Traduzione da Strategic Culture, 7 ottobre 2024.

John Kerry ha detto con chiarezza la scorsa settimana al World Economic Forum come stanno le cose: "Per quanto riguarda la nostra facoltà di far sparire [la disinformazione] il nostro Primo Emendamento rappresenta un ostacolo importante".
Tradotto: governare è tutta questione di controllo della narrazione. Kerry formula in questo modo la soluzione che l'"Ordine internazionale" sarebbe intenzionato ad applicare al fenomeno sgradito di un populismo incontrollato e di un potenziale leader che parla con la voce del popolo; insomma, la "libertà di parola" è inaccettabile per le prescrizioni con cui concorda una inter-agenzia che altro non è che il distillato istituzionalizzato dell'"ordine internazionale".
Eric Weinstein chiama questa situazione l'indebolimento: Il primo emendamento, il genere, il merito, la sovranità, la privacy, l'etica, il giornalismo investigativo, i confini, la libertà... la Costituzione? Tutto da buttar via?
La narrazione della realtà di oggi sarebbe che il lancio da parte dell'Iran il 1 ottobre 2024 di duecento missili balistici -centoottantuno dei quali hanno raggiunto lo stato sionista- sarebbe stato arginato dai sistemi di difesa missilistica sionisti Iron Dome e Arrow, tant'è che l'attacco non ha fatto vittime. È stato "sconfitto e senza conseguenze", ha dichiarato Biden.
Will Schryver, ingegnere tecnico ed editorialista in materia di sicurezza, scrive: "Non capisco come chiunque abbia visto i numerosi video degli attacchi missilistici iraniani contro lo stato sionista non possa riconoscere che si è trattato di una dimostrazione sbalorditiva delle capacità iraniane. I missili balistici iraniani hanno bucato le difese aeree statunitensi e dello stato sionista e varie testate di elevata potenza sono andate a segno contro obiettivi militari dello stato sionista".
Effetto e concretezza stanno quindi nella capacità dimostrata, che è poi la capacità di identificare altri obiettivi, la capacità di fare anche di più. Si è trattato infatti di un esercizio dimostrativo dalla portata limitata, non di un attacco vero e proprio.
Il messaggio era questo, ed è stato fatto sparire.
Come mai l'amministrazione statunitense si rifiuta di guardare in faccia la realtà e di prendere atto di quello che è successo e preferisce invece chiedere al mondo intero -che i video dei missili che impattavano nello stato sionista li ha visti- di "andare avanti" come consigliano le autorità, fingendo che non ci fosse "nulla di importante da vedere"? Questa "faccenda" era solo un fastidio per la governance del sistema e per il consenso, proprio come Kerry ha accusato di esserlo la libertà di parola? Sembrerebbe di sì.
Il problema strutturale, scrive il saggista Aurelien, non è solo nel fatto che la classe dei professionisti occidentali si attiene a un'ideologia che è l'opposto di come la gente comune vive il mondo. Questo è certamente un aspetto. Ma il problema più grande risiede piuttosto in una concezione tecnocratica della politica, politica che non "riguarda" nulla. Non è affatto una politica vera e propria (come disse una volta Tony Blair), ma è un qualche cosa di nichilista e di privo di considerazioni morali.
Non avendo una vera e propria cultura, la classe dei professionisti dell'ordine mondiale occidentale considera la religione obsoleta, e considera la storia pericolosa, perché contiene elementi che possono essere usati in modo improprio dagli "estremisti".
La storia, preferisce quindi non conoscerla proprio.
Questo è quello che produce la miscela di autoattribuita superiorità, ma anche di profonda insicurezza, che caratterizza la leadership occidentale. Da una parte l'ignoranza, dall'altra la paura di eventi e idee che non rientrano nei confini del suo rigido Zeitgeist e che sono percepiti quasi invariabilmente come in postulato contrasto con i suoi interessi. E piuttosto che cercare di discutere e comprendere ciò che è al di fuori della sua portata, la leadership occidentale ricorre alla denigrazione e all'assassinio di chi se ne fa portatore per eliminare questa fastidiosa esperienza.
Deve essere chiaro a tutti che l'Iran rientra in tutte le categorie che più alimentano l'insicurezza occidentale. L'Iran è l'apice di tutto ciò che è inquietante: ha una cultura consolidata e un retaggio intellettuale che si pone in modo esplicitamente diverso -anche se non in contrasto- rispetto alla tradizione occidentale. Si tratta di caratteristiche che tuttavia condannano l'Iran a essere collocato -senza riflettere- tra gli elementi che contrastano con la gestione dell'"ordine internazionale"; non perché sia una minaccia, ma perché risulta disturbante per il quieto passaggio delle consegne.
Ha importanza, questo?
Sì, perché rende molto problematico all'Iran interagire efficacemente con l'allineamento ideologico all'"ordine internazionale".
L'Occidente si è impegnato e ha fatto pressioni perché l'Iran reagisse in maniera contenuta, la prima volta dopo che lo stato sionista ad aprile aveva assassinato un generale iraniano e alcuni suoi colleghi al consolato iraniano di Damasco.
E l'Iran si è adeguato. Il 13 aprile ha lanciato droni e missili verso lo stato sionista in modo tale da inviare un breve messaggio concordato, ovvero preallertato, in merito alle sue capacità. Senza arrivare a un vero e proprio scontro, come richiesto dall'Occidente.
Dopo l'assassinio da parte dello stato sionista di Ismail Haniyeh che era ospite di Teheran per partecipare all'insediamento del nuovo Presidente, i Paesi occidentali hanno nuovamente pregato l'Iran di astenersi da qualsiasi ritorsione militare contro lo stato sionista.
Il nuovo Presidente ha dichiarato pubblicamente che funzionari europei e statunitensi avevano offerto all'Iran la caduta delle principali sanzioni in vigore contro la Repubblica Islamica dell'Iran e la garanzia di un cessate il fuoco a Gaza alle condizioni di Hamas in cambio dell'impegno a non attaccare lo stato sionista.
L'Iran ha tenuto duro, accettando di apparire debole agli occhi del mondo esterno. Cosa per la quale è stato aspramente criticato. Tuttavia, il comportamento occidentale ha scioccato l'inesperto nuovo Presidente Pezeshkian: "Loro (gli Stati occidentali) hanno mentito", ha detto. Nessuna delle promesse è stata mantenuta.
A dire il vero, con il nuovo Presidente riformista l'Iran si è trovato di fronte a un vero dilemma. Da una parte, sperava di perseguire una politica di contenimento per evitare una guerra distruttiva. Dall'altra, temeva che questa prova di moderazione potrebbe essere mal interpretata -forse in malafede- e usata come pretesto per una escalation. Insomma, il rovescio della medaglia è che "la guerra stava arrivando in Iran, che lo si volesse o no".
Poi c'è stato l'attacco tramite i cercapersone, quindi la decapitazione di Hezbollah. Compresa la figura iconica rappresentata dal suo leader Seyed Hassan Nasrallah. Con un numero enorme di vittime collaterali. L'amministrazione statunitense (il presidente Biden) ha detto semplicemente che "era stata fatta giustizia".
E ancora una volta l'Occidente ha implorato e minacciato l'Iran perché non intraprendesse ritorsioni nei confronti dello stato sionista. Stavolta invece l'Iran ha lanciato un attacco con missili balistici più concreto, anche se ha deliberatamente omesso di colpire le infrastrutture economiche e industriali dello stato sionista o la popolazione civile, concentrandosi invece su importanti siti militari e dei servizi segreti. Si è trattato, in breve, di un segnale dimostrativo, anche se in una certa misura ci sono stati danni alle basi aeree e ai siti militari e dei servizi. Ancora una volta si è trattato di una risposta limitata.
E per cosa?
Perché l'Occidente reagisse con aperto dileggio. L'Iran sarebbe stato troppo scoraggiato / troppo spaventato / troppo diviso per reagire davvero. In realtà gli Stati Uniti -sapendo bene che Netanyahu sta cercando il pretesto per una guerra con l'Iran- hanno offerto allo stato sionista il loro pieno sostegno una ritorsione in grande stile contro l'Iran: “Ci saranno gravi conseguenze per questo attacco e collaboreremo con lo stato sionista perché sia così", ha dichiarato Jake Sullivan. “Non commettete errori: gli Stati Uniti sono pienamente, pienamente, pienamente a fianco dello stato sionista", ha detto Biden.
La morale della storia è chiara: il Presidente Pezeshkian è stato messo nel sacco dall'Occidente. Un po' come il deliberato "inganno di Minsk" perpetrato dall'Occidente nei confronti del Presidente Putin, un po' come la coltellata alle spalle dell'Accordo di Istanbul II. Qualsiasi condotta improntata alla moderazione, su cui pure insiste tanto l'"ordine internazionale", viene invariabilmente fatta considerare come una manifestazione di debolezza. Il deep state occidentale, la cosiddetta "classe invariabile dei professionisti", rifugge da qualsiasi principio morale. Fa del suo nichilismo una virtù. Forse l'ultimo leader capace di vera diplomazia che mi viene in mente è stato JFK durante la crisi dei missili di Cuba e nei suoi successivi rapporti con i leader sovietici. E cosa gli è successo? È finito ucciso dal sistema.
Naturalmente c'è molta rabbia in Iran. Ci si chiede se la proiezione di potenza del paese non sia stata tanto debole da contribuire in qualche modo ad avallare la propensione dello stato sionista a colpire il Libano in modo così spietato e sfrenato, come a Gaza. Resoconti recenti fanno pensare che gli Stati Uniti dispongano di nuove informazioni tecnologiche su cui lo stato sionista non può ancora contare, che hanno consentito di indivudare la posizione di Sayyed Nasrallah e di passarne i dati allo stato sionista, cosa che avrebbe portato al suo assassinio.
Se l'Occidente dovesse ostinarsi a trattare con sufficienza la condotta moderata perseguita dall'Iran e a confondere la moderazione con l'impotenza, ci sarà da chiedersi se il "partito unico" dell'ordine mondiale europeo e statunitense sarà mai capace di freddo realismo. È in grado di valutare bene le conseguenze di un'eventuale guerra dello stato sionista contro l'Iran? Netanyahu ha chiarito che questo è l'obiettivo del governo dello stato sionista: la guerra all'Iran.
L'errata valutazione dell'avversario e dei suoi punti di forza sconosciuti è spesso il prodromo di una guerra più ampia, come nel caso del primo conflitto mondiale. E lo stato sionista è in preda a un vero furor bellicus per imporre il proprio "nuovo ordine" in Medio Oriente.
L'Amministrazione Biden è "più che disposta" a mettere "la pistola sul tavolo" perché sia Netanyahu a prenderla e a sparare mentre Washington finge di rimanere in disparte. L'obiettivo finale di Washington è ovviamente la Russia.
Che in diplomazia non ci si possa fidare dell'Occidente è chiaro. La morale di questa vicenda tuttavia ha implicazioni più ampie. Se lo stato di cose è questo, in che modo la Russia può pensare di porre fine al conflitto in Ucraina? Sembra che molte altre persone moriranno inutilmente, semplicemente a causa della rigidità del partito unico e della sua incapacità di agire con vera e propria diplomazia.
E molti ucraini sono morti, da quando il processo di Istanbul II è diventato carta straccia.
L'Occidente in questo momento si trova davanti alla prospettiva di almeno una sconfitta schiacciante, se non di due. Viene spontaneo chiedersi se la cosa sarà di qualche insegnamento. Chissà se i professionisti dell'ordine mondiale vorranno almeno prendere atto che ci sono degli insegnamenti da recepire.