Firenze, ottobre 2009. Dopo anni ed anni di polemiche oziose condotte con sistemi molto oltre il becero dalla solita masnada di scribacchini, la sistemazione di Piazza del Duomo è fatta oggetto di un tentativo di pedonalizzazione integrale.

Abbiamo più volte avuto occasione di occuparci di Bianca Maria Giocoli, querula esponente fiorentina del piddì con la elle esperta -c'è bisogno di dirlo?- nelle tematiche d'i'ddegrado e della sihurezza. Va citata a suo onore, peraltro, l'assoluta consapevolezza del proprio livello di preparazione politica dimostrata da lei in occasione dell'ultima campagna elettorale.
Una delle pensate dell'amministrazione in carica riguarda la pedonalizzazione di piazza del Duomo: un tentativo come un altro di introdurre seriamente anche a Firenze quelle pedonalizzazioni integrali diffuse in tutto il mondo, al punto che non ci sono difficoltà a rintracciarne a Şanlıurfa come a Hastings.
Il timore di Bianca Maria Giocoli, monolitico al punto da essere inscalfibile dal tempo e dal mutare degli eventi, è che la piazza pedonalizzata torni a funzionare come ha funzionato per secoli.
Guai anche solo ad azzardarsi. Non c'è nulla che faccia imbestialire un "occidentalista" fiorentino come qualcosa che possa apparire un attentato alla sua concezione della città come salotto buono a prova di mustad'afin. Un salotto buono spesso costruito sulla base di memorie avite e piagnucolose, che rimandano a tempi in cui ad essere pedonalizzato era giocoforza il mondo intero. Tempi che Bianca Maria Giocoli non ha vissuto e dei quali -ci scommetteremmo- tanto meno ha mai sperimentato le durezze.
Ai tempi della pedonalizzazione universale, le piazze usate come piazze richiamavano individui che negli odierni tempi forsennati provocherebbero autentici diluvi di lagnanze da parte dei sedicenti ed autonominati paladini d'"Occidente". Ecco cosa possiamo trovare da una scorsa rapidissima a Firenze Vecchia, un testo di cronaca, aneddotica e costumi della Firenze ottocentesca, scritto alla fine del XIX secolo. Che bello: sembra la descrizione della Prima Esposizione Mondiale de i'ddegrado e dell'insihurezza!

"...La sera, Piazza del Granduca [piazza Signoria, n.d.r.] prendeva un aspetto tutto diverso. Non rimanevano che tre o quattro castelli di burattini. e qualcuno con le vedute del mondo nuovo, o della passione di Gesù, o della guerra di Napoleone. I ragazzi andavano a nozze e ci si spassavano e ridevano come non avranno più riso, dicerto da grandi, quando avranno creduto di divertirsi sul serio. La figura più caratteristica e che richiamava più gente, era un certo Martino, che tutte le sere verso le ventiquattro arrivava col suo carretto pieno di panieroni da cinque fiaschi, nei quali panieroni metteva uno sull’altro tanti piccoli piatti coperti, dove c'erano dei maccheroni freddi, che andavano via a ruba appena li metteva fuori. Questo cuoco.... a freddo, si piantava vicino alla cantonata di Via Calzaioli, sulla gradinata del palazzetto Bombicci, e non riparava a smerciare i suoi maccheroni. Di ogni piatto ne tagliava cinque spicchi; da una scodella piena di cacio di Roma grattato ne pigliava pulitamente con le mani un pizzicotto, li incaciava, e con un bussolotto bucato ci spruzzava il pepe e ne dava via ad un quattrino lo spicchio.
Ma c'erano anche allora gli sciuponi, gli scialacquatori, i figliuoli prodighi, inconsideratamente golosi, i quali ne prendevano un piatto intero, che costava nientemeno che una crazia, ossia sette centesimi!… Questi dilapidatori si conoscevano a colpo d'occhio, perché spendendo una somma così ragguardevole, tutta in una volta, avevan diritto alla forchetta, oggetto di lusso e da persone veramente a modo. Gli altri - la plebe che ne prendeva uno spicchio soltanto - li mangiava con le mani e così parevano anche più saporiti!"

"Entrando in Calimara da Baccano di fronte alle Logge di Mercato Nuovo, si poteva dire d'esser già in Mercato Vecchio. Sull'angolo a sinistra v'era la rinomata bottega del Valenti tabaccaio, famoso per le acetose, le orzate, e per il popone in guazzo. Qui la strada cominciava subito stretta, piena d'una folla affaccendata di serve, di cuochi con la sporta, come allora usava, e di gente che non avendo né cuoco né serva, andava da sé a far la spesa lesinando il quattrino e cercando di spenderli "co' gomiti" secondo l'antico modo di dire de' fiorentini.
In quel tratto, fino a Via delle Sette Botteghe, ci stavano i linaioli, i canapai e i venditori di ferrarecce: accanto al palagio dell'Arte della Lana c'erano i friggitori di roventini, di gnocchi, di sommommoli, di pesce e d'ogni cosa un po’.
Nelle sere specialmente di venerdì e di sabato, delle vigilie e di quaresima, la scena di quel punto di Calimara era veramente fantastica.
Le fiaccole delle padelle di sego, o dei lumi a olio infilati sopra un bastone, e le fiamme dei fornelli sui quali le padelle friggevano esalando acre odore di pesce e di baccalà, mandavano in distanza dei bagliori rossastri, degli sprazzi di luce e degli effetti d'ombra curiosissimi.
I friggitori urlavano chiamando la gente, e la gente si affollava a comprar la cena che consisteva in frittelle di mela, in carciofi, in baccalà, pesci d'Arno e fiori di zucca a seconda della stagione. In quella località, il movimento dalle ventiquattro all'un'ora era grandissimo.
Il palagio, o torrione, come lo chiamavano, che fu l'antica residenza dell'Arte della Lana, sembrava un rimprovero vivente d'esser lasciato in uno stato di spregevole abbandono, in mezzo a una turba schiamazzante e alle nauseanti esalazioni delle padelle e delle caldaie".

"[Nell'antico ghetto, n.d.r.] In Piazza della Fonte intorno al pozzo, c'eran quelli che abbrustolivano sui fornelli i ceci e i semi di zucca; fra questi c'era un vecchio famoso per friggere le ciambelle, che anche i cristiani i quali attraversavano il Ghetto per far più presto, compravano ai loro ragazzi che ne erano ghiottissimi."

Naturalmente, per quanto ci attiene, una pedonalizzazione che portasse a simili risultati sarebbe la benvenuta; Bianca Maria Giocoli invece ciarla di سوق, di suk, ossia "mercato", continuando a spregiarne l'essenza per motivi che può valer la pena di irridere, ma non certo di approfondire.