Nel settembre del 2008 i nodi cominciano ad arrivare al pettine sul serio, per la compagnia di bandiera dello stato che occupa la penisola italiana. L'identificazione del vero responsabile è solo questione di tempo: è chiaro a tutti che una lobby di rom naziislamocomunisti eterogay sta brigando per acquistare gli aerei a prezzi di tornaconto ed utilizzarli per il trasferimento clandestino in Romania dei bambini rubati; presto la Televisione della Libertà potrà fornire a reti unificate ogni dettaglio sui loschi retroscena dell'operazione...
Si dice di solito che una vittoria ha molti padri e che una sconfitta è sempre orfana, ma in questo caso sarebbe perfino da mettere in dubbio se davvero si tratti di una sconfitta perché Alitalia è stata vittoriosa nello riuscire, come scrivevamo tempo fa, a farsi odiare cordialmente dal suo stesso target. Così come una grossa fetta di tutto il baraccone del trasporto aereo. Chi parte da Malpensa trova collegamenti con Milano che non hanno uguale nella UE, toilette misteriosamente chiuse, rappezzi fatti col nastro adesivo, baldi giovini che incellofanano valigie a tutela dall'eccessiva intraprendenza del personale del carico-scarico (spettacolo pressoché unico al mondo e perfetto indice di quanto i sudditi si fidino gli uni degli altri), carrelli portabagagli a pagamento e mille altre piccole seccature da pseudocapitalismo con le pezze al culo. Chi atterra a Istanbul o a Tashkent, come abbiamo fatto noi di recente, non ha motivo di sospettare dell'integrità dei propri bagagli -ancorché costituiti da uno zainaccio di vecchi stracci feldgrau-, usufruisce di trasporti di terra velocissimi e assidui, di toilette funzionanti e addirittura pulite e non ha l'impressione che su uno scalo aeroportuale mangi una miriade di maneggioni. Nello stato che occupa la penisola italiana, la maggior parte dei vessatori e allucinanti controlli di "sicurezza" sono svolti da personale privato. In paesi più evoluti, quali il Kyrghyzstan, il personale dell'esercito nazionale è più che sufficiente.
In altre parole -heri dicebamus- si ha l'impressione che le "liberalizzazioni" degli scorsi decenni, tappe presentate ogni volta come indispensabili per la "modernizzazione" dei servizi forniti, si siano tradotte abitualmente in aggravi di costi ed in giri di denaro sempre meno chiari, in un groviglio di appalti e subappalti in cui l'utente finale, come prassi, ha avuto solo da rimetterci.
La brutta situazione di Alitalia, dunque, è di fatto soltanto il raggio di una ruota che ne comprende svariati altri in una compenetrazione inestricabile, che porta a pensare che sia l'intero sistema ad esser stato gestito per decenni in modo per lo meno discutibile. La cordata elettorale messa in piedi in questi mesi intende rilevare la parte funzionante dell'azienda, lasciando scarti e limoni spremuti sulle spalle dei sudditi; la italiot way to business riproposta addirittura senza nemmeno bardarla a nuovo. In epoca di globalizzazione galoppante, in cui i manager e la proprietà delle imprese sono più che internazionali, si intende conservare la "nazionalità" della compagnia. Nelle intenzioni dei "salvatori" è plausibile che chi sale su uno degli irritanti MD82 della flotta, dalle ali bigie, debba aspettarsi di sentire odor di bucatini all'amatriciana e di caffè espresso, ed avere la possibilità di genuflettersi divotamente davanti alle immnagini del pino di Mergellina e dei faraglioni di Capri.
In attesa degli eventi facciamo presente la nostra recente esperienza all'aeroporto di Istanbul, nuovissimo, benissimo fornito e ancora meglio frequentato. Nelle librerie della zona di transito, accanto alle monografie e ai volumi fotografici sull'Anatolia e su Mustafa Kemal, figuravano molte copie di un volumetto autobiografico scritto da un alto dirigente della compagnia aerea Turkish Airlines, Türk Hava Yollari. Il libro racconta di come, a partire dal suo ingresso nel management avvenuto nel 1988 con la decisione dei politici turchi di iniziare la privatizzazione della compagnia aerea, operando con un realismo diametralmente opposto a quello della dirigenza Alitalia e dei politici ad essa correlati, in venti anni questo signore sia riuscito a privatizzare il 20% delle azioni della compagnia (niente avventurismi dementi dunque, né da parte sua né tantomeno da parte di chi lo comandava), e a trasformare una compagnia di interesse pressoché locale in un membro importante della Star Alliance. Al momento in cui scriviamo, Türk Hava Yollari ha una flotta di centoquindici aerei. L'obiettivo dichiarato è di arrivare a centocinquanta, circa il doppio di quelli in dotazione alla compagnia di bandiera dello stato che occupa la penisola italiana.
Va da sé che raccomandiamo la Türk Hava Yollari a chiunque sia interessato a raggiungere la Turchia o l'Asia centrale; si avrà non certo la sicurezza, ma almeno l'impressione di aver ben destinato il proprio denaro.
Si dice di solito che una vittoria ha molti padri e che una sconfitta è sempre orfana, ma in questo caso sarebbe perfino da mettere in dubbio se davvero si tratti di una sconfitta perché Alitalia è stata vittoriosa nello riuscire, come scrivevamo tempo fa, a farsi odiare cordialmente dal suo stesso target. Così come una grossa fetta di tutto il baraccone del trasporto aereo. Chi parte da Malpensa trova collegamenti con Milano che non hanno uguale nella UE, toilette misteriosamente chiuse, rappezzi fatti col nastro adesivo, baldi giovini che incellofanano valigie a tutela dall'eccessiva intraprendenza del personale del carico-scarico (spettacolo pressoché unico al mondo e perfetto indice di quanto i sudditi si fidino gli uni degli altri), carrelli portabagagli a pagamento e mille altre piccole seccature da pseudocapitalismo con le pezze al culo. Chi atterra a Istanbul o a Tashkent, come abbiamo fatto noi di recente, non ha motivo di sospettare dell'integrità dei propri bagagli -ancorché costituiti da uno zainaccio di vecchi stracci feldgrau-, usufruisce di trasporti di terra velocissimi e assidui, di toilette funzionanti e addirittura pulite e non ha l'impressione che su uno scalo aeroportuale mangi una miriade di maneggioni. Nello stato che occupa la penisola italiana, la maggior parte dei vessatori e allucinanti controlli di "sicurezza" sono svolti da personale privato. In paesi più evoluti, quali il Kyrghyzstan, il personale dell'esercito nazionale è più che sufficiente.
In altre parole -heri dicebamus- si ha l'impressione che le "liberalizzazioni" degli scorsi decenni, tappe presentate ogni volta come indispensabili per la "modernizzazione" dei servizi forniti, si siano tradotte abitualmente in aggravi di costi ed in giri di denaro sempre meno chiari, in un groviglio di appalti e subappalti in cui l'utente finale, come prassi, ha avuto solo da rimetterci.
La brutta situazione di Alitalia, dunque, è di fatto soltanto il raggio di una ruota che ne comprende svariati altri in una compenetrazione inestricabile, che porta a pensare che sia l'intero sistema ad esser stato gestito per decenni in modo per lo meno discutibile. La cordata elettorale messa in piedi in questi mesi intende rilevare la parte funzionante dell'azienda, lasciando scarti e limoni spremuti sulle spalle dei sudditi; la italiot way to business riproposta addirittura senza nemmeno bardarla a nuovo. In epoca di globalizzazione galoppante, in cui i manager e la proprietà delle imprese sono più che internazionali, si intende conservare la "nazionalità" della compagnia. Nelle intenzioni dei "salvatori" è plausibile che chi sale su uno degli irritanti MD82 della flotta, dalle ali bigie, debba aspettarsi di sentire odor di bucatini all'amatriciana e di caffè espresso, ed avere la possibilità di genuflettersi divotamente davanti alle immnagini del pino di Mergellina e dei faraglioni di Capri.
In attesa degli eventi facciamo presente la nostra recente esperienza all'aeroporto di Istanbul, nuovissimo, benissimo fornito e ancora meglio frequentato. Nelle librerie della zona di transito, accanto alle monografie e ai volumi fotografici sull'Anatolia e su Mustafa Kemal, figuravano molte copie di un volumetto autobiografico scritto da un alto dirigente della compagnia aerea Turkish Airlines, Türk Hava Yollari. Il libro racconta di come, a partire dal suo ingresso nel management avvenuto nel 1988 con la decisione dei politici turchi di iniziare la privatizzazione della compagnia aerea, operando con un realismo diametralmente opposto a quello della dirigenza Alitalia e dei politici ad essa correlati, in venti anni questo signore sia riuscito a privatizzare il 20% delle azioni della compagnia (niente avventurismi dementi dunque, né da parte sua né tantomeno da parte di chi lo comandava), e a trasformare una compagnia di interesse pressoché locale in un membro importante della Star Alliance. Al momento in cui scriviamo, Türk Hava Yollari ha una flotta di centoquindici aerei. L'obiettivo dichiarato è di arrivare a centocinquanta, circa il doppio di quelli in dotazione alla compagnia di bandiera dello stato che occupa la penisola italiana.
Va da sé che raccomandiamo la Türk Hava Yollari a chiunque sia interessato a raggiungere la Turchia o l'Asia centrale; si avrà non certo la sicurezza, ma almeno l'impressione di aver ben destinato il proprio denaro.