A fine febbraio 2013 Kelebeklerblog pubblica la storia di una mobilitazione cittadina.
Gli abitanti del quartiere fiorentino di San Frediano non hanno alcun vantaggio da trarre dalla prospettata costruzione di un parcheggio interrato ed hanno raccolto almeno 1400 firme contrarie.
Sono 1400 firme vere, non cliccatine sul Libro dei Ceffi o messaggini sul Cinguettatore.
Poi sono passati alle manifestazioni e agli striscioni e la cosa è arrivata al mainstream locale, che al momento non ha ancora trovato il modo di delegittimare le istanze di queste persone bollandole come terroriste. L'intraprendenza gazzettiera è comunque cosa nota, quindi è probabile che non si tratti altro che di una questione di tempo.
Come in una precedente occasione riportiamo per intero lo scritto di Kelebeklerblog perché si tratta in ogni caso di una iniziativa meritevole di essere pubblicizzata e condivisa, condotta contro il progresso e a favore della civiltà.
La civiltà sarebbe quella cosa un po' più scomoda e un po' più pulita, che in quanto tale non piace ai ben vestiti e alle poco vestite. E che ha ancora estimatori in grado di procurare piccoli fastidi a certi angelici boiscàut.
Lo scritto si intitola "Dall'Oltrarno: il Bello, il belloccio ed il Nidiaci". Nel testo, che presentiamo integralmente assieme alle immagini che lo accompagnano, ricorre il vocabolo che indica nel parlare comune lo stato che occupa la penisola italiana. Ce ne scusiamo come sempre con i lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.

L’altro ieri [il 21 febbraio 2013], il sindaco Matteo Renzi, nel suo solito stile, ha ingiunto ai candidati del Pd “Rendete l’Italia bella come Firenze”.
Ora, io abito in una parte particolarmente bella di Firenze, quella vicino alla Chiesa del Carmine, dove non ti puoi permettere di sostituire una ringhiera su un balcone perché, appunto, Firenze è bella.
Così bella, che – come vi abbiamo già raccontato e graficamente illustrato – il signor Leonetto Mugelli, muratore in tutti i sensi, ha pensato bene di costruirci tre palazzi nuovi nuovi, di cui uno direttamente attaccato alla Chiesa del Carmine e un altro che chiude l’unica vista sul dietro della stessa chiesa.
Che la chiesa sarà bella, ma lo sono pure i palazzi del signor Leonetto Mugelli, almeno quanto le migliori villette a schiera della Brianza.
Un anziano artigiano mi dice che a Sesto Fiorentino, che è dove vanno a finire i profughi dal Bello, un suo cliente ha un capannone industriale che è troppo grande da vendere tutto insieme, ma la Soprintendenza non gli permette di farci un muro divisorio all’interno, che alla bellezza ci tengono.
All’ennesima protesta per le creazioni di Leonetto Mugelli, Matteo Renzi ha risposto a modo suo: una segretaria ha telefonato il 30 gennaio scorso a casa alla persona che protestava di più, invitandola gentilmente a smetterla, perché era tutto in regola.
Anche la Soprintendenza, diceva, trovava inappuntabili i palazzi di Leonetto Mugelli. Cosa che non sorprende, visto che Leonetto Mugelli lavora (quando trova il tempo) anche per la Soprintendenza. Da tanto tempo da essere riuscito a farsi processare per i “restauri d’oro” nel 1987 e di nuovo nel 1994 per una storia di tangenti. E leggiamo che nel 2012, la Mugelli Costruzioni, la stessa ditta che ha fatto le tre palazzine, è stata invitata a partecipare al bando di concorso per il restauro delle Cappelle Medicee.
Proprio accanto ai tre palazzi nuovi nuovi del signor Leonetto Mugelli, impera l’Amore e Psiche Holding di Salvatore Leggiero, che per la modica somma di 800 mila euro (come apprendo dalla Nazione di ieri) si è preso all’asta Palazzo Nidiaci, che assieme a due altri acquisti adiacenti forma “duemila metri quadri di consistenza immobiliare“; e con i duemila metri quadri, ci va pure un terzo circa del giardino davanti.
Ora, qui sappiamo tutti che il vecchio proprietario si era appellato più volte invano al Comune perché si prendesse il Nidiaci. E quando ha dovuto dichiarare il fallimento, il Comune non si è nemmeno degnato di presentarsi alle due aste che si sono tenute.
Infatti, non solo c’è un altro palazzinaro (ladrillero li chiamano, con una bella assonanza, in spagnolo) alle spalle del Carmine: quel palazzo e quel giardino erano pure l’unico spazio verde del quartiere, il giardino-ludoteca Nidiaci, dove dal 1923, sono cresciuti i bambini di San Frediano.
Sì, fanno novant’anni, in questo quartiere marginale della vecchia città, dove vivevano in piccole case quelli che avevano lavorato sodo per i ladrilleros della seconda metà dell’Ottocento. Parliamo dei ladrilleros che avevano sventrato e distrutto il vecchio centro storico – all’epoca non la chiamavano ancora “valorizzazione”, ma una fiera lapide nella bruttissima Piazza della Repubblica canta le gesta dei vincitori del Bello:

L’ANTICO CENTRO DELLA CITTÀ
DA SECOLARE SQUALLORE
A VITA NUOVA RESTITUITO

Il Corriere Fiorentino ci ricorda in un articolo di ieri cosa ha significato il Giardino del Nidiaci, e corrisponde anche a quel che ho sentito io dagli stessi anziani che mi raccontano, magari esagerando, di come i celerini ai tempi di Scelba, quando caricavano, si fermassero sempre al ponte, perché sapevano che di qua le donne dell’Oltrarno li avrebbero fatti a pezzi (come le gentili signore del quartiere hanno veramente cacciato a bastonate gli spacciatori da Piazza Tasso, ma quella è una storia più recente).
In questo quartiere, nel dopoguerra, ci fu un meraviglioso gruppo di persone: Fioretta Mazzei; Don Cuba, che si chiamava in realtà don Danilo Cubattoli; la contessa Ghita Vogel e l’insegnante Carla Senatori; la prima custode del Nidiaci Tosca Pagni, tutti legati alla figura di Giorgio La Pira. Cattolici, quindi, in un quartiere segnato da conventi e chiese; e certamente anche un po’ comunisti in un quartiere decisamente di sinistra.
Don Cuba, al centro, con Ghita Vogel alla sua sinistra e Fioretta Mazzei, prima a sinistra nella foto

Ecco cosa fu il Nidiaci di quegli anni:

«Gli artigiani dell’Oltrarno ci davano una mano: il falegname ci dava il legno, il tipografo l’inchiostro per stampare i Vangelini per la Madonnina del Grappa – racconta ancora Carla Senatori. E poi, a proposito dell’orto, ho ancora nitida una scena indimenticabile: c’erano due bambini affetti da sindrome di down e si rincorrevano canzonandosi perché il primo diceva al secondo di essere riuscito a far crescere un ravanello più grande». Niente televisione, a quei tempi. Si giocava a calcio, pallavolo e i palloni volavano spesso nell’orto dei frati della basilica del Carmine.
Verso i primi anni Sessanta ci pensò don Danilo Cubattoli, don Cuba, a portare un piccolo cinema al Nidiaci. E poi c’era Ghita Vogel che, nella sua casa vicina, ospitava i ragazzi del carcere minorile per favorirne il reinserimento. «Bisognava crederci, e tanto, per andare avanti, perché era un’esperienza unica ma che richiedeva grande sacrificio – dice Carla Senatori – Non c’erano tutte le comodità di oggi: negli anni Sessanta, in via di Camaldoli e del Leone, non c’erano ancora i bagni in casa, così il sabato mattina il bagno ai ragazzi lo facevamo noi al Nidiaci. A noi San Procolini ci chiamavano cattocomunisti: la sera c’era la preghiera aperta e ognuno scriveva la propria mentre la musica ci accompagnava».

Il gruppo consiliare di Valdo Spini, che è all’opposizione da sinistra, ha presentato un po’ di tempo fa un’interrogazione urgente per il Nidiaci. Sono interrogazioni cui l’amministrazione dovrebbe, per regolamento, dare risposta entro trenta giorni.
L’altro ieri, la segreteria di Valdo Spini ci manda questo messaggio:

“Salve,
anche in relazione alle vostre future iniziative in proposito, vi comunichiamo che l’interrogazione presentata dal  consigliere Spini su “Nidiaci” è scaduta (30gg) e non ha ancora avuto risposta dalla giunta.”

Convochiamo un corteo per il Nidiaci.
Non l’avevamo mai fatto ed eravamo un po’ preoccupati. Anche perché c’era in giro un’influenza micidiale, uno dopo l’altro, i genitori ci rispondevano, “io verrei, ma ho la bambina malata”.
Arrivo un quarto d’ora prima all’appuntamento, e siamo in tre: io, una pioggia incessante e una macchina della polizia.
E poi non so come, la strada si riempie e siamo forse un centinaio, forse un po’ meno, ma per le dimensioni del quartiere non è affatto poco. Anche perché ben pochi avranno fatto un corteo in vita loro.
Non è certo più il mondo di Don Cuba, i cui ragazzi ormai saranno quasi tutti dispersi altrove (magari nei capannoni di Sesto); ma c’è un mondo vero lo stesso, dove alle vivaci popolane storiche si affiancano la mamma inglese che sulla carrozzina porta due bambini e un cartello, e quella filippina con le sue bambine, i ragazzi dall’aria decisa (agguerriti tifosi di una squadra di calcio che mi dicono stia in serie C o giù di lì, che hanno anche fatto uno dei migliori studi sull’urbanistica di Firenze che si possa trovare) che reggono lo striscione “IL QUARTIERE A CHI CI VIVE E NON A CHI CI SPECULA” e tanta altra gente.
E quando passiamo davanti al cancello chiuso del Nidiaci, troviamo che a forza di vedere il quartiere coperto di manifestini che parlano di lui e di guardare i giornali che parlano di noi, Salvatore Leggiero ha deciso di togliere parte del Muro che aveva eretto contro i bambini del quartiere: non risolve certo il problema, ma è sempre più di quel che è riuscito a fare il Comune.


All’angolo di Piazza Tasso, il bucato appeso alla finestra che sarebbe più vietato che costruire palazzi, perché dove regna il Bello, chi non ha pane o asciugatrice, mangi brioche a Sesto. E assieme al bucato, la bandiera NoScav della resistenza del quartiere.
Sotto, un’immagine rinascimentale, che poi è una copia di mezzo secolo fa, ma è bella lo stesso.
A sinistra, che quasi non si vede, c’è la Rosticceria Casalinga – così dice l’insegna – di Lucia, che poi è il take-away cinese della signora di cui vi avevo già raccontato la storia. E siccome le figlie devono starsene chiuse entrambe nel locale tutto il giorno quando escono da scuola, Lucia spera tanto che si possa riaprire il Nidiaci. Lucia è dentro il quartiere, i ladrilleros no.
Non fatevi abbellire anche voi.