Maggio 2010. I bias mediatici adottati di gran carriera all'inizio del primo mandato della presidenza Bush non sono certo stati abbandonati, prova dei fatti nonostante.

Esiste un certo numero di realtà-bersaglio contro cui i mass media del mainstream, ormai privi di differenziazioni di orientamento politico significative, sparano bordate ad intervalli regolari nella difesa di un "democratismo" e di una "libertà di informazione" sulle quali vi sarebbe, e vi è, non poco da ridire.
Queste realtà sono sempre le stesse e coincidono a tutt'oggi, grosso modo, con la demenziale lista di "stati canaglia" stilata in AmeriKKKa ai tempi dell'ubriacone Bush e con le altrettanto bambinesche liste di proscrizione varate negli stessi anni. Quando si ha a che fare con una realtà-bersaglio, il dubbio, la competenza, la documentazione, l'obiettività e la curiosità intellettuale sono materie da non considerare neppure. Non è concepibile che esistano contesti in cui la "libertà" e la "democrazia" intesa come condivisione consapevole di un destino scelto a maggioranza non possano essere identificate con i consumi di lusso e con il relativo corredo di femmine poco vestite. Ad esempio, se la Repubblica di Cuba dota la Cubana de Aviaciòn di due Ilyushin nuovi, non si parlerà di "miglioramento dei servizi di una compagnia di bandiera" ma di "aerei di Fidel Castro", come se fossero roba sua; all'indomani di un colpaccio delle FARC si infarciranno i palinsesti di reportages su una Colombia la cui realtà quotidiana si compendia delle sfilate di moda intima a Bogotà, e via di questo passo.
Gli "occidentalisti" chiamano "informazione libera" quello che in luoghi e tempi più normali verrebbe definita "sordida pornografia servile e mendace".
Una delle realtà-bersaglio presa di mira con maggiore frequenza è rappresentata dalla Repubblica Islamica dell'Iran. Abbiamo avuto modo di riferire che a nostro avviso il gazzettaio "occidentale" è tutt'altro che estraneo al fallimento disastroso dell'"onda verde" ed alla repressione che è seguita; Faccialibri e Cinguettatori hanno amplificato al parossismo voci contraddittorie e nebulose che, sparse in un contesto sociale in cui la taqiyya e la sensibilità diffusa a rumours e a complottismi di ogni genere sono parte integrante della comunicazione sociale, hanno prodotto esiti diametralmente opposti a quelli attesi, amplificando ulteriormente i pericoli per gli oppositori in piazza. Il bias antirivoluzionario dei mass media "occidentali" è reso ancora più evidente dal fatto che la rivolta popolare in Kirghizistan, in cui si sono susseguiti saccheggi, estese distruzioni ed almeno una novantina di morti, è finita fuori dai palinsesti in meno di una settimana. C'è da pensare che le manifestanti di Bishkek non fossero altrettanto giovani e altrettanto fotogeniche; il gazzettame "occidentalista", in fondo, è così che "ragiona". A distanza di un anno dalla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, che la "libera informazione" postula dovuta a brogli (un accostamento obbligatorio, come i cartaginesi sempre infidi, il Griso abbominevole, l'Umbria verde e mistica), "Repubblica" ha mandato una certa Vanna Vannuccini a vedere che aria tira a Tehran. Mica a Bandar Anzali o a Qom o a Kermanshah: in uno hotel di tutto rispetto nel centro della capitale, vale a dire laddove è sperabile trovare esattamente quello che si cerca e solo quello.
La Vannuccini è tornata con un bel carico di testimonianze rabbiose e del tutto plausibili, su questo niente da dire. Che le presentazioni di libri e le mostre di pittura siano sempre e comunque un buon indice delle preoccupazioni e delle priorità che interessano l'Iran reale, invece, appare pochissimo probabile. Per veder confermato l'impianto denigratorio di quanto si picca di costituire "libera informazione" su quanto avviene nella Repubblica Islamica dell'Iran, la giornalista è costretta ad ostentare dubbi su tutto, a partire dalla veridicità di quanto ripetutamente asserito dai vertici della Repubblica in merito alla politica nucleare del paese. Sarebbe il caso di ricordare, ancora una volta, che il confinante Pakistan, della cui "democraticità" nessuno pare interessarsi, è una potenza nucleare da decenni senza che la cosa sia stata percepita come pericolosa da nessuno.
Ora, costruire un intero articolo basandosi su luoghi comuni fallaci ed esponendosi costantemente al rischio di smentite serissime (cosa succederebbe se i sionisti bombardassero un reattore nucleare in funzione, o se loro o chi per loro riducessero il paese in briciole col pretesto di un'atomica che non esiste? Nessun gazzettiere ha avuto il buongusto non diciamo di attaccarsi ad una trave, ma neppure di cambiare mestiere, dopo l'alluvione di menzogne chiamato a giustificativo per l'aggressione all'Iraq) non sempre basta o riesce, ed anche l'articolo di Vanna Vannuccini presenta qualche riga pericolosamente vicina all'obiettività.

"L'Occidente mente, tutto il mondo mente, l'Iran non è isolato. E la tv iraniana è pronta a dimostrarlo. Ventiquattr'ore su ventiquattro la tv mostra agli iraniani un mondo virtuale, di cui Ahmadinejad è sempre il protagonista, nel ruolo di pioniere del disarmo atomico e di inauguratore di nuove imprese ad alta tecnologia. Così milioni di persone scontente del governo dovrebbero convincersi che il regime vuole davvero solo il nucleare civile e che le nuove sanzioni sono un altro stratagemma del Grande Satana, cheytané bozorg, l'America.
Questo show surreale, che rovescia fatti e verità palesi, è certo un'indicazione della debolezza di un regime che non è mai stato come oggi tanto separato perfino dalla gente più pia. Ma riesce anche a far presa. L'antiamericanismo è così radicato nel mondo, soprattutto in quello mediorientale, che Ahmadinejad non solo è diventato un eroe agli occhi delle popolazioni sciite di paesi come il Libano, ma ispira simpatia, in nome del comune odio per l'America, perfino a qualche vecchio comunista iraniano, qualche Tudehi sopravvissuto ai massacri di Khomeini".


Cosa sarà mai successo? E' successo semplicemente che dopo esser stati denigrati per anni ed essersi sorbiti in diretta via satellite i piani di guerra che riguardavano il loro paese enunciati con dovizia di dettagli da qualche mezzobusto con la cravatta, i responsabili della "tv iraniana" hanno imparato la lezione ed hanno cominciato a rispondere per le rime ed in modo efficace. Per farlo, basta seguire la fitta agenda politica del Presidente della Repubblica, che può sorprendere come tale solo chi sia fermissimamente convinto che i leader nordameriKKKani ed europei siano gli unici con i quali valga la pena intessere relazioni di un qualche genere. La Repubblica Islamica dell'Iran sta cambiando a velocità che i sudditi che bivaccano nella penisola italiana neppure ritengono pensabili, e la "libera informazione" fa il possibile e l'impossibile per rafforzare in loro l'idea che, invece, da quelle parti siano rimasti alla considerazione di Mossadeq secondo cui senza gli stranieri, ossia senza i colonialisti, l'Iran non sarebbe stato in grado di mandare avanti da solo neppure un cementificio. Da quei tempi sono passati oltre cinquant'anni; cinquant'anni di pace per lo stato che occupa la penisola italiana, che ha passato almeno gli ultimi venticinque a smantellare tutto lo smantellabile della propria industria, e cinquant'anni di conflitti intestini e non, di guerre vere e proprie, di rivoluzioni e di ventilate minacce di invasione per l'Iran, che invece una propria industria l'ha tirata su praticamente dal nulla e che è riuscito anche a darle una certa diversificazione. Un Iran con il quale molti dei paesi in prima linea nel coro denigratorio hanno fatto ottimi affari, primo tra tutti lo stato che occupa la penisola italiana.
La "scontentezza del governo", ovvero la disaffezione per la politica, è caratteristica delle sedicentemente compiute "democrazie occidentali", in cui è soprattutto la rappresentanza elettorale ad aver perso qualsiasi attrattiva per chiunque abbia un minimo di rispetto di sé. Viene dunque da chiedersi chi sia che "rovescia fatti e verità palesi", se la Repubblica Islamica dell'Iran o piuttosto la giornalista di "Repubblica", costretta due righe più sotto a prendere atto di un aspetto della vita politica iraniana che difficilmente viene fuori negli hotel centrali ed alle mostre di pittura.
La popolarità dell'antiamericanismo e della figura di Mahmoud Ahmadinejad dovrebbero suggerire alle giornaliste in cerca di conferme che per tentare di capirci davvero qualche cosa, a Tehran invece di Lolita sarebbe più costruttivo leggere Grapes of wrath.