La nascita dello stato sionista nel 1948 è stata una tragedia epocale per gli abitanti della Palestina. L'ultima terra di Ramzy Baroud è stato pubblicato in inglese nel settantesimo anniversario dall'inizio di quella che nella prefazione Ilan Pappe definisce al Nakba al Mustamera, la catastrofe permanente, a indicare il suo carattere di componente non eliminabile dall'epoca contemporanea. Scrivere una storia della Nakba, sostiene Pappe, "significa descrivere vicende contemporanee e non eventi del passato". I nove racconti presentati da Baroud dopo un lavoro di selezione fra centinaia di testimonianze di profughi palestinesi in tutto il mondo (sono stati cambiati solo alcuni nomi e qualche dettaglio, su richiesta degli interessati) forniscono uno sguardo di insieme sulla condizione dei profughi palestinesi nel corso di sette decenni. I racconti condividono alcuni aspetti comuni come l'attenzione alle vicende familiari dei protagonisti, ma colgono ciascuno un aspetto e un arco temporale diversi. Emerge a sprazzi come elemento unificante la presenza, tra gli oggetti di famiglia che protagonisti e comprimari si tramandano con le generazioni, di una vecchia chiave: quella della porta di una casa in Palestina.
In chiusura, l'A. pone dei suggerimenti di lettura e una descrizione della metodologia utilizzata.
Nel primo racconto Khaled Abdul Ghani al-Lubani cerca di lasciare la località siriana di Yarmuk dove è nato da una famiglia di rifugiati e di raggiungere il territorio dell'Unione Europea, nel secondo decennio del XXI secolo. I tentativi andati in fumo, i personaggi da brivido che allignano fra passatori, scafisti e compagni di strada, i disagi del cammino e certe vicende di incredibile malasorte riducono il protagonista in condizioni tali che il suo senso dell'umorismo tenta spesso di prendere il sopravvento, ma non ne sminuiscono la determinazione.
Ahmad al Haaj detto Abu Sandal, "quello con le scarpe", aveva più di ottant'anni quando ha intrattenuto lunghi colloqui con Baroud sulla vita dei fellahin sotto il mandato britannico e sull'importanza percepita del migliorare con l'istruzione la propria condizione sociale, sul lento consolidarsi della colonizzazione sionista prima del 1948 e sull'esplodere successivo delle ostilità. Abu Sandal finì insegnante a Gaza, dopo aver scontato vari periodi di detenzione, un complicato percorso di studi tra Palestina ed Egitto e dopo aver esercitato vari mestieri. Il combattente della resistenza lo fece comunque a spese proprie, vendendo la propria terra per comprare un fucile e il proprio grano per le munizioni.
Anche Tamam detta Umm Marwan ricordava gli anni della Palestina mandataria e gli ebrei che ci vivevano, indistinguibili dagli arabi finché la guerra non stravolse tutto, e il ghoul terrificante che gli adulti si inventarono in quelle circostanze per evitare che i bambini si allontanassero dalle case. Il ghoul non sarà l'unica presenza onirica nella vita di Umm Marwan, che ha vissuto a Gaza tutte le vicende dell'occupazione sionista e ha pagato con lo sradicamento e con la perdita di molti familiari -morti combattendo, scomparsi, incarcerati- la sconfitta del 1967. "Lo spirito di Umm Marwan incarna un'intera generazione di donne palestinesi rifugiate. Seppur segnate da esistenze difficili, queste donne hanno cresciuto una nuova generazione in grado di farsi carico del peso della lotta".
Hana al Salahi è nata nel 1982, l'anno in cui i rappresentanti delle fazioni palestinesi vennero cacciati dal Libano e dei massacri a Sabra e Shatila, e ha trascorso i primi anni di vita in un paese della Cisgiordania del nord mentre la morsa dell'assedio sionista non faceva che stringersi ogni giorno di più. Il quarto racconto del libro ricorda lo sciopero della fame lungo quarantasette giorni da Hana intrapreso nel 2010 nelle carceri sioniste, prigioniera dopo un (non) processo alle intenzioni iniziato dalla polizia dell'Autorità Nazionale Palestinese di cui viene messa in luce la prassi collaborazionista.
La Nakba ha portato i rifugiati letteralmente ai quattro angoli della terra. Il racconto di cui è protagonista Sara Saba -nata nel 1991- illustra al tempo stesso la condizione dei rifugiati nati lontano dalla Palestina -nel caso specifico a Melbourne- e quella dei palestinesi cristiani della località di Beit Jala. Il racconto affronta anche il problema delle violenze domestiche e del loro ruolo determinante per il destino della protagonista.
Il sesto racconto ha la forma di un epistolario. Nelle lettere alla figlia Heba e al suo labile recapito in Siria Ali Abumhgasib -avanti negli anni e segnato molto profondamente nel fisico dalle guerre combattute, dalla prigionia e dalle vicissitudini superate- fa un dettagliato riepilogo della sua biografia di combattente che è anche una storia delle principali formazioni armate palestinesi in azione fra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo.
"Ali è stato costretto a tornare a Gaza quando il mondo gli ha chiuso le porte. Joe Catron, invece, ci è andato per scelta". Ramzy Baroud presenta anche il caso di uno sradicato e di un rifugiato che ha preso la direzione opposta, dalla Virginia. Come Vittorio Arrigoni, Catron è rimasto come attivista per vari anni a Gaza dal 2011 in poi, assistendo alla metodica distruzione delle infrastrutture civili -con particolare riguardo agli ospedali- nel corso del susseguirsi delle aggressioni sioniste e interiorizzando la mentalità e il modo di vivere degli abitanti. Paure, senso di colpa, necessità di trovare uno scopo nella vita? "L'esilio può essere anche un atto volontario, che si autoimpone. E forse Joe deve ancora trovare la sua ultima terra".
Leila Khalil (uno pseudonimo) all'epoca della redazione del libro lavorava in una non specificata isola del Mediterraneo -dal punto di vista di chi vi arrivava con mezzi di fortuna "un territorio inutile" perché fuori dall'Unione Europea- come interprete per i rifugiati raccolti in un campo di concentramento. Il cerchio della narrazione si chiude, recuperando le tematiche del primo racconto. Da una parte una giordano-palestinese con studi nel Regno Unito, dall'altra persone provenienti dalla Siria, dal Libano, dall'Iraq o da Gaza con cui il dialogo è spesso conflittuale.
Le ultime pagine sono la visione di un "ritorno a casa": una madre che abbandona il campo cui si fa cenno nell'ultimo racconto, e torna con il figlio sulla battigia piena di gommoni, pronta a un nuovo tentativo.
Ramzy Baroud, L'ultima terra. Una storia palestinese. Lebeg Edizioni, Roma 2023. 294 pp.