Il settimo libro di Barbara Balzerani è una serie di undici scritti -con una prefazione di Vincenzo Morvillo- che costituiscono un'ideale lettera a un padre scomparso da vent'anni e con cui l'autrice ebbe un rapporto condizionato prima da una concezione del mondo sempre meno coincidente, poi dalla scelta della lotta armata e della clandestinità e infine dal lunghissimo periodo di detenzione. I temi centrali del libro sono il lavoro, i cambiamenti che il capitalismo vi ha introdotto e le forze vive che ad esso continuano a opporsi. Non è secondario uno scoperto pessimismo sulle condizioni del rapporto fra capitalismo e natura e fra uomo e ambiente cui l'autrice si dedica con una incisività messa in evidenza già dalla prefazione, in tesi senz'altro rafforzate dal fatto che il ibro sia uscito mentre la pandemia del Covid 19 raggiungeva il culmine.
Il testo si apre con alcune citazioni eterogenee; quella di Walter Benjamin per cui le rivoluzioni non sono -come intendeva Marx- la locomotiva della storia universale, ma il freno di emergenza cui ricorre il genere umano in viaggio sullo stesso treno, è probabilmente quella che meglio compendia lo spirito di un libro che con lo scorrere delle pagine conserva un carattere biografico e autobiografico, ma tende in misura via via crescente a usare spunti di questa provenienza per arrivare a considerazioni di portata molto più generale.
Senza padroni è il primo degli scritti ed è uno dei più schiettamente biografici; pur descrivendo contesti e situazioni con cui i lettori della Balzerani hanno già una certa dimestichezza, introduce molti temi che riguardano nello specifico il rapporto fra l'A. e il padre e che verranno sviluppati nelle pagine successive. In un borgo che doveva la propria stessa esistenza a un complesso industriale, il signor Balzerani aveva preferito lavorare in proprio come trasportatore e pensarsi così "senza padroni"; una certezza che la figlia mette tranquillamente e argomentatamente in discussione, senza per questo negare validità e fondatezza di altre concezioni, di altri valori e di altri saperi paterni su cui il libro finirà per costruire una sorta di riconciliazione postuma. 
Le prime pagine comunque sono tutt'altro che tenere con un padre che "non avrebbe mai alzato una mano su nessuno" ma si era comunque messo "dalla parte della reazione" al punto da non vedere che la propaganda autoritaria nascondeva promesse non mantenute e occultava guerre tra potenti a colpi di ricatti e di dossier.
In Talo l'A. evoca l'incidente che colpì nel 1938 la fabbrica in cui il padre non aveva mai voluto lavorare (e che rafforzò la sua determinazione) e l'automa di bronzo che custodiva a Creta la ninfa Europa. Invincibile per chiunque non ne conoscesse il punto debole, come invincibile appare a chi non ne conosca il punto debole l'organizzazione contemporanea della produzione e del lavoro.
Soffione contiene invece una serie di riflessioni sulla rottura dei rapporti e sulla incompatibilità di due visioni del mondo che portò da parte dell'A. a un distacco "feroce e senza rimedio", dovuto al suo passare a fianco di forze che stavano "mandando in briciole il castello di carte" con cui il padre aveva cercato di proteggerla.
Fenditure sposta la narrazione avanti di diversi anni, agli ultimi rapporti col padre tenuti durante una detenzione in cui l'A. faceva ancora i conti con la sconfitta delle rivoluzioni del Novecento senza aver ancora maturato la consapevolezza di "quanto altro mondo c'era"; un mondo degli oppressi che aveva e ha comunque continuato a cercare una propria strada.
I fili di Carlo Rambaldi vengono presi come esempio di attrezzo e di lavoro manifatturiero, quello sì all'origine dello sviluppo industriale che ha portato in pochi decenni alla divisione del lavoro retta e governata da una disciplina militare, ma al quale è possibile ripensare per una ripartenza.
Louise è la Louise Michel della Comune di Parigi. Lo scritto inizia a portare esempi delle nuove strade prese dal mondo degli oppressi muovendo dalla Bretagna in cui la Michel fu ispiratrice delle lotte delle poissonnières all'inizio del XX secolo e in cui se ne ritrova lo spirito nella zone à défendre costituita per evitare la costruzione di un aeroporto.
Nel successivo Indios gli esempi, le chiavi inglesi ficcate negli ingranaggi, continuano con il riferimento al movimento zapatista.
In Gli altri il viaggio metaforico continua toccando il sud della penisola italiana in cui visse Rocco Scotellaro, cui il potere costituito impedì di nuocere con legalissimi procedimenti giudiziari. Gli stessi con cui oggi ha rimesso al suo posto Mimmo Lucano, che a Riace aveva dato il via a un tentativo di integrazione sociale che non si è curato affatto di seguire trafile burocratiche "che bloccano i cambiamenti virtuosi ma mai lo sfruttamento del bisogno".
Le api espone una serie di considerazioni di come il mondo del lavoro, in pochi decenni, sia stato sovvertito dalle nuove tecnologie. E dal pericolo insito nel lasciare che facendosi scudo (o vanto) di esse a presentarsi come salvatori e custodi dell'ambiente siano gli stessi che lo hanno devastato.
Sopra e sotto cita il film coreano Parasite come esempio plausibile di una sperequazione sociale che imperversa fino a esiti grotteschi, senza fermarsi neppure davanti alla prospettiva che i pochi che ne traggono beneficio siano comunque coinvolti in una spirale di autodistruzione apparentemente inarrestabile.
In Freno d'emergenza il viaggio metaforico in compagnia del padre riprende e si conclude fra i vicoli napoletani del rione Pallonetto, dove le nuove tecnologie sono di difficile accesso; "l'occhio del grande fratello resta cieco", nell'ultima fenditura presa ad esempio.


Barbara Balzerani - Lettera a mio padre. DeriveApprodi, Roma 2020. 92 pp.