Alla fine del dicembre 2009 si riaccendono gli scontri di piazza a Tehran; in pochi giorni si susseguono prima le immagini dei tumulti in occasione delle celebrazioni dell'Ashura, poi quelle delle manifestazioni filogovernative, di una portata talmente imponente da non poter essere sottaciuti nemmeno da un mainstream schierato in blocco dalla parte opposta.
Il mainstream iraniano ha utilizzato l'intero corpus di news e di immagini a disposizione per presentare i manifestanti antigovernativi nella peggior luce possibile, seguendo in modo pedissequo la prassi con cui i mass media "occidentali" trattano qualunque comportamento sociale non sia di consumo.



Un vivace scambio di vedute tra gendarmi e manifestanti. In quest'immagine, per una volta, sono i primi ad avere la peggio.

Durante le celebrazioni religiose per l'Ashura si sono ripetuti, soprattutto a Tehran, violentissimi scontri di piazza. Chi ha una conoscenza diretta della realtà iraniana non si stupisce gran che; l'Ashura è una celebrazione luttuosa -non una festa nel senso in cui questo termine viene correntemente inteso in "Occidente"- molto sentita da una parte consistente dell'opinione pubblica ed è nota per l'essere un periodo in cui si concentrano e trovano sfogo tensioni sociali di ogni genere. In altre parole, è difficile che non ci scappi il morto, per un motivo o per l'altro; e fino allo scorso anno la cosa riceveva poca o punta attenzione da parte del mainstream.
Quello che è costruttivo sottolineare è il permanere, assolutamente inscalfibile e totalmente impermeabile perfino all'evidenza, di una presentazione mediatica degli eventi iraniani finalizzata in ogni caso alla conferma di un copione che è lo stesso da trent'anni. Il bias denigratorio che lo contraddistingue si basa su pochi punti fermi, primo tra i quali quello che statuisce che la Repubblica Islamica dell'Iran è una dittatura. Le gazzette liquidano in questo modo un paese il cui panorama politico è tra i più variegati e multiformi che esistano, animato com'è da un'opinione pubblica assolutamente indomabile. Da qualche anno, essendo inviso per programma ed intenzioni alle sue controparti "occidentali", viene definito dittatore anche il presidente in carica; un titolo che nessuno si è mai sognato di adoperare per certi suoi predecessori ritenuti più accomodanti e neppure per i tanti presidenti di altri paesi, giunti a disporre di un potere proporzionalmente maggiore di quello del presidente iraniano utilizzando sistemi sulla cui trasparenza vi sarebbe non poco da ridire. Soltanto la Repubblica Islamica dell'Iran viene sottoposta ogni giorno a puntigliose verifiche di "democrazia" a mezzo stampa.
Di solito la Repubblica Islamica dell'Iran viene presentata come l'unico paese al mondo ad avere l'esclusiva delle esecuzioni capitali, degli arresti e delle carceri. Non più tardi di qualche settimana fa le manifestazioni di piazza nel Regno di Danimarca hanno portato a migliaia di arresti, senza che nessuna gazzetta si sognasse di speculare sul tasso di "democraticità" delle sue istituzioni. Da questo punto di vista si può ritenere per certo che la Repubblica Islamica dell'Iran ha, per le gazzette "occidentali", il ruolo di capro espiatorio utilizzabile per minimizzare o giustificare a contrario qualunque azione repressiva intentata in "Occidente". Si ricordi che lo stesso giornalame che stigmatizza gli avvenimenti iraniani plaude istericamente ogni giorno alle fozzedellòddine dello stato che occupa la penisola italiana e non ha esitato ad estendere la definizione di terrorismo a qualunque comportamento potesse venir percepito come lievemente dissonante rispetto agli unici ammessi dal potere "occidentale", che sono i comportamenti di consumo.
L'incensamento della "dissidenza" fa parte della costruzione a tavolino di una Repubblica Islamica metafisicamente malvagia; il suo peccato originale è quello di ergersi su un mito fondante che non tratta di astratte "libertà" ma di giustizia sociale e di anticolonialismo, cose assolutamente fuori dal concepibile. Un dissidente o un esperto pronto a giurare sull'imminente sfascio delle istituzioni rivoluzionarie e su un crollo che "sarebbe solo questione di tempo" lo si trova sempre.
Lo si trova sempre, da trent'anni filati.
Il problema è che statuire assunti del genere fa a pugni con la realtà. E le gazzette, con la realtà, hanno un rapporto sempre più labile ogni giorno che passa.
La realtà è quella di un assetto istituzionale che dal giorno in cui è nato ha incassato colpi potenzialmente micidiali fatti di guerre di aggressione, di attentati di massa, di boicottaggi economici, di lotte intestine, di uscite di scena di protagonisti e fondatori; di questo assetto istituzionale si auspica il crollo -possibilmente repentino, possibilmente rivendibile mediaticamente a mònito dei nemici prossimi venturi: visto cosa succede a cacciare gli statunitensi a calci?- a seguito di qualche scontro di piazza. Le istituzioni economiche e sociali della Repubblica Islamica controllano ma anche garantiscono (ed è questo secondo punto quello che viene volutamente trascurato dalla "libera informazione") una percentuale a due cifre del prodotto interno e coinvolgono nel loro funzionamento milioni di lavoratori. Durante tutto il 2009 gli scontri di piazza si sono susseguiti senza che il funzionamento globale delle infrastrutture e dell'economia del paese ne risentisse con evidenza perché esportazioni ed importazioni, relazioni internazionali, traffico aereo e tutte le altre attività che contrassegnano una società postmoderna sono andate avanti senza fremiti apprezzabili, per tacere delle attività economiche legate all'artigianato, alla piccola impresa ed alla sussistenza pura e semplice; l'esplodere degli scontri di piazza può indicare sicuramente l'esistenza di un'opposizione politica vitale ed agguerrita ma che non è certo un buon indice per chi volesse predire un regime change; una predizione che alcuni pennaioli peninsulari hanno fatto poco o punto curandosi del sangue che un evento del genere potrebbe costare. In fondo a loro cosa importa; difficilmente sentiranno l'odore dei lacrimogeni dalle loro redazioni milanesi, romane o fiorentine.
Gli scontri di piazza, da soli, non hanno mai provocato nulla del genere ed il minimo sentore di un intervento esterno -un eufemismo per non dire yankee- come quello auspicato dal giornalame più obeso ricompatterebbe all'istante tutte le forze politiche della Repubblica contro l'aggressione. Alcuni esempi del gazzettismo più affezionato ad una realtà che non esiste hanno a tutt'oggi la spudoratezza di venare le loro produzioni mediatiche di un allucinato nostalgismo pro-Pahlevi.
Il ritratto della società iraniana presentato dal mainstream risulta come minimo scotomizzato, e si limita a presentare in luce favorevole quei settori sociali che i sudditi "occidentali" possano percepire come identici a loro secondo il già citato metro dei comportamenti di consumo.
Un altro aspetto del reale sistematicamente trascurato è dato dagli ottimi rapporti economici che molti paesi "occidentali" hanno con la Repubblica Islamica dell'Iran. L'opinione pubblica dello stato che occupa la penisola italiana vede ogni giorno la Repubblica Islamica bersagliata da invettive isteriche, presagi funesti per definizione e semplificazioni peggio che arbitrarie di dinamiche e di stati di fatto che tutto sono meno che semplificabili. Il fatto che lo stato che occupa la penisola italiana sia il primo partner commerciale di Tehran all'interno dell'Unione Europea, insieme alla Repubblica Federale Tedesca, non viene mai menzionato; ma la realtà è questa.
Una realtà poco utile a chi deve per contratto demonizzare ogni giorno la Repubblica Islamica, e che si trova costretto a servirsi di altri strumenti.