All'inizio del 2011 una serie di diversificate agitazioni nel nord Africa ed in Medio Oriente mette il gazzettaio sul chi vive: vengono cacciati Mubarak dall'Egitto e Ben Ali dalla Tunisia, vecchi acquisti del campo "occidentalista", e per un po' traballa anche al-Qadhdhāfī, unico dei tre a doversela vedere con una vera e propria guerra civile combattuta senza esclusione di mezzi e di colpi.
L'"occidentalismo" con le còtiche espresso dallo stato che occupa la penisola italiana si compendia in queste circostanze di qualche starnazzo e di un paio di prese di distanza: se non si muovono gli yankee, di "esportare la democrazia" non è nemmeno il caso di parlare.
Niente islamologia d'accatto, né grassoni buoni a nulla a fare il tifo per i bombardieri.
Nulla di nuovo: il solito avanspettacolo, che però trova sempre il fiato di auspicare -come fa da più di trent'anni- il crollo della Repubblica Islamica dell'Iran...

Trattare di grossi eventi in corso, quali insurrezioni vere e proprie o colpi di stato, espone innanzitutto al rischio di trarre conclusioni affrettate: il mainstream, ovviamente, in questo come in moltissime altre cose non è affatto d'aiuto.
Quella in Libia ha preso tutte le sembianze di una vera e propria guerra civile. Per adesso permette di trarre una sola conclusione non affrettata, cui è facile abbandonarsi viste le premesse ed il materiale (pressappoco) umano con cui si ha a che fare.
Questa conclusione riguarda l'abituale spettacolo di malafede, incompetenza e pressappochismo messo in scena anche in questo caso dalla classe politica peninsulare.
Altrettanto ovvio è il disprezzo che si deve avere per il giornalame. Il gazzettaio mescola ostinazione e spudoratezza cercando in tutti i modi di forzare le evidenze per dare di esse un'interpretazione compatibile con gli interessi "occidentalisti" e soprattutto col tornaconto elettorale della marmaglia governativa.
In questo caso, si tratta di derubricare a dittatore un al-Qadhdhāfī cui sono stati delegati dietro pagamento lavori peggio che sporchi, e la cui presenza era ed è essenziale per gli interessi elettorali "occidentalisti". Intanto che il regime -vocabolo raramente usato fino a qualche giorno fa per la Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista, di utilizzo quotidiano invece per la Repubblica Islamica dell'Iran- impiega per sgretolarsi tempi poco compatibili con le "poche ore" stabilite dai gazzettieri, intanto che l'occupazione dell'Afghanistan (retaggio di un mondo scomparso, verrebbe da dire) continua a costare cifre folli e a produrre esclusivamente morti ammazzati, nulla vieta di ostentare la sicurezza che "gli incidenti" si "estenderanno anche all'Iran".
Cialtroni da gazzettina e cialtroni da poltrona si augurano senza mezzi termini un altro bagno di sangue. L'hanno deciso loro, che la Repubblica Islamica è da anni trentadue "sul punto di crollare". Come osa, la realtà dei fatti, contraddire lo wishful thinking "occidentalista"?!
Eppure la Repubblica Islamica dell'Iran non soltanto continua ad esistere, ma continua a godere di un prestigio in ascesa e a pretendere prerogative che sono quelle di qualsiasi stato sovrano, in un contesto che a tutto fa pensare meno che al postulato "isolamento internazionale" di cui il gazzettame ciancia tanto. E' probabile che esistano motivi precisi, che è bene omettere con ogni cura di portare all'attenzione dei sudditi "occidentali".
L'analisi più agevole da fare riguarda ancora una volta gli stili della comunicazione politica, che sono tanto sintomatici quanto diametralmente opposti.
Sul registro e sull'agenda setting della comunicazione politica nello stato che occupa la penisola italiana non è neppure il caso di sprecare ulteriori parole.
Di al-Qadhdhāfī il gazzettame "occidentalista" apprezzava fino all'altro ieri, oltre alla sorprendente e preziosa venalità su citata, anche e soprattutto l'estrosa gestione della propria immagine pubblica.

Un blogger meno condiscendente pubblicava tra l'altro l'immagine qui sopra, in cui si paragona senza mezzi termini l'immagine del politico libico a quella di un cantante amriki, gratificandoli entrambi del titolo di "generalissimo da operetta".
Bene. La condiscendenza verso la politica ed i media "occidentalisti" pare che oggi come oggi conduca poco lontano.
Chi condiscendente non si mostra va invece incontro a successi elettorali e diplomatici tanto corposi quanto furiosamente denigrati dalle gazzettine. E' il caso di Mahmoud Ahmadinejad, che ha la repellente abitudine di far diffondere immagini che lo raffigurano insieme ai risultati ottenuti dalla ricerca scientifica della Repubblica Islamica (in "Occidente" ridotti alla bombatòmiha, va da sé) piuttosto che mentre frequenta attrici e prostitute.

Neppure Ismail Hanyieh ama fare notizia perché frequenta attrici e prostitute (sarebbe anche interessante stabilire un metro univoco per distinguere le une dalle altre): preferisce che si sappia che vive in una casa, grande ma sobria e condivisa con diciannove parenti, in mezzo al campo profughi di Shati.
Nulla di peggio, per la politica "occidentalista": comportamenti e valori simili contraddicono alla base la libertà "occidentale" di dare costante prova della propria abiezione e della propria adesione ad una concezione empia e sovvertita del mondo, e devono dunque essere delegittimati con ogni mezzo, come qualunque cosa preferisca la competenza alla ciancia, la concretezza alle fandonie, i problemi ai capricci, la resistenza alla remissività, la verità alle menzogne, la sobrietà allo spreco, la critica alla propaganda.
Al momento non è possibile dire se quelli che gli "occidentalisti" consideravano i propri baluardi in nord Africa ed in Medio Oriente contro la postulata barbarie del terrorismislàmiho responsabile d'insihurezzeddegràdo stiano o meno andando incontro ad un autentico processo rivoluzionario; l'impressione è piuttosto quella di assetti governativi a considerevole presenza militare. Di sicuro c'è soltanto l'ennesima conferma dell'incompetenza ciarliera e mendace con cui il gazzettaio reperisce e divulga le direttive della propaganda "occidentalista".