Chiunque apprezzi l'indagine storica sa che il web presenta contenuti validi, contenuti discutibili e immondizia pura e semplice e che nelle "reti sociali" è facile che la bilancia penda nettamente a favore della terza tipologia. Il libretto di Francesco Filippi è nato da anni di esperienza più o meno coinvolgente su internet e nelle reti sociali e consta di una decina di capitoletti, corredati da alcuni consigli di lettura e anche di visione. La frase riportata nell'incipit per cui sarebbe bene che le osterie avessero le finestre piccole e che le si pulisse di rado introduce una riflessione sulla natura che molti utenti attribuiscono al Libro dei Ceffi e ad altre piattaforme che permettono loro di interagire e di scambiarsi contenuti, e che sarebbe quella di costituire un sostituto aggiornato e più comodo dei locali da secoli adibiti alla somministrazione di alcolici di bassa qualità. I dieci capitoletti del libro definiscono, esemplificano e spesso deridono alcuni aspetti problematici dell'utenza delle "reti sociali" per come l'A. ha avuto modo di conoscerla durante svariati anni di frequentazione.
Il pronome "noi" ha un significato preciso, ricorda Filippi. Si può usarlo per descrivere le proprie esperienze, non per parlare di storia. "Se abbiamo meno di centoventi anni non combattemmo noi la prima guerra mondiale", ricorda l'A. prima di notare che al "noi eterno" atemporale è d'obbligo aderire nel contraddittorio, pena vedersi ascrivere agli avversari del "voi eterno", un recinto semantico da cui è impossibile uscire se non prendendo le distanze dagli attributi che gli vengono volta per volta assegnati e -nel farlo- avvalorando implicitamente le posizioni dell'avversario. La dicotomia noi/voi o noi/loro permette spesso, nella discussione, di dare peso e corpo ad affermazioni inconsistenti o discutibili e nel caso della storia di appellarsi a un passato anche millenario autoproclamandosene depositari, magari per puntellare un presente per lo meno traballante. Un espediente che permette anche di vagheggiare l'adesione a un gruppo che delle vicende trattate è stato protagonista, cosa utilissima se l'argomento è dato da imprese sportive o da guerre vinte, che i più sono propensi a trattare con gli stessi toni e con lo stesso linguaggio. La falla irrimediabile? Il fattore tempo, che invalida ogni possibile comunanza identitaria fra un narratore intento a far crescere il proprio ego -più che a esporre dati o argomenti- e il gruppo di riferimento. Mantenere un rapporto sano con i social -conclude Filippi- significa evitare di "consumare giga e bile" scontrandosi con chi si ritiene portavoce di "interi gruppi umani ormai estinti, dai catari alle suffragette inglesi".
La colpa è una cosa, la responsabilità un'altra. Filippi nota sorridendo che il web è quella cosa dove un appassionato di storia latinoamericana può vedersi affibbiata una chiamata in correità per genocidio dal primo appassionato di discipline precolombiane che passi da quelle parti. Incastrare l'avversario in una posizione moralmente indifendibile è una prassi che Leo Strauss definì reductio ad Hitlerum: vince che riesce ad accusare l'altro di nostalgie inconfessabili, togliendogli ogni agibilità e rendendolo un genocida per contaminazione. Un metodo che consente di rovesciare sull'oggi qualsiasi colpa del passato, aggrappandosi ad ogni caratteristica del contraddittore che possa servire come appiglio. Filippi ricorda che l'assunto logico per cui la colpa è personale e non ereditaria va tenuto presente fino a quando non viene invocato per rimuovere eventi scomodi. Altra cosa la responsabilità nei confronti del passato, che si estende anche ai singoli che tengano a volerlo come "proprio". L'interesse per il passato, nota l'A., "implica anche la responsabilità e la cura del ricordo di ciò che è accaduto, il suo mantenimento e la sua diffusione".
Da quanto sopra derivano le considerazioni del terzo capitolo che mette in guardia contro gli atti impuri dell'anacronismo: "Gli esseri umani pensano e agiscono secondo le percezioni del proprio tempo, non del nostro. Il prozio sul Piave non combatté per difendere il quartiere dai minimarket etnici". Invocare Lepanto a fronte di una donna osservante lo hijab che nel terzo decennio del XXI secolo cammina davanti a un monastero castigliano permette a qualsiasi cialtrone di scollegare gli interessati dalla discussione storica per spostare la loro attenzione sul presente e di levare (di solito intenzionalmente) una ridda di reazioni indignate. Alla base dell'indignazione, sottolinea Filippi, l'idea che gli eventi del passato avessero in prospettiva il presente. "Una forzatura che non tiene conto del passare del tempo, del cambiamento delle prospettive, del sentire comune di allora contrapposto a quello attuale, della distruzione e ricostruzione di interi paradigmi semantici nel corso dei secoli", e che è possibile solo passando da una immane ignoranza o da un'altrettanto immane malafede. L'A. rileva come il richiamo anacronistico a episodi del passato sia un espediente normale nella propaganda contemporanea, e come esso poggi prima sulla infondata idea che in passato le iniziative umane venissero dettate da consapevolezza escatologica nei confronti del futuro, e poi su quella che il passato obblighi il presente a portare avanti delle scelte morali specifiche. Come se esistessero delle "missioni storiche" capaci di rendere il futuro non solo prevedibile, ma anche certo. L'A. non mette in dubbio che questo modo di intendere il rapporto col passato sia da secoli utile a costruire identità collettive o a sostenere visioni politiche e sociali, ma rileva anche come esso abbia dei costi non indifferenti quando si trasforma in ipoteca sul modo di interpretare il futuro.
Negli ultimi anni è entrato nell'uso il vocabolo benaltrismo. Filippi rileva che nelle discussioni che vorrebbero essere di argomento storico è possibile che chi si interessa del ruolo degli arcieri nella battaglia di Agincourt senta invocare i fanti caldei vittima dei carri hittiti, o che discutendo della strage di Nanchino si ottengano in risposta invettive sulle vittime del Grande Balzo in Avanti. In queste circostanze il benaltrismo -di nulla valenza in simili discussioni- elude le possibili risposte a una questione adducendo esempi di altri problemi che andrebbero affrontati prima di quello in discussione, costringendo l'interlocutore alla difensiva e squalificando sia lui che l'argomento oggetto della discussione. Filippi ribadisce l'importanza di non confondere i ricordi con la Storia: Montezuma e Hernàn Cortès avevano idee molto diverse sul conto dell'equitazione... Le testimonianze dei contemporanei vengono percepite come libere da interpretazioni successive e più vicine ai fatti. La fallacia è nel dare per scontato che quello che si vede sia identico a quello che accade: una forzatura che porta spesso a contrapposizioni che prendono la forma di combattimenti per interposta persona. Utilizzate invece con serietà, le testimonianze permettono di ampliare un quadro interpretativo perché raccontano sì molto, ma relativamente ai testimoni. Per loro natura le testimonianze non possono essere l'unico mezzo cui rifarsi per l'analisi di fatti storici, men che meno nel caso di eventi epocali o di ampia complessità e soprattutto non possono troncare discussioni con uno ipse dixit.
Il sapere storico è vasto, approfittiamone. Esistono testi considerati capisaldi dell’analisi di determinati fatti, che nelle letture e nell’immaginario di molti diventano la parola definitiva su quel preciso argomento. Un altro caso di ipse dixit destinato a troncare le discussioni, che nasce attorno a volumi citati tanto spesso che molti utenti non si curano neanche più di leggerli davvero. Di contro esistono utenti che ribaltano il paradigma dei "libri icona" e per ribadire l'importanza dell'esplorazione di più aspetti di un solo tema affermano di aver letto tutti (sic) i libri su un dato argomento. Data l'abbondanza delle produzioni culturali contemporanee, nota l'A., una pretesa che sta tra il velleitario e il fanfarone. Entrambe le tendenze per Filippi sono dannose perché per la natura stessa dei media interattivi gli scambi interessano velocemente moli potenzialmente molto grandi di materiali e in questo la trasmissione di contenuti "inesatti, forzati o addirittura falsi" è "esponenzialmente maggiore che nel passato"; lo stesso vale per la sedimentazione di determinati errori o luoghi comuni. Questo provoca la diffusione di contenuti errati che nessuno ha vero potere di correggere. Al momento, il risultato è quello di una divaricazione sempre più netta fra l'analisi storiografica vera e propria e le convinzioni di milioni di utenti. Uno dei risultati di tutto questo sta nel fatto che molte persone serie evitano interazioni sul web, dove peraltro -avverte Filippi- non si può salire in cattedra perchè il wb non è un'aula. In concreto succede che un individuo professionalmente competente intervenga in una discussione per indicare o correggere inesattezze, errori o idiozie vere e proprie. A fronte delle ottime intenzioni "solitamente il risultato va dal mediocre al disastroso" e finisce anche per rafforzare la sfiducia da parte degli utenti verso il "mondo accademico". Le pagine social non sono aule scolastiche che è possibile trattare come tali imponendo testi lunghi o eruditi: il web mal tollera imposizioni o figure autoreferenziali, tende inesorabilmente a livellare data la sua natura aperta, e conta molti utenti che interagiscono solo per far perdere le staffe all'esperto di turno, vero o falso che sia. Sul web, l'esperienza riconosciuta o (peggio) certificata non ha privilegi; l'A. sottolinea che nelle arene virtuali il prestigio si consegue sul campo anche e soprattutto ricorrendo a un linguaggio adatto alla situazione.
All'utenza del web va d'alto canto ricordato che la storia non è una partita di calcio, non è un film in cui i morti ammazzati si rialzano alla fine della scena e nemmeno un locale pubblico adatto a recensioni. Filippi nota che le occasioni in cui un possibile dibattito storico si riduce a una scelta di campo manichea sono praticamente la norma; la mancanza di rispetto per le vicende del passato porta a banalizzarle nel discorso pubblico e nella valutazione del loro impatto sulla percezione del presente. Conseguenza abituale di questa prassi, le frequenti competizioni di salto in lungo sulle bare su cui nessuno ha da ridire dato che i morti sono tutti uguali. Il che è anche vero, specifica Filippi: i morti sono tutti uguali... dal punto di vista autoptico. Tra chi è morto riempiendo i treni verso i campi di sterminio e chi è morto cercando di fermarli esistono differenze inconciliabili.
Allo stesso modo e per gli stessi motivi va tenuta presente la natura temporale dell'essere umano. I fatti storici non cambiano: i giudizi e chi li formula invece sì. L'A. nota come su un dato argomento nel corso del tempo vengano prodotte interpretazioni diverse o anche opposte. L'imperialismo belga portato a esempio da Filippi è stato nel XX secolo una componente importante per la costruzione della coscienza nazionale, ma adesso è ampiamente messo in discussione dallo sviluppo degli studi postcoloniali. Esiste una lettura evolutiva non solo del sapere storico, ma anche della storia stessa, che viene considerata impegnata a instradarsi verso ciò che oggi si ritiene vero e giusto. Una visione al limite dell'escatologico entrata in crisi dopo essere stata messa alla prova dei fatti; allo stesso modo è entrato in crisi un uso pubblico del passato che si serviva della storia per "dare ufficialmente ragione" al presente. Tra l'utenza del web al contrario sono molti a ritenere ancora la storia una vuccessione di fatti che evolve in modo lineare e che minimizzano o omettono tutto quello che potrebbe contrastare con questa progressione.
L'ultima riflessione del volume invita a considerare il passato come un magazzino e non come un bunker; vi si possono trovare strumenti per comprendere il presente, non le armi per difendersene. Lo slancio verso il passato non deve sfociare in un abbandono del presente, eppure la tendenza alla fuga dall'oggi è percepibile in molte piattaforme virtuali che consentono l'esaltazione di un passato cristallizzato con i mezzi di una personalizzazione molto spinta che finisce per negare la stessa utilità della discussione storica. Questi utilizzi del web finiscono a volte per condurre all'idealizazione di un passato mai esistito perché ridotto alla ricucitura di fatti sparsi che serve solo a sostenere un quadro fittizio. La storia invece -conclude Filippi- ha come funzione essenziale l'indagine sul passato, non la sua celebrazione.
Le "reti sociali" non sono sedi in cui sia facile far attecchire idee e ragionamenti, specie se richiedono tempo per dispiegarsi e attenzione per essere compresi. Vi abbondano cattiva esposizione, incompetenza diffusa, autoreferenzialità e tendenza all'istrionismo. Su internet in generale la situazione è migliore perché vi convivono contenuti di buona qualità e contenuti di qualità scarsa; sono gli utenti a fare la differenza e a riconoscere le proposte valide da quelle che non lo sono. In ogni caso la realtà, che non può essere ignorata, è che esistono milioni di persone che dichiarano quello che pensano sul passato. Un dato di fatto che non deve sfuggire all'osservatore consapevole. In alcune pagine di quella che ha definito "appendice guerresca" Filippi esprime alcune considerazioni sulla guerra scoppiata in Europa a frebbraio 2022. In simili casi "si finisce per ricevere solo informazioni sulla guerra e queste informazioni tendono a raccontare posizioni contrapposte, in bianco e nero o, peggio, in buoni e cattivi". La storia si presta più di altri temi alla strumentalizzazione in ambito bellico, proprio perché i criteri ancora dominanti nei testi scolastici e nella divulgazione vedono nelle guerre i periodi critici che marcano fisicamente i punti di rottura del percorso umano. Le ostilità tra Russia e Ucraina hanno almeno dimostrato che della storia c'è ancora bisogno, non fosse che per manipolarla; nelle "reti sociali" si trovano le peggiori fake news, ma sono anche il luogo in cui queste fake news possono essere smentite. La storia non può prevedere le guerre e tantomeno può farne da giustificativo, chiude Filippi. Cerca però di conoscerle e analizzarle; non può prevedere il futuro ma aiutare a costruirlo.


Francesco Filippi - Guida semiseria per aspiranti storici social. Bollati Boringhieri, Torino 2022. 128 pp.