire come delle tribù di straccioni possano prevalere in un grande scontro bellico navale.
Ma basta ricordare tutti gli "esperti" che avevano previsto che Hamas sarebbe stato schiacciato nel giro di pochi giorni dalla macchina militare dello stato sionista, infinitamente più pesante...