Il signor Elzir, imam di Firenze, presenta la riunione del 18 ottobre 2011

Il 18 ottobre 2011 si è tenuto a Firenze in una saletta di via dell'Agnolo un incontro inquadrato nel progetto di partecipazione "Una moschea per Firenze: è possibile parlarne senza alzare la voce?".
Come si legge sul sito che pubblicizza l'iniziativa,
L'obiettivo del percorso di partecipazione promosso dalla Comunità islamica di Firenze e Toscana è aprire un confronto pubblico, che coinvolga vecchi e nuovi residenti, cittadini musulmani e non, sul tema della realizzazione di una moschea a Firenze facendo emergere bisogni, aspettative, timori e priorità di ciascuno. Le indicazioni raccolte al termine del percorso di ascolto e coinvolgimento della cittadinanza serviranno alla Comunità islamica di Firenze per elaborare un eventuale progetto che sappia inserirsi nel miglior modo possibile nel contesto urbano fiorentino. [...] La gestione del progetto è affidata a un soggetto terzo e neutrale esperto in percorsi di partecipazione.
Davanti all'ingresso della struttura ha stazionato per tutta la durata dell'incontro un furgone della gendarmeria con una decina di militari in montura da "ordine" pubblico, particolare su cui si avrà motivo di tornare con calma. I partecipanti sono stati tutti registrati e videoripresi da più di un operatore.
Presentando la serata e prima di allontanarsi asserendo di non voler influenzare le discussioni con la sua presenza l'imam di Firenze Elzir ha tra le altre cose affermato, non certo per la prima volta, che l'iniziativa è voluta da una comunità islamica che intende realizzare qualcosa per la città. Ricordando le libertà costituzionali Elzir ha lasciato intendere che l'intera iniziativa, e soprattutto i settantacinquemila euro di costi che essa comporta per i sudditi, e che il gazzettame "occidentalista" lamenta ogni giorno come mal impiegati, avrebbero potuto benissimo essere evitati. Sarebbe bastato che le forze politiche "occidentaliste" non avessero fatto di un'islamofobia cialtrona e demenziale uno dei propri tratti distintivi, insieme alle continue lamentazioni sull'insihurezza e su i'ddegrado che in questa sede si ha molto spesso il piacere di disprezzare.
Nel suo discorso introduttivo il signor Elzir ha mostrato una padronanza della lingua ed una competenza argomentativa che i detrattori che monopolizzano il gazzettaio non arriverebbero a concepire neppure per ipotesi. Nella sentina che si autodefinisce "informazione libera" (o, peggio, "fuori dal coro") in tempi in cui il cicaleccio, l'urlo, l'aggressione fisica e verbale sono consustanziali ad una comunicazione politica che ha la sua abituale espressione nel linciaggio a mezzo stampa, la sicura tranquillità di una persona del genere ha poco diritto di cittadinanza e ancora meno diritto alla visibilità.
Le due ore dell'incontro hanno visto la partecipazione di un'ottantina di persone, più una decina tra gazzettisti ed altri addetti all'"informazione". L'acustica indescrivibile e la divisione dei partecipanti in tre gruppi hanno reso la discussione meno proficua di quanto avrebbe potuto essere, ma non impediscono di trarre alcune conclusioni sull'iniziativa e sui partecipanti, ad ovvio ed ulteriore detrimento per la marmaglia "occidentalista".
I toni, compatibilmente con un contesto in cui era difficile farsi sentire, si sono mantenuti sempre estremamente concilianti: solo da un dei tre tavoli ad un certo punto si è levato un inizio di concione quasi incomprensibile, ma nel quale ricorreva l'espressione "islàmme moderàho". A tanto si è limitata la presenza in spirito di Magdi Condannato Allam.
Per quanto ci è dato sapere i pareri alla moschea sono stati tutti favorevoli; alla discussione hanno portato contributi professionisti dell'architettura, delle scienze sociali e dell'educazione. Tutte persone che un trascurabile scaldatore di poltrone che risponde al nome di Tommaso Villa gratifica dell'appellativo di "truppe cammellate", in un articolo su quel "Giornale della Toscana" che unico è costretto a pubblicare ogni giorno il collodio di individui di questo genere.
Il problema autentico, per gli "occidentalisti", è che l'iniziativa ha visto il contributo di molte persone in grado di esprimersi con un grado variabile di competenza e di interesse, e di nessun mangiaspaghetti disposto a "dialogare" secondo la concezione "occidentalista" del vocabolo, che prevede l'inondazione dell'interlocutore con una valanga di insulti e di accuse ed il passaggio alle vie di fatto, alla delazione o alla denuncia appena esso accenni la minima reazione.
Quando le iniziative sono davvero aperte -bastava iscriversi- il metodo "occidentalista" della claque mediaticamente rivendibile perde efficacia ed espone i suoi partecipanti a reazioni logicamente e meritatamente pericolose per l'incolumità personale. Ecco una delle possibili spiegazioni dei gendarmi all'ingresso: a Firenze un "occidentalista" può comparire in pubblico solo con una forza pletorica a difenderlo.
A tanto sono, molto giustamente e molto logicamente, ridotti.
Ognuno ha quello che si merita.
Una discussione svolta con le modalità su riassunte si traduce di fatto in quello che nel linguaggio "occidentalista" è la deplorata "mancanza di partecipazione": il vocabolo partecipazione, nel gergo di quelli lì, significa "agibilità mediatica per qualcuno che urla e ciarla, saturando il canale mediatico e togliendo visibilità alle persone perbene". L'incontro del 18 ottobre era fatto da persone competenti e per persone competenti, il che ne ha giustamente escluso in partenza qualunque "occidentalista", per quanto ben vestito.
L'effetto della propaganda "occidentalista" è stato comunque notato, e riportato con malcelato disprezzo, da una delle partecipanti alla discussione, lavoratrice nel settore dell'istruzione primaria. Un aneddoto che l'ha vista testimone è servito, in mezzo a tanti altri, ad avvalorare la forza squassante dei luoghi comuni che il gazzettaio "occidentalista" diffonde senza requie in nome del tornaconto elettorale. Questi luoghi comuni hanno validamente contribuito ad isolare di fatto, secondo quanto descritto, centinaia di bambini: non certo per mancata integrazione, quanto per un'integrazione avvenuta con pieno successo. In "Occidente" gli individui vengono definiti esclusivamente dai loro comportamenti di consumo ed è sufficiente non consumare gli stessi beni che tutti consumano per essere considerati con un certo sospetto: il Libro dei Ceffi gronda autoschedature in cui si apprezzano cose rarissime e preziose, come "patate fritte" o "la punta di cioccolato" di certi gelati industriali. In questo contesto i bambini si definiscono e dividono tra loro come consumatori o non consumatori di carne di maiale, e definiscono le loro madri come aderenti o non aderenti all'uso dello hijab. La nefanda "integrazione" cui gli "occidentalisti" dicono di tenere tanto pare avviarsi a completamento.

Il nostro parere su una moschea fiorentina è noto, ma non è mai male ripeterlo.
Dal momento che chi lavora tutto il giorno non jha alcunché da temere da parte di gente che non beve vino, non mangia maiale e non sperpera denaro in abiti costosi, pensiamo che la moschea si debba fare, si debba fare a spese pubbliche sottraendo esplicitamente risorse ai capitoli "sicurezza" e "gendarmeria", si debba costruire con materiali di pregio ed avendo in mente un edificio che sia degno della città di Firenze, secondo le stesse linee di pensiero seguite a suo tempo per la sinagoga di via Farini. La miglior collocazione per l'edificio sarebbe a nostro avviso il lato orientale di piazza Ghiberti, una volta sgomberati e demoliti, possibilmente con gli stessi sistemi che gli "occidentalisti" vorrebbero usare contro i centri sociali e le case occupate, gli edifici che vi sorgono e che da troppo tempo ospitano attività e macchinazioni alla base di un degrado e di una insicurezza tanto autentici quanto invisibili ad occhi "occidentalisti".

Bisogna concludere che, sì, di una moschea a Firenze è possibilissimo parlare senza alzare la voce. Basta mettere l'occidentalame, gazzettiero e non, in condizioni di non poter intervenire senza esporsi ad un ovvio e meritatissimo dileggio.