Fine maggio 2009. Riflessioni scaturite da un impietoso raffronto tra due modi opposti di attirare l'attenzione dei media, uno usuale fino all'ovvio, l'altro un po' meno.

La autodefinentesi "informazione" in internet ha continua necessità di contenuti per impaginare in maniera decente le vagonate di pubblicità su cui si regge.
La scelta di questi contenuti, normalmente, dà non poco da pensare chi abbia l'abitudine, fortemente scoraggiata in "occidente", di non assegnare a simili fonti più credibilità di quanta non ne meritino.
Normalmente, il grosso delle "news" presentate non riguarda certo eventi il cui verificarsi incide profondamente sulla vita degli individui o dei gruppi sociali: di quelli ci si occupa quando proprio non se ne può fare a meno, specie se si tratta di roba spiacevole per la proprietà o per i gruppi di interesse che usano la testata on line come mezzo di pressione lobbystica.
La funzione di riempitivo viene dunque assolta da aria fritta, presunte denunce sociali, inutilità assortite e soprattutto servizi fotografici scelti per dozzinalità e basso costo: qualunque sia l'argomento trattato, aprendo la homepage di una qualsiasi testata on line redatta nella lingua più diffusa nella penisola, si può essere sicuri di imbattersi in almeno tre articoli la cui sostanza è rappresentata da femmine con poca o punta roba addosso. L'ubiquità e l'invadenza di questo genere di produzione dovrebbe dirla lunga anche sul valore umano e sul costo orario di certe professioniste.
Nonostante il contenuto di "news" di questo tipo sia andato cambiando nel corso dei decenni, la strategia mediatica per tirare a campare è rimasta più o meno la stessa. Giorgio Bocca riporta, in Storia d'Italia nella guerra fascista, il caso di corrispondenti di guerra che nell'inverno 1939-1940 dovevano raccontare la drôle de guerre francotedesca prendendo spunto da insignificanti azioni di pattuglia o allungando la broda con note enologiche sulla Mosella.
Comunque, chi non si scoraggia facilmente trova punti di riflessione interessanti anche partendo da materie spregevoli come la pseudocronaca quotidiana incentrata su questa mercanzia. Si farà dunque eccezione, stavolta, ad una linea editoriale che (i lettori affezionati se ne saranno accorti) non privilegia affatto le notizie copiaincollate dal mainstream.

Il "Corriere della Sera", nella stessa settimana di fine maggio ci ha presentato, sicuramente senza volerlo, un esempio dei soliti ed un esempio costruttivo.

L'esempio dei soliti è fiorentino.
Una qualunque messa in mutande nella piazza più centrale della città per reclamizzare una kermesse ecologica. I mass media li hanno "bucati" con successo perché la sanzione toccata alla tizia, prevedibilissima da parte dagli organizzatori, è stata usata dalla stampa come pendant per scagnare contro un'amministrazione comunale che multa le donne in mutande ma non multa i mustad'afin che cercano di sopravvivere vendendo catenine, borse ed origami fatti di foglie verdi all'esercito di turisti presente in città ogni giorno dell'anno.

L'esempio costruttivo è torinese.
Una che non aveva di meglio da fare avrebbe scritto a "La stampa" lamentando la presenza di una donna osservante alla biglietteria della reggia di Venaria Reale, e proponendo in tutta serietà che si adottino piuttosto costumi "d'epoca sabauda". Come se le piemontesi non fossero andate in giro a capo coperto almeno fino agli anni Sessanta del passato secolo.
La reazione del personale è stata quella di presentarsi al gran completo al lavoro osservando lo hijab. Adesso che al "Corriere della Sera" han deciso che dare di terrorista a chi gira con la kefiah al collo non conviene più, hanno inquadrato la "new" nella loro la linea editoriale appaiando all'articolo un editoriale in cui si trova comunque il modo di connotare negativamente lo hijab.

Si legga tutto con calma, si dia un'occhiata alle due immagini allegate, e si tragga poi qualche considerazione su chi è fuori posto e chi no.