Alastair Crooke: "L'Occidente ha calcolato male la portata dell'ira araba in tutto il mondo"
La recente ondata di proteste antiamericane viene a ricordare ai governi occidentali che il mondo arabo non è disposto a tollerare tentativi di intromissione che manipolino il "risveglio arabo" in modo favorevole alle potenze straniere, ha detto ad RT il diplomatico ed ex agente segreto Alastair Crooke.
Nei trent'anni trascorsi a servizio del governo di Sua Maestà, Alastair Crooke ha operato in situazioni calde in tutto il mondo, dagli aiuti ai mujaheddin afghani contro i sovietici alle relazioni coi gruppi politici ribelli in Irlanda del nord, in Cambogia ed in Colombia. Come ex iniviato speciale in Medio Oriente dell'Unione Europea, ha condotto le trattative per molti cessate il fuoco tra stato sionista ed i movimenti palestinesi Fatah e Hamas.
Adesso lavora come direttore di Conflicts Forum a Beirut, dove RT lo ha raggiunto per avere da lui un'intervista in esclusiva.
RT: Allora, cominciamo con la recente ondata di violenza antiamericana che ha percorso il Medio Oriente; si tratta a suo avviso di una serie di iniziative coordinate, o è soltanto una reazione a quello che sta succedendo?
Alastair Crooke: Mi sembra che quello che è successo in Libia sia stato frutto di un piano preordinato e ben congegnato. Molto ben congegnato, intendo. Non si tratta di un qualcosa di piovuto dalla luna. Il tutto ha coinciso con l'anniversario dell'11 settembre e sembra anche trattarsi di qualcosa di più serio. Con questo, non intendo dire che tutto quello che è successo in questi ultimi tempi sia stato pianificato a tavolino, ben architettato o ben ordito. Quello che ha lasciato il segno è il fatto che esiste una rabbia latente ma reale per quello che questa gente considera come una continua aggressione (così loro la vedono) da parte dei paesi occidentali contro le loro tradizioni, la loro cultura e il loro modo di vivere in questa regione.
Gli ultimi avvenimenti, l'improvviso esplodere della violenza salafita a Bengasi, si sono svolti in quella Libia che l'America considerava come la sede privilegiata per la nuova epoca emergente. Questa esplosione obbligherà l'Occidente a porsi certe domande tutte in una volta, e a cominciare quel processo di profonda riconsiderazione degli eventi in corso di cui c'è bisogno. Non si tratta affatto della primavera araba cui tutti pensavano. Non è il caso di un popoli oppressi che si ribellano ai loro oppressori. Si tratta di una questione molto più complessa e quello che noi vediamo è soltanto quello che ricopre le dinamiche veramente in gioco. Quello che sta succedendo è che gli stati del Golfo -Arabia Saudita, Qatar ed altri- stanno cercando ci creare un blocco sunnita nei territori occidentali dell'Islam, così come stanno cercando di creare un blocco sunnita-salafita nei territori orientali; in questo stanno avendo successo. Adesso tocca alla Siria. E questo causa forti disordini e forte conflittualità interna al Medio Oriente.
Riferendosi all'uccisione dell'ambasciatore statunitense in Libia, il Segretario di Stato Americano Hillary Clinton ha detto "Come può essere successo questo in un paese che abbiamo aiutato a liberare?" Cos'è che sfugge ai responsabili della politica americana quando decidono di sostenere o di interferire negli affari di qualche paese che ha un atteggiamento complesso nei confronti dell'Occidente?
Io penso che quello che è successo abbia causato autentica apprensione e un vero trauma negli Stati uniti, perché spadroneggia ovunque questa narrativa secondo la quale il risveglio arabo stava andando nella direzione voluta dall'Occidente... Questa certezza era in buona parte basata sulla narrativa facilona diffusa dal mainstream occidentale, che diceva "Guardate, usano il Cinguettatore e il Libro dei Ceffi, quindi deve trattarsi di qualcosa di filooccidentale". Eppure, basta dare un'occhiata per vedere che i gruppi salafiti usano anch'essi il Cinguettatore e il Libro dei Ceffi, ma non lo fanno per promuovere per forza i valori occidentali. Io penso che il presentare le cose in questo modo abbia alimentato la convinzione che si trattasse di qualcosa che andava nella direzione voluta dall'Occidente: ai paesi occidentali farebbe bene svegliarsi.
Al momento assistiamo ad un'alleanza, sia pure tacita, tra gli elementi radicali e gli Stati Uniti d'America per abbattere Assad com'è stato abbattuto Gheddafi. Ma alla fine di tutto questo, in quali direzioni si volgerà la loro rabbia? Quale obiettivo punteranno? Torneranno a puntare l'America e lo stato sionista, proprio come prima.
L'Occidente si sta ingannando. Per venticinque anni ho visto gente pensare di poter usare ai propri fini i salafiti, creduti dei semplicioni devoti che non capiscono la politica, solo per scoprire poi che erano stati i salafiti ad usare loro per i propri scopi. Temo che questo stia succedendo di nuovo. Alla fine questa convinzione si rivolterà contro di loro e li morderà a sangue, come già successo venticinque o trernta anni fa.
Quale lezione gli Stati Uniti non hanno imparato dall'Afghanistan? Quelle vicende hanno qualche cosa a che fare con quello che sta succedendo oggi?
Ricordo che nel 1987 ebbi dei colloqui con gli americani su questo argomento; gli dissi "Sapete, avete davvero bisogno di capire che esistono grosse differenze tra i gruppi che compongono l'alleanza che avete messo insieme, e dovete anche capire che alcuni di essi sono radicati e godono di credibilità, mentre altri non sono radicati affatto e di credibilità non ne hanno alcuna: ci sono delle grosse differenze". Ricordo ancora che gli americani con cui parlavo mi dissero, per bocca di un senatore che si rivolse a me: "Ascolta Alastair. Grazie per averci avvisato di questi gruppi in Afgjanistan, ma guarda, voglio solo dirti che sono gli unici che hanno davvero preso i comunisti a calci in culo". Così abbandonammo la questione e non volemmo sapere cosa stava davvero succedendo. Abbiamo preferito non guardare perché sul fronte interno conveniva, conveniva con il signor Reagan e con la signora Tatcher: le cose stavano andando bene.
Adesso, abbiamo preso a calci in culo Gheddafi e stiamo prendendo a calci in culo Assad: questo del prendere sempre a calci in culo qualcun altro in Occidente è uno sport popolare, e fa comodo per tenere buono l'elettorato. Così non ci preoccupiamo di nulla. Chi c'è a combattere in Siria? Chi è che ha combattuto in Libia? Quali sono i loro veri obiettivi? Vogliono soltanto costruire una società più liberale, più democratica, meno soffocante, come alcuni in Occidente immaginano? Assolutamente no.
Venticinque o trent'anni fa la gente non voleva ascoltare, parlare come parlo io era impopolare allora come è estremamente impopolare oggi.
Così l'Occidente avrebbe sbagliato i propri calcoli, o scelto le alleanze sbagliate?
Io credo che l'Occidente abbia sbagliato ogni valutazione di quello che sta succedendo. Ha fatto una scelta, ha messo in piedi una visione dei fatti a proprio uso e consumo. Era una visione dei fatti ottimistica, in cui davvero ogni cosa nell'iniziale risveglio -che aveva un carattere popolare e si avvaleva di una genuina partecipazione popolare- indicava una rivendicazione dei valori europei e dei valori americani. Questa narrativa ha completamente sbagliato la lettura degli eventi: non si trattava di questo. Nei fatti si trattava -e questo già era chiaro- di una protesta contro l'ingiustizia e la disuguaglianza. Si trattava di una protesta contro il neoliberismo. Di una protesta contro il sostegno senza incrinature dell'Occidente allo stato sionista e alle sue politiche contro i palestinesi. Il fatto poteva non essere pienamente evidente in mezzo a tutto quel frastuono, ma la ragione per cui dittatori come Mubarak erano tanto impopolari è proprio il fatto che erano strumenti dell'Occidente, strumenti dell'oppressione sui palestinesi. Quello che sempre sottende le proteste che hanno avuto luogo non è l'abbraccio dei valori occidentali, ma la reazione ad essi. Penso che l'ondata di violenze appena verificatasi contro le ambasciate occidentali -non soltanto quelle statunitensi, quelle dei paesi occidentali in genere- sottolinei in modo simbolico e brusco i limiti dell'influenza occidentale nella regione. Siamo davanti ad un colpo di freno al tentativo degli occidentali di plasmare e modellare il cosiddetto risveglio arabo secondo i propri scopi. Un colpo di freno al tentativo di piazzare i loro uomini, o dei successori comunque favorevoli, a garanzia dei loro interessi nella regione.
Veniamo adesso alla Siria. Come considerare il conflitto oggi in corso? A questo punto c'è ancora una pace possibile, o il punto di non ritorno è stato superato?
Non credo che fino ad oggi ci siano state vere possibilità di pace. Non c'è stato alcuno spazio per i negoziati perché l'Occidente non ha voluto che l'opposizione intraprendesse alcun negoziato serio a meno che non si fosse dato il caso di un completo crollo della presidenza Assad e del sistema politico siriano... Penso che ci potrà essere spazio per le contrattazioni in un prossimo futuro ed io spero che l'Occidente, invece di ridicolizzare e minimizzare i tentativi dei russi di cercare di arrivare ad una soluzione negoziata, si adoperi invece per sostenerli. La Russia ha un ruolo fondamentale. Se deve esserci un negoziato tra le due parti, l'opposizione deve poter godere di qualche garanzia. E chi può fornire queste garanzie? Le Naziohi Unite assolutamente no. L'Occidente? La Turchia? Neppure. Soltanto la Russia può svolgere questo ruolo. Mi dispiace per i negoziatori delle Nazioni Unite, ma l'ONU in questo momento non ha alcun credito o alcuna vera legittimazione in Siria, presso nessuna delle due parti.
E' il caso di temere che la violenza tracimi dalla Siria in Libano, costituendo un pericolo per la coesione sociale in quel paese?
Certamente. Di questo siamo tutti preoccupati perché gli avvenimenti hanno già avuto ripercussioni in Libano. Hanno polarizzato la politica libanese ed hanno portato a scontri aperti a Tripoli, in scontri a Beirut e nel sud, a Sidone, che sono riflessi di quanto sta succedendo. Il Libano è estremamente vulnerabile ai conflitti settari di questo tipo, ma lo sono anche la Giordania e l'Iraq. Vediamo che ovunque gli effetti sono gli stessi; il conflitto colpisce tutto il Medio Oriente e se prosegue -e proseguirà di sicuro se si continua a mandare in Siria armi e denaro- proseguirà per molto tempo. Non esiste governo che possa fermare gruppetti di due o tre persone o le autobombe. Se il conflitto continua, le tensioni si acutizzeranno, ma il fatto è che potranno esplodere anche fuori dalla Siria. Penso che in molti casi, quando le cose arrivano a questo punto, siano gli stati confinanti ad essere più vulnerabili: i vicini della Siria potrebbero rivelarsi più vulnerabili ad una conflagrazione ed alla guerra civile di quanto non lo sia la Siria stessa.
Al momento lo stato sionista è rimasto sorpendentemente non toccato dall'ascesa dell'Islam radicale, o almeno così si direbbe di primo acchito. Le cose andranno avanti in questo modo o ci saranno dei cambiamenti?
Io penso che al momento sia indubitabile che la questione palestinese sia passata quasi in sottordine: difficilmente trova la ribalta. Non credo però che le cose andranno sempre avanti così. Credo che la questione palestinese abbia avuto un ruolo chiave così importante nella definizione dell'identità di tanti stati sovrani -che si tratti dell'Egitto, o della stessa Siria- che quando le cose si calmeranno la questione palestinese finirà per riemergere. Certo che lo stato sionista non è immune dagli eventi; può non risentirne nell'immediato, ma attenzione. Quello che è successo implica mutamenti radicali come quelli che il Sud Africa ha attraversato tanti anni fa, al tempo dell'implosione dell'Unione Sovietica. Oggi, tutto ad un tratto, lo stato sionista si trova circondato, oggi come oggi dalla parte del confine egiziano, e forse presto anche da quella della Giordania ed altrove, da una regione che ha caratteristiche profondamente diverse rispetto a quelle che aveva prima.
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