Fra il 1917 e il 1921 è esistito nell'Ucraina orientale un movimento contadino anarcocomunista di massa caratterizzato dalla forte partecipazione popolare, che ha praticato l'autogestione e il cooperativismo e che si dimostrò in grado di tenere testa a tutti gli altri attori militari presenti sul territorio.
Dopo tanti decenni dalla rivoluzione russa è possibile contare su fonti primarie sufficienti a ricostruire con buona approssimazione -e soprattutto al di là della versione e della propaganda dei vincitori- il corso degli avvenimenti. Questo libro di Alexander Vladlenovič Shubin che si occupa del movimento rivoluzionario e militare capeggiato da Nestor Ivanovič Machno inizia per questo con una esposizione delle fonti consultate e vagliate per la loro affidabilità, spesso per niente garantita anche nel caso di memoriali dei protagonisti. Nelle duecento pagine di un libro corredato da qualche immagine, da un minimo di cartografia e da una cronologia che specifica anche alcuni elementi notevoli della rivalutazione di Machno e del suo movimento nella Federazione Russa di oggi ricorrono d'altronde più di cinquecentosettanta note, come è normale che sia quando si intende scrivere di storia; Nestor Machno, bandiera nera sull'Ucraina rappresenta il quarto approfondimento monografico dopo i precedenti del 1993, del 1998 e del 2005.
Il libro ha un taglio biografico poco indulgente verso un'aneddotica che al contrario doveva essere preponderante nei libelli denigratori. Molto spazio è riservato alla descrizione della pratica politica dell'anarcocomunismo nel territorio che venne chiamato la Machnovščyna e che ebbe per centro il borgo di Guljaj Pole, alle elaborazioni teoriche dei suoi protagonisti e al raffronto con la pratica politica dei bolscevichi.
Le poche pagine della Premessa si concludono con un inquadramento geografico degli avvenimenti e con la descrizione della prima giovinezza di Nestor Machno, dominata prima dal lavoro in fonderia e poi da un breve ma intenso periodo di partecipazione a una jacquerie politicizzata terminato con una lunga detenzione in cui Machno perfezionò la propria formazione politica. "Come ci insegna la storia, non è insolito che ardenti rivoluzionari siano usciti dalle prigioni provati nel fisico e nel morale. Per Nestor Machno fu tutto l'opposto".
Nel primo capitolo si tratta della nascita di un leader contadino. Liberato nel 1917 perché detenuto politico, Machno fu preceduto a Guljaj Pole dalla sua fama di organizzatore competente e di combattente sperimentato. Il sostegno popolare ai suoi anarcocomunisti veniva dal ceto contadino e dal sindacalismo di fabbrica che raccoglieva i non molti operai della regione. I soviet della Machnovščyna si reggevano su una rete formata da queste organizzazioni di massa e dalle consuetudinarie assemblee chiamate schod, un insieme che consentiva di mantenere un contatto diretto e continuo con la popolazione. Sotto la guida di Machno adottarono un pragmatismo contadino contrario a ogni forma di stato, ridistribuirono le terre rifiutando il concetto di proprietà (e di intromissione) statale, presero le armi per difendersi dai nazionalisti e contro le truppe austriache e tedesche ancora presenti nel paese e disciplinarono severamente il comportamento delle formazioni armate per evitare arbitrii e saccheggi. Il testo specifica che i limiti temporali molto ristretti dell'esperienza machnovista delle comuni agricole non rendono possibile un compiuto giudizio sul loro funzionamento; la pace di Brest Litovsk firmata dai bolscevichi aprì le porte dell'Ucraina all'esercito austriaco e soprattutto a quello tedesco. Il testo illustra con un certo dettaglio i rapporti di Machno con i bolscevichi moscoviti e le profonde differenze nel sentire e nella pratica politica che impedirono più di un'alleanza tattica contro il comune nemico occupante, che fu sconfitto dai machnovisti grazie all'operato di piccoli e agili nuclei in grado di colpire con rapidità ed efficacia.
Il secondo capitolo considera la nascita e lo sviluppo de la Machnovščyna dal dicembre del 1918, con l'instaurazione di una "democrazia militare" di fatto che consentì a Machno e ai suoi comandanti di tenere testa ai nazionalisti ucraini di Symon Petljura e di cominciare la ricostruzione della società secondo principi estranei all'idea di Stato pur considerando la necessità di un coordinamento tra le organizzazioni dei lavoratori che consentisse di tenere testa alle aggressioni esterne. "In Machno c'era un evidente riluttanza, intenzionale, a regolamentare le caratteristiche della società futura". Il sistema autogestionario diede risultati straordinari per il mantenimento del braccio militare del movimento machnovista, il cui funzionamento occupa diverse pagine della trattazione con i temi del reclutamento, del rifiuto dell'antisemitismo e della logistica. Dell'alleanza con i bolscevichi Shubin sottolinea sempre il carattere tattico illustrandone ogni limite, primo fra tutti quello dei rifornimenti concessi con il contagocce, e passa poi a trattare della sua rottura, diventata insanabile il 16 giugno del 1919 con la fucilazione decretata dal tribunale rivoluzionario di sette componenti del quartier generale machnovista. "Invece di combattere i Bianchi sul territorio ucraino, il nuovo potere bolscevico si dedicò a perseguire i criminali, nel timore che potessero infettare la Russia con le loro teorie".
Il terzo capitolo su La sconfitta dei Bianchi si apre con la descrizione delle ostilità tra bolscevichi e Machnovščyna, che Machno volle per quanto possibile ridotte al minimo e condotte in modo da non indebolire il fronte contro i Bianchi di Denikin, sempre considerato il nemico comune. Vengono descritti i tentativi di boicottaggio, infiltrazione ed eliminazione dei comandanti da parte dei bolscevichi; la Machnovščyna aveva di fatto adottato una pratica politica molto distante dalla loro, rifacendosi al multipartitismo, tutelando la libertà di parola per quanto possibile in stato di guerra, "a un tessuto autogestionario di base che per quanto riguardava i contadini comportava l'autodifesa armata" e finanziando la stampa anarchica anche in Europa occidentale.
Nel quarto capitolo Alexander Shubin tratta de Lo scontro con l'Armata Rossa iniziato nel 1920 e di come, per nulla intenzionato a riconoscere il contributo degli uomini di Machno nella sconfitta di Denikin, Lev Trotzkij abbia subito iniziato a considerarli un avversario militare. Il testo affronta la questione dei tentati accordi con i bolscevichi (finiti per lo più molto male per lo stesso personale negoziale) e dell'ultima alleanza tattica per combattere contro le formazioni di Vrangel. Shubin illustra come l'economia di guerra imposta dai bolscevichi fin dal 1917 nelle zone sotto il loro controllo fosse stato il principale alimento del sostegno popolare a Nestor Machno. Nel 1921 l'avvio della NEP da parte di Lenin fece rapidamente decrescere questo sostegno e rese impossibile a Machno recuperare le posizioni perdute sotto i colpi dell'Armata Rossa fin dal novembre precedente, segnando la fine di un movimento anarcocomunista che sarebbe stato superato per ampiezza e partecipazione solo nel contesto della guerra civile spagnola.
L'ultimo capitolo su L'esilio tratta delle vicende che portarono Machno prima in Romania, poi in Polonia e quindi in Francia dove -minato dalla tubercolosi e dalle ferite sofferte in battaglia- morì a Parigi nel 1934. La maggior parte delle personalità che aveva preso le armi per la Machnovščyna erano già scomparse alla fine del 1921, e i pochi rimasti finirono nelle purghe staliniane della fine degli anni Trenta. In questo contesto Shubin illustra anche l'esperienza della Piattaforma, elaborazione teorica cui parteciparono con contributi sostanziali gli esuli machnovisti che nel 1923 mostrò le potenzialità ma anche i limiti intrinseci di una pratica politica nata in condizioni tanto estreme.


Alexander Vladlenovič Shubin - Nestor Machno, bandiera nera sull'Ucraina. Guerriglia libertaria e rivoluzione contadina (1917-1921). Milano, Elèuthera 2012. 232 pp.