Perché io, perché non tu è la terza prova letteraria della combattente irregolare Barbara Balzerani, uscita per DeriveApprodi nel 2009. Il libro appartiene allo stesso filone autobiografico dei primi due ed è definito romanzo perché, pur essendo costituito da quattordici capitoli autonomi, presenta un andamento cronologico lineare -senza escludere i flash back- che attraversa tutte le fasi della vita dell'A., dall'infanzia alla lotta armata fino alla lunga prigionia e alla successiva semilibertà. In tutto il testo si trovano riferimenti a luoghi e persone mai nominati esplicitamente, ma che il lettore minimamente al corrente della storia della formazione armata cui l'A. appartenne non avrà difficoltà a identificare. La prefazione è di Erri de Luca, che nel precedente La sirena delle cinque compariva invece con uno scritto conclusivo. Lo scrivere come opera di due "vicoli ciechi", come de Luca qualifica se stesso e l'A. dal momento che nessuno dei due ha avuto figli, vi viene indicato come modo di raccontare a chi non c'era e non come genitorialità surrogata, presentando l'opera della Balzerani come quella di una voce pur sottile che non ha permesso a nessuno di toglierle il diritto di parola.
Il primo testo, Che vuoi fare da grande? si apre con le impressioni di un inizio di giornata in una grande città -verosimilmente Roma- a ventunesimo secolo abbondantemente iniziato. L'incontro con una figura marginale è occasione per interrogativi sui percorsi di vita e sulle variabili che li influenzano, che finiscono per approdare al ricordo del primo incasellamento classista -con relativa umiliazione- subito dall'A. in occasione di un carnevale: il suo travestimento da contadina additato con sufficienza dalla padrona di un negozio da cui uscivano costumi riservati ad altre tasche. "La storia di ciascuno si decide nei primi anni. Poi le occasioni la indirizzano".
Rosa, rosae... L'ultimo giorno di liceo dell'A. capitò nel luglio 1968. La scuola come occasione che è un dovere fare di tutto per cogliere e conservare, in un ambiente che finalmente cambia rapidissimo e in cui i non designati trovano qualcosa di diverso dalla destrezza di mano o dalla fatica fisica per farsi valere, scoprendo che i privilegi e i privilegiati non sono inamovibili e non sono incontestabili. Da qui fino al trasferimento in una Roma continuamente percorsa da cortei enormi e scossa da scontri di piazza.
Il ricordo delle vicende di un nipote scampato a un tentativo di suicidio e una riflessione sul fatto che Succede, in qualche caso, che gli eventi nella storia di vita prendano una piega tale da far scomparire qualsiasi interrogativo sul cosa fare da grandi. Spesso senza che per questo vi siano spiegazioni.
Quella del Vivere a vista è la condizione del prigioniero in isolamento. Una solitudine in cui manca ogni intimità. Ricordi dai primi tempi della detenzione, i rapporti a distanza con le altre prigioniere e quelli più ravvicinati con il personale di guardia, in un ambiente fisicamente freddo persino in piena estate dove la contrapposizione tra carcerati e carcerieri prende forme sempre rumorose, di inimicizia stereotipata.
Il tempo della detenzione: gli anni che passano velocissimi pur essendo fatti di giornate che non passano mai. Finché il numero dei prigionieri non inizia ad assottigliarsi per le malattie, lasciando a chi resta La colpa dei sopravvissuti, il loro "non aver condiviso il non condivisibile della solitudine dei moribondi".
Chi c'è nelle celle? Invocazione e presentazione all'arrivo in un carcere nel nord della penisola italiana, mesi dopo l'arresto, da cui passa la prima presa di contatto con il nuovo ambiente. Il trasferimento come interruzione dei rapporti con la madre, la "linea rossa" di limiti precisi all'intraprendenza perquisitoria dei carcerieri come resistenza all'istituzionalizzazione totale.
Grigio padano accenna in poche pagine alla per nulla facile convivenza carceraria tra combattenti catturati. Nella "seconda casa dei rivoluzionari" la rivoluzione continua a non essere un pranzo di gala. Specie quando "non c'è più nulla da voler condividere, specie il prezzo del fallimento".
Come hai fatto a sopportare? L'incontro con una prigioniera torturata dopo la cattura e il suo ricorso a una sorta di sdoppiamento per evitare di soccombere. Il ricorso alla stessa tecnica da parte dell'A. in circostanze diverse ma comunque traumatiche nei primi tempi della semilibertà. La fine dei processi, le condanne in giudicato, il periodico accampare da parte degli apparati repressivi un'emergenza "quasi evocandola, mai depotenziandola" a pretesto per quella che dopo decenni pare più vendetta che giustizia, dato che ormai ha per bersaglio "qualche scampato in esilio da anni, con domicilio dichiarato e figli a carico".
La lunga detenzione che impone una "vivibilità adeguata al tempo del disarmo" è argomento de L'insalata nel bidè, digressione sugli aspetti meno alati dell'arte di arrangiarsi nella convivenza di ogni giorno e -soprattutto- su lavori all'interno e all'esterno del carcere che hanno messo l'A. a contatto con esistenze la cui storia individuale ha pesantemente influenzato quello che avrebbero "fatto da grandi".
In Tutta suo padre la rievocazione del miscuglio di senso di fame e nostalgia che contraddistingue lo stato d'animo del prigioniero serve a un excursus su memorie infantili e familiari legate allo stesso tema, prima di affrontare quello delle reazioni di chi sapeva che prendere atto del percorso di vita di una zia o di una figlia che le gazzette ritraevano come "la terrorista dagli occhi di ghiaccio" e delle sue conseguenze non sarebbe stato facile da nessun punto di vista.
Genova per noi raccoglie impressioni sull'inizio del ventunesimo secolo. Gli storni come indizio degli sconvolgimenti ecologici, il silenzio di chi studia considerato dai carcerieri con stupore a fronte del fracasso quotidiano, il mondo che cambia e rende insufficienti o inadeguati i vecchi strumenti per interpretarlo. La perdita oggettiva della centralità che l'"Occidente" si era autoattribuito, senza che questo abbia fatto scemare la voglia di farla finita con i miscredenti nelle sue magnifiche sorti. Le manifestazioni del luglio 2001 viste in televisione, con i manifestanti talmente sicuri delle proprie ragioni da non sapere neppure concepire l'idea che per gli scontri di piazza si potesse ricorrere a strategie efficaci, contro un nemico che eleverà tranquillamente a reato anche la resistenza di chi non era intenzionato a farsi massacrare. La "massa variopinta unita dal volere possibile un altro mondo" che viene buttata fuori senza mezzi termini da ogni spazio di decisione, in un "paese stremato da una feroce indifferenza, accecato dai miti della sicurezza, arroccato a difesa dei propri favori".
La scopa lavata. Il reclutamento fra i combattenti irregolari, la necessità di una base reperita affittando (a nero) un appartamento, la sua scoperta a causa di un allagamento accidentale. Il racconto è occasione per sgombrare il campo dalle ipotesi dietrologiche, incoraggiate dal successo eclatante delle azioni tentate e ancor più da quello delle azioni portate a termine. "Chi ci accusa di essere stati manovrati dovrebbe concederci almeno l'originalità di aver servito senza compenso, senza sconti di pena o salvacondotti all'estero. Un vero mistero", l'unico a non aver acceso la fantasia di alcun dietrologo, con particolare riferimento ad uno in particolare, alla cui identità è piuttosto facile risalire.
Il pettine rosa è passato dalle traversie di venti e più anni di detenzione e dà il titolo a un racconto sulla fine della semilibertà e delle prime impressioni di chi lascia la cella perché deve affrontare soltanto l'ultima catena di obblighi della libertà vigilata in una città irriconoscibile. I mutati comportamenti individuali, le periferie diventate dormitori senza più storia collettiva, le giovani generazioni che si definiscono solo tramite i comportamenti di consumo.
Il libro si chiude con Non somigliano a niente quei colori.... Le impressioni di un viaggio ad Aliano e a Matera, nei luoghi del confino di Carlo Levi.


Barbara Balzerani - Perché io, perché non tu. DeriveApprodi, Roma 2009. 108 pp.