L'organizzazione rivoluzionaria 17 Novembre - 13 risposte dal carcere è un libro-intervista su un'organizzazione combattente irregolare greca che ha potuto agire per decenni restando sostanzialmente inafferrabile all'apparato militare e giudiziario di un paese dell'Europa occidentale contemporanea. I tredici capitoletti si presentano come risposte ad altrettante domande e vi si intrecciano digressioni teoriche, riferimenti colti, aneddoti, analisi politiche e sociali e riferimenti alla realtà greca illustrati con una certa accuratezza dalle note del traduttore. All'inizio del libro la premessa di Giorgios Stamatopoulos, la prefazione di Pasquale Abatangelo (combattente irregolare che per ragioni familiari ha avuto il greco come prima lingua) e un'introduzione dell'intevistatore Tassos Pappas. Il libro si apre con una poesia anonima diffusa nel febbraio 2021, che saluta Dimitris Koufontinas all'epoca da oltre un mese in sciopero della fame come il partigiano di sempre cui "saluto fraterno viene rivolto da ogni dove la Lotta respira".
Nella premessa Stamatopoulos afferma che in Grecia i tirannicidi hanno un posto molto alto nella considerazione popolare e che i pochi che si levano contro la tirannide assumono su di sé il peso della responsabilità, quasi insopportabile, di trasformare in azione la volontà di molti. Con l'aggravante data dal fatto che la volontà dei molti si compone di volontà individuali che conservano il diritto di essere severe, critiche e persino accusatorie nei confronti di chi si assume la responsabilità di agire. L'Organizzazione 17 Novembre si è concretizzata e ha iniziato a operare in una Grecia in cui la la giunta militare che -personificazione contemporanea della tirannia- ha controllato il paese fra il 1967 e il 1974 era caduta, facendo all'apparenza venire meno le condizioni che avrebbero giustificato certi comportamenti. Contrariamente alle attese l'Organizzazione 17 Novembre trovò invece grande consenso nei primi anni successivi alla dittatura fra gli esclusi dai meccanismi della democrazia rappresentativa e tra quanti disapprovavano la sostanziale impunità di molti sostenitori della dittatura militare. Koufontinas si è formato in un clima guevarista sopravvissuto alla dittatura e ha consapevolmente scelto la lotta armata e la clandestinità dedicandovisi con disciplina marziale e sopportando ogni conseguenza fino al cruento episodio in cui davanti a un compagno ferito che la logica rivoluzionaria avrebbe imposto di eliminare perché catturato vivo non facesse rivelazioni agli avversari ebbe invece in lui la meglio la voce poetica che gli imponeva di lasciarlo in vita. Dilemmi come questi, assicura Stamatopoulos, distinguono i rivoluzionari dagli ideologi della rivoluzione, anche dopo decenni di prigionia.
Secondo Stamatopoulos Dimitris Koufontinas ha fatto coincidere la propria vita con la lotta a un sistema politico corrotto "che ha pensato bene, per potersi chiamare democrazia", di dotarsi di una costituzione e di diritti umani poi calpestati sistematicamente in un contesto in cui gli abusi dei potenti sono roba d'ogni giorno, la repressione sempre più dura e il sistema politico sembra onnipotente e intoccabile. La 17 Novembre ha cercato di dimostrare che il sistema politico non è invincibile. Non ci è riuscita perché nella sua pratica politica non è riuscita ad aprirsi a una società che -almeno all'inizio- vedeva con favore il suo operato. Non ha saputo unire "il legale con l'illegale, il pacifico con il combattivo, non ha potuto mettere insieme le armi con le idee", evidenziando i limiti intrinseci nel considerarsi in guerra e nella relativa disciplina militare.
Il testo è costituito dalle risposte di Koufontinas a tredici domande postegli da Tassos Pappas; risposte dettate da esperienza, maturità e riflessione, con particolare riguardo agli sbagli già accennati e da evitare nelle evenienze e nelle esperienze future.
La prefazione di Abatangelo introduce il tema del volume al lettore non greco fornendogli l'inquadramento necessario. L'Organizzazione Rivoluzionaria 17 Novembre è stata attiva dal 1975 al 2002 e ha preso il nome dalla giornata culminante della rivolta al Politecnico di Atene del 1973. Detenuto da quasi vent'anni trascorsi scrivendo e traducendo, nel 2021 Koufontinas ha inziato uno sciopero della fame contro il trasferimento in un carcere duro deciso in base a una norma a valore retroattivo, sciopero interrotto due mesi dopo in seguito ai molti appelli rivoltigli in questo senso. Il libro-intervista riguarda un'organizzazione che ha operato in un contesto analogo a quello esistente negli anni Settanta e Ottanta del passato secolo nella penisola italiana; scritto da un protagonista che non si è mai arreso, pentito o dissociato, costituisce senz'altro una lettura stimolante per quanti si interessino della militanza rivoluzionaria in tutti i suoi aspetti, dai problemi relativi alla vita in clandestinità ai limiti delle scelte radicali. Temi che Dimitris Koufontinas affronta "con coerenza, cognizione di causa, senza ipocrisie e reticenze" con puntuali richiami filosofici, poetici e letterari. "Nella pratica rivoluzionaria," precisa Abatangelo in riferimento alle circostanze che segnarono l'inizio della fine della 17 Novembre, "può capitare di dover decidere in pochi attimi se attenersi al rispetto delle regole e delle leggi di guerra o far prevalere i valori etici, sociali e umanitari per cui si combatte".
Tassos Pappas non è d'accordo con chi pensa che in Grecia il fenomeno della lotta armata vada lasciato alle spalle e che il modo migliore per farlo sia negare ogni spazio a chi vi ha preso parte; pare che in Grecia, similmente a quanto accade nello stato che occupa la penisola italiana, la prassi sia quella di rinchiudersi dietro una generica condanna della violenza esorcizzandola come una deviazione dalla realtà e denunciando come fiancheggiatori tutti quelli che tentando di indagare con la dovuta calma il come e il perché dei giovani avessero scelto di prendere le armi credendo che solo così si sarebbe potuto raggiungere l'obiettivo di una società libera e giusta, e soprattutto il come e il perché ampi strati della popolazione abbiano trattato con tolleranza o anche con simpatia l'azione delle organizzazioni armate. Pappas sottolinea che l'elemento distintivo della 17 Novembre, quello che ha facilitato il fiorire di teorie improbabili e di complottismi di vario tipo a fronte di una realtà piuttosto semplice, è stato la sua longevità. Una volta che gli arresti hanno smantellato l'organizzazione senza che emergessero appigli per il complottismo, il gazzettificio ha preso a ritrarre gli appartenenti alla 17 Novembre come spietati criminali dediti all'arricchimento personale. Comune a entrambi gli orientamenti, l'intento delegittimante.
Le domande di Pappas toccano questioni rimaste ai margini del suo primo libro "γεννήθηκα 17 νοέμβρη", prima fra tutte gli eventi della notte del 29 giugno 2002 in cui l'esplosione di una bomba nelle mani del combattente Savvas Csiros mise Koufontinas nelle condizioni di dover scegliere immediatamente fra due condotte opposte.
Farei di nuovo lo stesso, esordisce L'A. rispondendo alla domanda accennata da Pappas nell'introduzione. Consapevoli dei rischi intrinseci nell'uso di armi ed esplosivi, i combattenti della 17 Novembre erano preparati ad affrontare incidenti simili, che pongono davanti a dilemmi da tragedia classica risolti in un modo o nell'altro. In questo caso, l'ideologia dell'organizzazione aveva fatto proprio l'esempio dei rivoluzionari cubani che in avvicinamento a Cuba rischiarono di essere intercettati per non abbandonare un compagno scagliato in mare da un'ondata, e quello dei partigiani che tentavano in ogni modo di non abbandonare i feriti. Se la logica dell'eliminazione dei feriti per salvaguardare l'organizzazione venisse portata all'estremo, comporterebbe l'eliminazione di chiunque costituisca un pericolo per il gruppo. A distinguere il combattente rivoluzionario, secondo Koufontinas è la sua propensione a rispecchiare anche agendo in contesti che imporrebbero l'esatto contrario i valori della società che intende costruire.
Il concetto per cui il combattente rivoluzionario non è un ingranaggio e non deve rinunciare a ogni sostanza umana in nome dell'efficienza è ribadito in Il grande, il bello e lo sconvolgente. La devozione e la dedizione assolute alla causa di cui fa le spese tutto quanto attiene alla sfera privata degli affetti non deve essere intesa come assoggettamento a un apparato partitico e deve essere guidata da sentimenti profondi di umanità. Alla cattura di Savvas Csiros iniziarono prevedibili gli arresti e la 17 Novembre cercò di limitare i danni ricorrendo al passaggio in clandestinità, comportamento che implica l'immediata interruzione di ogni relazione sociale diversa da quelle con l'organizzazione.
In questo senso Il passaggio del Rubicone ha sempre un costo. In un capitolo autobiografico sulla propria vicenda politica l'A. indica come nelle difficoltà e nei periodi di riflusso si possano apprezzare la competenza, la coerenza e la tenacia dell'uomo in lotta. Il passaggio del Rubicone non indica il passaggio alla lotta armata, ma la scelta di dedicarsi a un'affiliazione di lunga durata in quella che viene correntemente definita militanza, che anche nei periodi di movimenti di massa sono in pochi a compiere (lasciando a distanza di anni qualche remoto sussulto in quanti hanno completato studi, avviato professioni e cambiato nel corso di una notte il proprio giubbotto con una giacca e una cravatta) e che richiede una buona dose di incoscienza e di esplicita noncuranza dei rapporti di forza, oltre alla consapevolezza che essa implica in ogni caso un costo personale più o meno alto.
Questo costo personale si rivela anche più o meno sopportabile; gli sfiniti non sono dei rinnegati, è convinto Koufontinas. Anche quando mancano motivi per essere ottimisti, sempre rari in un ambiente politico dove -suggerisce Pappas- tanta alacrità ha portato ai gulag invece che ai soviet. In una realtà militante il disaccordo, il passo diverso, quello disallineato non producono scontri del tipo tra ortodossi ed eretici, specie se all'esterno -ricorda L'A. per il caso della propria esperienza personale- l'attivismo multiforme del periodo di attivismo diffuso successivo al 1974 indicato col termine metapolitefsi rifluisce nei canali istituzionali intanto che l'ascesa di nuovi e vari strati di piccola borghesia assottiglia il numero di quanti sentono il bisogno di azioni decise e radicali. Nella 17 Novembre la scelta di privilegiare gli aspetti militari su quelli politici fu alla base dell'allontanamento di molti militanti senza che questo facesse di loro dei delatori o dei puri e semplici rifluiti nel privato. La risposta alla quarta domanda di Pappas si conclude con una stringata invettiva contro il riformismo, in Grecia come altrove diventato indistinguibile negli esiti e nella pratica politica dalla parte cui diceva di contrapporsi.
La 17 Novembre, a differenza di quanto auspicato da Koufontinas, non organizzò un braccio politico in modo analogo a quello cui hanno provveduto altre formazioni come lo IRA o il PKK. Il dubbio che i compagni di lotta volessero mitizzare la lotta armata lasciandola senza contatti con le altre aree della lotta di massa o che si identificassero in giustizieri imprendibili, ipotizza Pappas, sarebbe stato legittimo. Nella risposta, Koufontinas ricorda il contesto in cui la 17 Novembre nacque e iniziò ad operare, e in cui i limiti tra legale e illegale erano rotti dalle stesse istituzioni. Cita poi l'esempio della rivoluzione cubana, generalizzabile a tutti i casi coronati da successo, come vicenda in cui la lotta armata è stata soltanto il raggio di una ruota che ne comprendeva molti altri. In qualsiasi azione multiforme per colpire il dogma dell'impotenza questo equilibrio è sempre delicato e sempre minacciato dal militarismo -inteso come eccessiva cura del meccanismo militare- e dal gauchismo, inteso come pianificazione e auspicio di azioni eclatanti e in grande stile senza riguardo per le loro conseguenze sul movimento di massa.
In Sempre, quando la sinistra si è conciliata con la destra, noi abbiamo perduto l'A. compie una contestualizzazione della lotta armata nella realtà greca, in cui il monopolio istituzionale delle armi sarebbe storicamente minato da una classe dominante predatoria e avida "da sempre sottomessa agli stranieri, collaborazionista e compradora" cui corrisponderebbero episodi in cui è periodicamente destinato a culminare un diffuso spirito insurrezionale spesso impersonato dalle figure di giustizieri popolari. L'A. sottolinea l'insufficienza del concetto generale di antagonismo sociale scollegato dalla storia. Tenere conto di questo legame, afferma Koufontinas, è valso alla 17 Novembre l'aperta e stabile approvazione del 23% della popolazione greca, secondo la citazione di una gazzetta tra le più ostili all'organizzazione. Basandosi su un appoggio tanto solido la 17 Novembre uccise nel 1989 il portavoce di Nea Dimokratìa Bakoyannis e in seguito ferì lievemente il socialista Petsos, sostenitori della "riconciliazione nazionale" nonostante la scelta degli obiettivi potesse dare luogo a equivoci. Koufontinas afferma che l'azione fu decisa non per questo, ma nonostante questo, contro individui (Bakoyannis era già stato condannato in Cassazione per "accettazione di proventi criminali") percepiti come appartenenti alla classe dominante su specificata. Koufontinas nota che nei processi di "riconciliazione nazionale" analoghi la destra coerentemente filooccidentale e coerentemente impegnata nella difesa di interessi insuscettibili di dubbi o di legittimità ha sempre imposto la propria linea e che altrettanto coerentemente la sinistra non dovrebbe addivenire a patti col capitalismo o riconciliarsi con esso.
Nella settima domanda Pappas insiste sui limiti evidenziati in concreto dalla dittatura del proletariato e sul fatto che rispetto ad essa la democrazia borghese tende a conservare agibilità politica e spazi di manovra per quanti si comportano come suoi avversari. Koufontinas controbatte mostrando che in concreto nella democrazia borghese finiscono per avere responsabilità vitali non i politici liberamente eletti ma uomini imposti da organizzazioni economiche. Nell'assetto capitalista la concentrazione del potere economico comporterebbe la concentrazione del potere politico, per cui la linea politica di uno stato che si pretende sovrano finisce per essere dettata dal capitalismo e non da organismi democraticamente eletti. "La logica del capitale è incompatibile con quella della democrazia, perché la democrazia è incompatibile con il concentramento del potere". Nel mondo contemporaneo la democrazia borghese altro non è che controllo oligarchico, spinto al punto da respingere punti fermi e molto antichi del sentire democratico come quello rappresentato dal diritto di asilo. Il merito del movimento comunista, secondo Koufontinas, è ed è sempre stato quello di aver dimostrato coi fatti che questo assetto sociale non è retto da nessun determinismo.
Con l'ottava domanda Pappas entra nella questione del pentitismo (nei cui confronti Koufontinas si è sempre mostrato severo) e del fatto che nella sconfitta sono in pochi a difendere l'organizzazione di appartenenza. Secondo l'A. la storia di un'organizzazione armata deve essere narrata senza infingimenti e senza omissioni, mantenendo la distinzione tra quanti hanno rinunciato perché sfiniti e quanti hanno rinunciato per tradire, quanti hanno sottoscritto "dichiarazioni di pentimento" (un "suicidio etico", secondo l'A.) perché sottoposti a pressioni ai limiti del tollerabile e quanti si sono comportati da delatori assecondando anche il disegno della pubblica accusa di mettere in ridicolo la 17 Novembre fornendo alle gazzette lo spettacolo di un mucchio di pentiti intenti ad accusarsi l'un l'altro. In I piani a volte rimangono sulla carta Koufontinas illustra alcune delle differenze che la guerriglia urbana in un paese europeo presenta rispetto a quella rurale di certe esperienze guida, eammette che la 17 Novembre aveva sì dei "piani di continuità" per proseguire la lotta anche dopo un rovescio particolarmente pesante, ma che non ne aveva alcuno di disimpegno e di fuga. Piani che rimasero sulla carta per la repentinità e l'estensione della campagna repressiva dopo il 29 giugno 2002.
Alla decima domanda di Pappas Koufontinas risponde che per un rivoluzionario, che distrugge per costruire, il fine non giustifica i mezzi. "L'etica dell'azione deve andare di pari passo con l'etica del fine"; i rivoluzionari non sono dei profeti armati e neppure devono rifiutare di ricorrere alla violenza contro l'oppressore, la stessa di cui è ricca di esempi la stessa retorica istituzionalizzata dai simboli e dagli inni nazionali e patriottici. La violenza esiste come atto concreto, non come atto generale, e non è quindi soggetta a un'etica generale.
Pappas è interessato ai rapporti tra la 17 Novembre e i prigionieri comuni, che altre organizzazioni consimili hanno intrattenuto per acquisire competenze e in qualche caso, come le Brigate Rosse, perseguendone la politicizzazione. Pappas pensa che la longevità dell'organizzazione sia dovuta anche ai pochi legami che essa ha avuto, almeno fino agli ultimi anni della sua operatività, con un areale facilmente infiltrabile e ricattabile da parte della repressione. Koufontinas ricorda, forte dell'esperienza pluridecennale della propria prigionia, che la politicizzazione è avvenuta anche nelle carceri greche dove i prigionieri politicizzati che "quello che fanno, non lo fanno per se stessi" godono a tutt'oggi del rispetto degli altri prigionieri, in un contesto in cui la legislazione ha operato in modo da equiparare ogni espressione radicale (non soltanto armata) a criminalità comune. Una parificazione che Koufontinas considera oggettivamente impossibile.
La dodicesima questione posta da Pappas riguarda i nulli motivi di speranza per il futuro di una sinistra militante ridotta a battaglie di trincea quando non si scinde all'infinito nella difesa di qualche primato ideologico, e il permanere di un'offerta politica che si compendia di euroscetticismo reazionario e di nazionalismo predatorio. Un peggioramento cui Koufontinas ha assistito da prigioniero, notando con attenzione il progressivo fallimento dell'integrazione europea del paese capeggiata e voluta da una "lumpen alta borghesia" che al momento della redazione del volume aveva prodotto un crollo del reddito da lavoro pari al 40% in sette anni e un'ascesa della disoccupazione nello stesso periodo dal 9 al 27%. Gli "usurpatori del sogno", la sinistra della democrazia rappresentativa, aveva preso il timone del paese senza minimamente variarne la rotta. Nonostante tutto questo l'A. considera fondamentale l'opera di testimonianza e la trasmissione della prassi e dei valori fondanti delle formazioni combattenti, perché "la storia-strega avrà sempre qualche cosa che bolle in pentola" finché esisterà qualcuno capace di sottrarsi alla "artiglieria pesante dei media" e al dogma dell'impotenza che essa sparge.
Niente è invano, tutto continua. Pappas cita Renato Curcio asserendo che "il valore delle rivoluzioni fallite consiste nel fatto che non presentano gli svantaggi di quelle vincenti"; il loro errore, meno grave, è quello di tradire le analisi iniziali, non le promesse. Fare i conti con la storia non significa dissociarsi ("Io non posso dissociarmi, non posso firmare dichiarazioni di pentimento. Non posso smettere di ripeterlo perché non smettono di chiedermelo e questo loro requisito continuo crea un ulteriore motivo per non farlo"), significa riconoscersi nella verità e fornire alle nuove generazioni uno sguardo critico che possa tornare loro utile.


Dimitris Koufontinas, L'organizzazione rivoluzionaria 17 Novembre, 13 risposte dal carcere. PGreco Edizioni, Milano 2021. 124 pp