Traduzione dall'inglese da Conflicts Forum.
La Repubblica Islamica dell'Iran è probabilmente più interessata degli Stati Uniti alla stabilità del Medio Oriente; dopotutto si tratta dell'area geografica cui appartiene. Per crescere e prosperare l'Iran ha bisogno di frontiere sicure e di vicini stabili. Un Afghanistan povero ed instabile, ad esempio, danneggia le vie commerciali e può far crescere il flusso dei profughi ed il narcotraffico nelle regioni nordorientali dell'Iran.
Ancora più fondamentale per l'Iran è la presenza di un Iraq stabile. La guerra tra Iran ed Iraq ha causato enormi sofferenze al popolo iraniano; gli iraniani non se ne dimenticheranno, almeno per i prossimi decenni. Non dimenticheranno neppure che le loro sofferenze furono in larga misura causate dal sostegno statunitense ed europeo a Saddam Hussein, compresa l'assistenza occidentale fornitagli per l'acquisizione di armi di distruzioni di massa, che egli utilizzò con regolarità contro gli iraniani e contro i civili iracheni. Queste azioni, barbare e crudeli, non vennero mai fatte oggetto di condanna dai governi o dai mass media occidentali. Gli iraniani pensano che i politici occidentali siano altrettanto colpevoli di Saddam Hussein di questi crimini contro l'umanità. E' imporante sottolineare che l'Iran non ha mai utilizzato o prodotto armi chimiche, né durante né dopo le ostilità, nonostante disponesse delle competenze tecnologiche per farlo. Questo, specificano sempre gli iraniani, prova di per sé che la Repubblica Islamica dell'Iran dice il vero quando afferma che non è sua intenzione sviluppare armi nucleari.
E' dunque comprensibile che gli iraniani affermino che non lasceranno che l'Iraq venga mai più usato come punto di partenza per aggredire o per destabilizzare l'Iran. Gli iraniani non lasceranno che i loro nemici, i loro avversari o i loro antagonisti degli anni a venire possano approfittare dell'Iraq per trarne vantaggio in caso di un contrasto di qualsiasi tipo con la Repubblica Islamica dell'Iran.
Gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita perseverano nei loro tentativi di intensificare settarismo e razzismo, per dividere l'Iran dai paesi confinanti. Ero negli studi televisivi di AlJazira a Doha, quando l'ambasciatore americano in Qatar giocò la carta del razzismo in diretta tv, ed affermò che per secoli i persiani avevano rappresentato un qualcosa di irrilevante per tutto il resto della regione e che al tempo stesso costituivano per essa una minaccia continua. In Iraq la maggioranza dei cittadini ha forti legami religiosi, storici e culturali con l'Iran. Molti politici iracheni e molti intellettuali hanno vissuto per anni in Iran, conoscono bene la lingua persiana, e magari hanno anche sposato donne iraniane durante i duri anni in cui soltanto la Repubblica Islamica e la Siria riconoscevano e sostenevano l'opposizione a Saddam Hussein.
Inoltre, mentre i canali televisivi in lingua persiana finanziati e basati in Occidente si lasciano regolarmente andare ad asserzioni criticabili e dispregiative nei confronti degli arabi, gli iraniani che vivono nella Repbblica Islamica hanno mantenuto una notevole empatia nei confronti degli iracheni che hanno sofferto sotto Saddam Hussein prima e sotto l'occupazione statunitense del loro paese poi. Gli iraniani continuano anche a sentirsi vicini agli arabi palestinesi, che pure sono a maggioranza sunniti, che soffrono l'occupazione di quello che in Iran viene considerato l'unico regime al mondo ufficialmente caratterizzato dallo apartheid.
L'Iran crede che un mutamento fondamentale nel quadro delle relazioni tra Iran ed Iraq sia già stato raggiunto, più che rappresentare una possibilità futura.
Questo non significa che gli iraniani desiderino che in Iraq si insedi un governo debole. L'enorme crescita del commercio, del turismo e degli investimenti tra i due paesi dopo la caduta di Saddam Hussein ha rappresentato uno stimolo fondamentale per la crescita dell'economia iraniana. Alla frontiera tra Iran ed Iraq, per la maggior parte deserta fino al 2003, adesso si vedono lunghe code di camion e di autobus in attesa di passare il confine. Il personale di frontiera di entrambi i paesi è impegnato nella realizzazione delle infrastrutture necessarie a far sì che commerci ed investimenti possano ulteriormente crescere, ma non riescono ancora a rispondere alle crescenti necessità di pellegrini e uomini d'affari. La Repubblica Islamica dell'Iran desidera quindi che l'Iraq sia forte e stabile, ma anche che esso abbia buone relazioni con l'Iran e che si impegni a sostenere gli interessi dei popoli della regione nel suo coplesso. Le recenti dichiarazioni del primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, che ha affermato che le truppe americane devono lasciare il paese prima della fine del 2011, costituiscono un forte segnale di quanto sta accadendo.
Lo stesso ragionamento si adatta bene all'Afghanistan. La maggioranza degli afghani condivide con l'iran legami religiosi e culturali; moltissimi in Afghanistan parlano il persiano. Nonostante quello che gli iraniani ritengono rappresenti un completo fallimento della politica statunitense in Afghanistan, l'Iran ha investito molto nel nord del paese, relativamente più stabile, nella costruzone di strade e di infrastrutture. Il commercio è sensibilmente cresciuto, ed i sunniti moderati e gli sciiti, sostenuti dall'Iran mentre gli Stati Uniti permettevano di fatto ai talebani finanziati all'epoca dai sauditi -e dagli Emirati Arabi- di prendere il controllo del paese, sempre di più cercano l'appoggio iraniano perché gli abitanti del paese pensano che gli Stati Uniti abbiano perso la guerra e che prima o poi saranno inevitabilmente costretti ad abbandonare il paese.
Ho scritto che i talebani, all'epoca, erano finanziati dai sauditi, mentre avrei dovuto scrivere semplicemente che lo sono a tutt'oggi. Secondo documenti reperibili su Wikileaks, l'Arabia Saudita è a tutt'oggi il principale sostenitore dei talebani. In effetti quasi tutti i regimi arabi non democratici del Golfo Persico stanno ancora sostenendo economicamente i talebani. Dalle nostre parti, questo fatto viene considerato una specie di segreto di Pulcinella. Inoltre, questi paesi non soltanto stanno sostenendo economicamente i talebani, ma stanno prestando sostegno in tutto il mondo anche alla loro ideologia, che ha affinità forti con quella di AlQaeda. In molti si chiedono come possano pensare gli americani che mantenere l'alleanza con l'Arabia Saudita possa nel lungo termine fare gli interessi degli Stati Uniti. Il diffondersi dell'ideologia salafita nel Corno d'Africa, nello Yemen, in Europa e altrove è davvero privo di rapporti agli stanziamenti multimiliardari che questi stati hanno assegnato, con i sauditi primi tra tutti?
Gli iraniani pensano che i responsabili della politica estera statunitense, chiudendo entrambi gli occhi sul sostegno fornito dai sauditi ai gruppi salafiti più intransigenti che operano in tutto il mondo, stiano rendendosi le cose ancora più difficili. Questo errore va ad aggiungersi al tragico stato di cose provocato da quella che gli iraniani considerano la pazzesca invasione dell'Iraq, e dal fallimento della strategia americana in Afghanistan e in Pakistan. A questo si aggiunge anche quello che Tehran considera come l'acritico sostegno americano all'ultimo stato al mondo che pratichi l'apartheid, che incarcera e brutalizza donne e bambini palestinesi ed uccide i giovani colpevoli di qualche sassaiola tenendoli prigionieri in condizioni simili a quelle dei campi di concentramento. Tutto questo fa sì che le politiche americane attualmente perseguite in Medio Oriente si rivelino alla lunga insostenibili. E questo è tanto più vero quanto più le emergenti potenze strategiche ed economiche che fanno concorrenza agli Stati Uniti, come i paesi del BRIC (Cina, India, Brasile, Russia) ottengono vantaggi di ogni tipo negli stessi contesti in cui gli Stati Uniti continuano invece a soffrire.
Inoltre, sta emergendo ua tendenza generale secondo la quale le organizzazioni sciite e sunnite vengono tenute sotto pressione in tutto il Medio Oriente; i regimi dispotici alleati degli Stati Uniti tentano in questo modo di assicurarsi la sopravvivenza. In questo stato di cose l'ostilità nei confronti degli Stati Uniti non fa altro che crescere e, per ironia della sorte, prosperano le ideologie estremiste finanziate dai sauditi. Per adesso, questo "investimento" ha permesso alla famiglia reale saudita di comprare la tranquillità per se stessa, ma non certo per la maggior parte del resto del mondo, Stati Uniti compresi. Certo, se i governi sostenuti dagli Stati Uniti riusciranno a sopravvivere oppure no è tutt'altra questione. Se i governi locali dovessero crollare, come reagiranno le popolazioni di quei paesi alle politiche oppressive messe in atto dagli statunitensi fino ad oggi?
L'essersi scelti come alleati i despoti arabi -che siano quelli dell'Arabia Saudita, un paese in cui le donne non possono guidare l'automobile e per la maggior parte neppure avere un proprio conto bancario, oppure quelli dell'Egitto e della Giordania- può rivelarsi foriero di gravi conseguenze per gli Stati Uniti nel prossimo futuro. L'ironia insita in questo non sfugge agli iraniani, che vivono in un paese dove le donne rappresentano il 63% della popolazione studentesca universitaria. La maggior parte dei miei studenti di dottorato è costituita da donne, ed è una donna anche il preside della facoltà dell'Università di Tehran in cui insegno.
Gli iraniani hanno fatto caso anche a come gli Stati Uniti hanno reagito alle elezioni-farsa tenutesi in Egitto, continuando ad accusare l'Iran di non essere democratico nonostante tutti i leader iraniani vengano scelti direttamente dal popolo o da organi sottoposti a pubblica elezione. Nel caso delle elezioni presidenziali del 2009 non c'è dubbio alcuno che Ahmadinejad le abbia vinte con una valanga di voti; le prove definitive di questa vittoria sono state pubblicate in lingua inglese da studosi, accademici e sondaggisti. Se teniamo presente questo dato di fatto, agli occhi della maggior parte degli iraniani gli Stati Uniyti hanno di fatto sostenuto ed auspicato le sommosse per le strade di Tehran.
Gli Stati Uniti hanno accusato il governo iraniano di aver truccato le elezioni, senza fornire alcuna prova credibile a sostegno di questa loro affermazione. Le istanze degli Stati Uniti si basano sulla recezione acritica di asserzioni fatte da ben finanziati e sedicenti "esperti" della realtà iraniana che vivono negli Stati Uniti, che conoscono poco il paese e che per la maggior parte ostentano una profonda ed immotivata ostilità nei confronti della Repubblica Islamica. Questa gente si è lasciata andare ad affermazioni e previsioni in merito alle sorti dell'Iran per anni interi; una breve rassegna di quanto da loro prodotto nel recente passato rivela che hanno poche frecce al loro arco. Dal momento che dicono quello che la classe politica statunitense desidera sentirsi dire da loro, nonostante i loro errori di valutazione e la scarsa credibilità delle loro analisi truccate continuano a ricevere finanziamenti generosi. E' interessante notare che quanti tra loro conoscono la lingua persiana usano toni e registro linguistico molto diversi a seconda che parlino in trasmissioni dei canali in farsi, finanziati dall'Occidente o di proprietà governativa, oppure per think tank o canali televisivi statunitensi. Il motivo fondamentale per cui lo fanno è che non vogliono che le loro parole sembrino assurde al pubblico iraniano.
Quanti tra costoro si azzardino a riferire ad un pubblico occidentale qualcosa di diverso e di più ragionevole vengono rabbiosamente attaccati dai mass media statunitensi e dai cosiddetti "esperti di Iran", che continuano a vivere nel loro mondo di pura fantasia. Nonostante le minacce, le accuse e le calunnie, questi commentatori hanno continuato a dire la verità agli americani e agli europei, perché i governi occidentali evitassero di cadere in errori di calcolo dalle conseguenze controproducenti o addirittura drammatiche. Ma lo hanno fatto pagando un alto prezzo personale.
Certamente, dopo le proteste di massa contro Mousavi, prive di precedenti specifici, che si tennero in tutto il paese dopo gli scontri di piazza dell'Ashura di dicembre 2009, alcune persone in Occidente hanno finalmente cominciato ad aprire gli occhi sulla realtà. E' arrivatro poi l'11 febbraio 2010, l'anniversario della vittoria della Rivoluzione Islamica; per quel giorno i mass media occidentali avevano puntato ogni speranza su manifestazioni inscenate dal cosiddetto movimento verde. I sostenitori del movimento verde avevano affermato che avrebbero portato milioni di persone per le strade di Tehran ed invaso pazza della Libertà in diretta tv. In realtà, quando milioni di persone hanno davvero invaso le strade di Tehran (e manifestazioni simili si svolgevano nello stesso momento in tutto il paese) dei sostenitori di Mousavi non c'era traccia da nessuna parte. Gli analisti occidentali hanno cominciato ad ammettere, sia pure a malincuore, la possibilità di aver mal interpretato gli eventi.
Ironicamente, nel lungo termine gli eventi dell'ultimo anno hanno reso il popolo iraniano più unito che mai, come non si vedeva dai primi giorni della Rivoluzione. Molte voci critiche e molti oppositori del presidente Ahmadinejad si sono sentiti oltraggiati dal comportamento tenuto da Mousavi dopo le elezioni, specialmente dopo che non era riuscito ad esibire nessuna prova convincente di brogli elettorali e nei fatti aveva allineato le proprie posizioni a quelle di organizzazioni basate e finanziate dall'Occidente, tra le quali vi sono anche organizzazioni terroristiche senza scrupoli come quei Mujahedin del Popolo che per più di vent'anni hanno servito Saddam Hussein come mercenari, i sostenitori dell'ex scià di base negli Stati Uniti, gli autori di violentissimi scontri di piazza che hanno ucciso, mutilato ed umiliato funzionari di polizia e militari in funzione di ordine pubblico per le strade di Tehran. Ecco perché, in occasione dell'anniversario della Rivoluzione Islamica, le dimensioni e la partecipazione emotiva alle dimostrazioni a sostegno della Repubblica Islamica tenutesi in tutto il paese sono state senza precedenti.
Al contrario di quanto si pensa correntemente in Occidente, la maggior parte della corrente maggioritaria tra i riformisti non ha approvato il modo di agire di Musavi; sin dall'inizio essa ha riconosciuto il risultato elettorale. I parlamentari riformisti che conosco, e che rispetto, lo hanno più volte ripetuto sia in pubblico che in privato. Il leader della corrente riformista del parlamento, il signor Tabesh, si è più volte pronunciato in merito in svariate occasioni. Altri parlamentari riformisti come i dottori Kavakebian, Khabbaz e Pazeshkian, così come altri riformisti come il professor Aref, hanno aderito a questo punto di vista, nonostante la loro forte opposizione al Presidente Ahmadinejad.
Nonostante tutto questo, i politici occidentali ed i mass media occidentali hanno a grande maggioranza capito solo quello che volevano capire, o che gli serviva capire.
Questo non significa negare la brutalità della polizia o che alcune personalità governative non abbiano mal affrontato l'emergenza. Resta il fatto che una solida maggioranza di cittadini iraniani ha addossato il grosso delle colpe a Mousavi, per come si è comportato e per le accuse prive di riscontri che ha mosso.
La reazione statunitense alle elezioni è stata, come ho appena spiegato, condizionata pesantemente dalla loro dipendenza da "esperti di questioni iraniane" che diffondevano informazioni distorte o in malafede ed ha fatto sensibilmente diminuire le possbilità per una qualsiasi forma di riavvicinamento significativo tra i due paesi, almeno per il prossimo futuro. Non che le possibilità fossero comunque molte; come rivelano i documenti di Wikileaks i sospetti iraniani avevano fondamento ed i buoni propositi di Obama circa il suo interesse nel rivedere le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti ed Iran non erano realmente oneste, fin dal loro abbozzo. I dispacci raccolti da Wikileaks rivelano anche fino a che punto gli Stati Uniti dispongano di informazioni distorte circa gli affari interni del paese. Le ambasciate statunitensi nei paesi che confinano con l'Iran, così come la maggior parte delle ambasciate occidentali a Tehran, ricevono informazioni da iraniani che ne condividono la linea politica o da altri che riferiscono ai loro corrispondenti quello che essi vogliono sentirsi dire, per motivi di ordine pratico. Questo si riflette in fatti come la sottoscrizione da parte di Obama di documenti a sostegno della diplomazia turca e brasiliana, e poi nel suo incredibile voltafaccia avvenuto immediatamente dopo la firma della Dichiarazione di Tehran.
Non è una novità, questa dei calcoli sbagliati in merito all'Iran, né episodi simili si limitano alle tornate elettorali. L'intera politica statunitense sul programma nucleare iraniano è basata su quello che agli occhi degli iraniani viene a maggioranza considerato un grossolano errore di calcolo. Il programma nucleare non è soltanto consideato dalla popolazione come qualcosa che attiene alla sovranità nazionale dell'Iran. Costituisce anche un investimento multimiliardario in dollari, che coinvolge decine di migliaia di iraniani, qualcosa che è nato svariati decenni fa. Di conseguenza si tratta di un qualcosa che ha il sostegno di quasi tutti i cittadini. Uno dei motivi per cui Ahmadinejad ha ottenuto due mandati presidenziali è che agli occhi della maggioranza non mostrava alcuna volontà di compiacere le potenze occidentali sulla questione del nucleare. Il nucleare è stato fondamentale nell'indebolire l'immagine del presidente Khatami, spesso considerato remissivo a cospetto delle pressioni occidentali.
Il wishful thinking che alcuni paesi occidentali sfoggiano circa le condizioni dell'economia iraniana ed un suo collasso sempre ritenuto come imminente è e rimane un pio desiderio. Nel corso delle ultime settimane i cosiddetti "esperti di cose iraniane" ed i mass media occidentali hanno ripetuto che il programma iraniano di riforma dei sussidi pubblici è segnale del fatto che le sanzioni sono efficaci. Anche questo mostra una profonda incomprensione di quella che è la realtà della Repubblica Islamica dell'Iran. Gli iraniani sanno bene che, contrariamente a quanto affermano le asserzioni delle segreterie di stato europee e statunitensi, le sanzioni sono state varate per far soffrire il popolo iraniano. L'imposizione delle sanzioni non ha fatto altro che far crescere la rabbia e l'ostilità nei confronti degli Stati Uniti.
Inoltre, il programma di riforma dei sussidi, fino ad oggi il programma di riforma economica più ambizioso mai messo in atto nella storia dell'Iran contemporaneo, rappresenta in realtà un segno del fatto che il governo in carica è forte e fiducioso nella propria forza. Del programma si è discusso per anni, ma vari governi non hanno trovato il coraggio di realizzarlo. Dopo un'attenta programmazione, l'attuale amministrazione ha deciso di adottarlo. Non si notano segni di sfiducia e moltissimi iraniani pensano che le riforme porteranno in futuro a sviluppare un'economia più forte. Coloro che criticano il governo, che siano di orientamento principistico o riformista, sostengono anch'essi per la maggior parte il programma. E' significativo che la valuta iraniana e le riserve auree abbiano in questo periodo raggiunto i loro massimi assoluti.
Questo non significa che l'Iran non stia cercando una via d'uscita all'impasse sulla questione nucleare, ma non c'è dubbio che affinché vi siano degli sviluppi positivi devono essere i paesi occidentali a muovere per primi e a riconoscere all'Iran il diritto di arricchire l'uranio per scopi pacifici. Al contrario di quanto si va dicendo in Occidente, l'orientamento della comunità internazionale è proprio questo, perché gli stati membri del movimento dei paesi non allineati, così come quelli che appartengono all'Organizazione della Conferenza Islamica, sostengono ufficialmente il punto di vista iraniano.
L'Iran, per circa due anni, ha fatto ben più che fermare il proprio arricchimento dell'uranio; ha fermato realmente e pressoché per intero il proprio programma nucleare ed ha adottato il Protocollo Addizionale. Ha permesso che la IAEA portasse a termine ispezioni intromissorie, molte delle quali non avevano nulla a che vedere con il programma nucleare e sembravano più operazioni di intelligence per conto del governo statunitense. Il fatto che la IAEA, un'organismo non democratico largamente influenzato dall'Occidente, non abbia trovato alcuna prova o altro che dimostrassero che il programma nucleare iraniano aveva mai avuto scopi diversi da quelli pacifici e purtuttavia continui ad opporsi al programma nucleare, rappresenta un'altra delle ragioni per cui gli iraniani ripongono poca fiducia nei governi occidentali. Le relazioni statunitensi con il regime israeliano, con l'India e con il Pakistan, che sono paesi tutti dotati di armi nucleari, sono relativamente strette, nel caso del Pakistan per esempio l'esistenza di un governo centrale debole ha fatto dubitare della capacità dell'esercito di impedire che queste armi cadano nelle mani dei talebani o di gruppi affini.
I politici americani si ingannano se pensano che i dispacci reperibili su Wikileaks che citano l'ostilità di una quantità di politici arabi nei confronti dell'Iran e del suo programma nucleare attestino davvero un rafforzarsi dell'atteggiamento statunitense nei confronti dell'Iran. Questi documenti se mai hanno l'effetto opposto, quello di indebolire questi già impopolari despoti davanti agli occhi dei loro stessi connazionali. Il fatto emerge se si osserva l'Arab Public Opinion Poll del 2010, che mostra come una grande maggioranza di arabi sia a favore del programma nucleare iraniano. L'inchiesta rivela anche che mentre l'88% degli arabi considera il regime israeliano come una minaccia ed il 77% pensa lo stesso degli Stati Uniti, l'Iran viene considerato tale solo dal 10% (come metro di paragone si può considerare il fatto che un altro 10% considera minacciosa l'Algeria).
Un altro grave errore degli esperti occidentali è pensare che il sostegno fornito dall'Iran alla Palestina ed al LIbano, ai palestinesi in special modo, abbia un carattere utilitaristico. Se si vanno a riprendere le posizioni politiche pre rivoluzionarie degli attuali governanti iraniani, si nota che la questione palestinese aveva un ruolo fondamentale nella linea politica degli oppositori allo Shah. Uno dei molti errori del cosiddetto movimento verde è stato l'aver mal valutato la profonda empatia diffusa in Iran nei confronti del popolo palestinese durante i disordini verificatisi a Tehran lo scorso anno, durante l'ultimo venerdi del mese di Ramadan. Il fatto che nello stesso periodo scienziati ed ex membri del governo siano stati rapiti ed uccisi da agenti israeliani non ha fatto altro che accrescere la rabbia popolare.
Il sostegno iraniano alla Palestina, al Libano e ai movimenti della Resistenza antisionista non accenna a calare ed ogni aspettativa occidentale secondo la quale se si verificano certe circostanze l'Iran cambierà politica è priva di fondamento. La linea politica ufficiale che l'Iran ha sempre seguito è quella di non riconoscere comunque Israele, perché si tratta di uno stato fondato su uno apartheid come quello posto in atto ai tempi dalla Repubblica Sudafricana, ma anche di rispettare ogni decisione in proposito che verrà presa dai palestinesi. Secondo il punto di vista iraniano, ogni decisione in merito dovrà riguardare tutti i palestinesi, sia quelli che vivono in Palestina che quelli che vivono al di fuori di essa; il che significa che della decisione dovrebbero partecipare anche i milioni di persone che vivono nei campi profughi. In Libano, la Repubblica Islamica dell'Iran sostiene l'indipendenza e la sovranità del paese e pensa che il Libano ed i civili libanesi possano essere protetti dall'aggressività israeliana soltanto tramite la Resistenza del Libano meridionale. Per questo motivo la Repubblica Islamica dell'Iran sosterrà Hezbollah ad ogni costo.
A Tehran è diffusa la forte convinzione che gli equilibri regionali stiano cambiando sensibilmente in favore di Hezbollah, dei palestinesi e della Resistenza antisionista. L'ascesa di una Turchia indipendente, il cui governo ha una visione globale molto diversa da quella dei governi statunitense, tedesco, inglese e francese, insieme al relativo declino dell'influenza regionale dell'Egitto e dell'Arabia Saudita, rappresentano segnali di un grosso mutamento negli equilibri geopolitici della regione. L'incapacità militare saudita di venire a capo delle tribù yemenite durante gli scontri di frontiera, il generale declino del regime egiziano sotto ogni suo aspetto, e la pressoché universale disistima che connota i politici di ambo i paesi e di altri regimi filooccidentali e delle loro élites corrrotte in tutto il mondo arabo vengono considerati segnali di un prossimo mutamento radicale degli equilibri. il fatto che il presidente iraniano ed il Primo Ministro turco godano di ampia popolarità nei paesi arabi, mentre la maggior parte dei leader arabi sono cordialmente detestati, è un altro segnale del fatto che la regione sta cambiando.
Qualcuno pensa che siccome il cosiddetto "asse della moderazione" sta declinando, assieme alle declinanti fortune degli Stati Uniti, Washington potrebbe avere la tentazione di intraprendere un confronto militare limitato con la Repubblica Islamica dell'Iran, prima delle elezioni presidenziali del 2012. Gli iraniani credono che questa eventualità sia molto improbabile. Ma credono anche che la stabilità o l'instabilità nell'area compresa tra il Mediterraneo e l'India sia indissolubilmente legata alla pace ed alla stabilità nella regione del Golfo Persico. Un'occhiata ad una mappa rende chiaro che l'Iran è in grado di affrontare minacce in tutta la regione ed anche al di là dei confini di essa. Se non vi sarà sicurezza per gli iraniani, essi pensano, non sarà al sicuro nessuno dei loro antagonisti nella regione. In queste condizioni gli Stati Uniti possono ben attendersi che petrolio e gas cessino di venir esportati dal Golfo Persico, dall'Iraq settentrionale o dall'Asia centrale. L'Iran sta acquisendo maggior familiarità con le ricorrenti minacce dell'esercito statunitense. Esiste anche la crescente convinzione che i governi occidentali abbiano interiorizzato il fatto che l'Iran è in grado di proteggere i propri cittadini. I governi occidentali devono riconoscere il fatto che l'Iran cerca la pace, ma non si fa intimidire dalle minacce di guerr; simili minacce fanno apparire i governi occidentali crudeli ed incivili. La clamorosa sconfitta subìta dal regime israeliano ad opera del molto più piccolo e molto peggio equipaggiato movimento di Resistenza nel Libano del sud, a Tehran viene ricordata con orgoglio.
L'Iran ha messo in conto di poter andare avanti senza intrattenere relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti nei prossimi anni, ed un numero crescente di giovani iraniani e di uomini d'affati stanno guardando a paesi asiatici come la Cina e l'INdia, al Brasile ed al Sud Africa per i loro studi superiori, per i loro affari e per le loro iniziative commerciali. Ma queste persone sono le stesse che ancora si chiedono se davvero non esista un loro potenziale partner negli Stati Uniti, qualcuno che possa rimodellare la politica estera statunitense e portare a reali cambiamenti nelle relazioni tra Iran e Stati Uniti.
Sayyed Mohamed Marandi è professore associato di letteratura inglese all'Università di Tehran. E' anche opinionista per varie trasmissioni di informazione e di attualità.