Dal 1960 la Repubblica di Cuba è oggetto di una monocorde campagna denigratoria; l'isola dei Caraibi che ha voltato le spalle agli USA è uno dei moltissimi casi in cui la "libera informazione" sorvola tranquillamente sui valori della libertà di espressione e di pluralità democratica cui dice di tenere tanto. Il libro di Salim Lamrani muove da questa constatazione e intende concedere la parola alla difesa della Repubblica di Cuba, raccogliendo dieci interviste a personalità molto eterogenee, scelte senza alcun riguardo per l'ortodossia.
La prima è quella di Mariela Castro Espìn. La Castro si è emancipata dal cognome ingombrante occupandosi di tematiche sessuali e dei diritti delle relative minoranze, conseguendo successi considerevoli nella lotta all'omofobia anche a costo di scontentare i settori più conservatori del mondo politico e della società. Lamrani affronta con la Castro Espìn il tema della omofobia che caratterizza la società cubana e che negli anni successivi alla rivoluzione si concretizzò nella pratica delle Unità Militari di Aiuto alla Produzione, e nel "quinquennio grigio" conclusosi nel 1976. In questo contesto si inquadrò la lotta alle discriminazioni condotta nella Gioventù Comunista da una giovanissima Castro Espìn con l'aperta approvazione del padre Raul. Lo scritto ripercorre le vicende del Centro Nazionale di Educazione Sessuale fondato dalla madre della intervistata nel 1972, che per decenni dovette trattare gli aspetti dell'omosessualità in mezzo allo scetticismo e agli ostacoli posti da un ambiente decisamente ostile ma riuscì a collaborare alla depenalizzazione dell'omosessualità nel 1979, all'abrogazione delle leggi repressive nel 1997 per finire con l'adesione alla giornata mondiale contro l'omofobia a partire dal 2008. La Castro Espìn illustra l'operato Centro come organo di divulgazione medico-sociale e di sostegno giuridico, nonché come consulente di vari ministeri, precisando caso per caso la qualità dei rapporti e delle collaborazioni. Il lavoro educativo e di comunicazione avrebbe permesso di cambiare l'atteggiamento della società cubana nei confronti dell'omofobia e della transfobia, condierate oggi "forme di discriminazione incoerenti con il progetto emancipatore della rivoluzione". Contraria alla prostituzione, la Castro Espìn dichiara di considerare positivamente l'esempio della Svezia e auspica l'adozione di normative che sanzionino i clienti. In ultimo, accenna alla questione delle unioni omosessuali: un istituto giuridico infine introdotto nell'isola nel 2022.
Il secondo intervistato è Ricardo Alarcón de Quesada, per molti anni presidente del Parlamento e numero tre del governo. All'epoca degli scambi con Salim Lamrani Fidel Castro si era ritirato dalla politica attiva e il fratello Raul ne aveva preso il posto, secondo Alarcón per meriti riconosciutigli fin dai tempi della lotta armata e non per un nepotismo che se fosse stato tale avrebbe consentito a molti più membri della stessa famiglia di occupare posti chiave. Alarcón precisa anche che le decisioni governativa a Cuba venivano prese in modo collegiale nel consiglio dei ministri, nonostante l'autorevolezza di Fidel e Raul. Nel 2011 a Cuba sono state introdotte riforme che hanno permesso di superare aspetti non più giustificabili del sistema e di razionalizzare l'uso delle limitate risorse disponibili, riducendo il ruolo dello Stato con la semplificazione della burocrazia e l'uscita dai settori non strategici (Marx non ha mai scritto che il socialismo consisteva nella collettivizzazione dei parrucchieri...), ferma restando la proprietà collettiva dei mezzi fondamentali di produzione. Ricardo Alarcón considera il socialismo una "creazione eroica" che deve rispondere alle necessità del reale e ai diversi contesti, e racconta della vasta consultazione popolare che ha accompagnato l'introduzione delle riforme. Non molti governi al mondo si sarebbero preoccupati di consultare la popolazione prima di lanciare una politica di trasformazione del sistema economico arrivata dopo che le restrizioni dei decenni precedenti (era difficile vendere le abitazioni o i beni di consumo durevoli) avevano impedito con successo una eccessiva concentrazione della proprietà. Le politiche migratorie che dal 2013 consentono agli espatriati cubani di assentarsi per due anni (rinnovabili) senza perdere i diritti dei residenti sarebbero state modificate con l'attenuarsi delle minacce contro la Repubblica di Cuba; Alarcón conta 3478 morti e 2099 feriti in episodi compresi fra il 1959 e il 1997, di cui accusa la CIA e i controrivoluzionari, notando che Luis Posada Carriles dalla Florida [morto nel 2018] si vantava pubblicamente di aver commesso centinaia di assassinii. Una realtà solitamente ignorata da mass media solitamente molto prolissi quando si tratta di Cuba. Le restrizioni all'emigrazione servono anche a tutelare l'investimento di Cuba nel capitale umano: la formazione di medici e tecnici costa molto cara alla Repubblica, che non può subire senza resistere le politiche USA che puntano a privarla della mano d'opera specializzata incentivandone l'emigrazione. Con la presidenza Obama, continua Alarcón, l'approccio statunitense si era fatto diverso dal punto di vista dello stile (essere più colti e sofisticati di Bush non richiedeva molto sforzo, maligna l'intervistato) e a cambiare era stata la natura della comunità cubana di Miami, formata ormai da seconde o terze generazioni interessate più a muoversi liberamente con l'isola che non a sovvertirne le istituzioni. L'embargo, di cui Alarcón sottolinea i larghissimi profili di arbitrarietà, è rimasto in vigore ed è stato anche inasprito. Gli stessi sono rimasti i toni della propaganda in materia di democrazia e di diritti umani, materie in cui Alarcón trova facilissimi esempi per ribadire come Cuba possa tranquillamente ignorare lezioni da un simile vicino. I tentativi di ingerenza statunitensi non sempre sono violenti o di aperta sovversione, ma Alarcón sottolinea che la Repubblica di Cuba non è per questo tenuta a tollerarli (caso Alan Gross), a non prendere contromisure per limitare l'intraprendenza dei gruppi violenti ospitati in Florida (caso dei "cinque") o a non procedere come qualsiasi stato sovrano contro chi cerca di sovvertire le istituzioni. Alarcón tratta quindi delle relazioni con il Vaticano, della chiesa cattolica cubana, dei rapporti con l'Unione Europea (complicati dalla "posizione comune" allineata all'embargo statunitense) e di quelli con i paesi vicini. Alarcón nota in conclusione che per ovvie ragioni le istutuzioni cubane sono controllate da persone nate dopo il 1959 e che le decisioni collegiali non sono frutto di riunioni tra vecchi combattenti; ascrive comunque alla longevità dei suoi dirigenti una delle peculiarità del processo rivoluzionario.
Il terzo intervistato è Max Lesnik, tra i rivoluzionari della prima ora poi esule a Miami per la propria contrarietà all'alleanza con l'Unione Sovietica, e qui redattore per molti anni di una rivista in cui avevano voce tanto gli esponenti della Cuba rivoluzionaria quanto gli esuli in Florida. Compagno di studi di Fidel Castro, Lesnik ricorda le iniziative messe in atto dopo il 1949 all'università dell'Avana per mettere fine alle intimidazioni dei gruppi filogovernativi, l'assalto alla caserma Moncada nel 1953, il suo ruolo come addetto alla logistica nel fronte dell'Escambray durante gli anni della guerriglia e la caduta di Fulgencio Batista. Lesnik ricorda che come appartenente al Partito Ortodosso era contrario all'alleanza con un Partito Comunista che "aveva collaborato con Batista nel 1944 e non aveva svolto un ruolo chiave durante la lotta insurrezionale contro la tirannia"; non nascondeva affatto le sue opinioni e dopo la rivoluzione si rifugiò negli USA, dove venne incarcerato. L'intervista a Lesnik ripercorre i suoi rapporti con Fidel Castro e la storia della rivista Replica, con cui fece da tramite all'esecutivo Carter per il miglioramento dei rapporti col governo cubano; Lesnik afferma che durante un viaggio semiclandestino a l'Avana nel 1978 ebbe modo di conversare con Fidel circa l'alleanza con l'Unione Sovietica, che aveva avversato al punto da lasciare Cuba, e di capire come l'URSS avesse consentito la sopravvivenza della rivoluzione. Lesnik ricorda il lavoro a Replica dopo la fine della distensione con l'esodo di Mariel e l'inizio della presidenza Reagan, finché dovette sospendere le pubblicazioni dopo undici attentati di cui la "libera informazione" di Miami non parve indignarsi eccessivamente, e il proprio ruolo di mediatore per la visita a l'Avana del pontefice romano Giovanni Paolo II nel 1998. Sul tema della libertà di espressione negli USA Lesnik -che a Miami è stato giornalista, redattore e editore- sottolinea che gli azionisti dei mass media oggi appartengono al complesso militare-industriale e la "libera informazione" non fa che difenderne gli interessi anche se nessun pericolo -immediato o remoto che sia- mette a rischio le istituzioni o l'integrità territoriale del paese. Per Cuba, Lesnik afferma che la libertà di espressione vi è inversamente proporzionale alla minaccia percepita proveniente dagli USA, e che partito unico e mancanza di democrazia non sono affatto coincidenti, dal momento che quella di Batista era una dittatura caratterizzata dal multipartitismo e che l'opposizione cubana dopo il 1959 è stata sistematicamente finanziata dagli USA. Negli ultimi anni si sarebbe sviluppata per questo una dissidenza mediatica priva di leader e di programmi definiti e senza alcuna base reale; il tutto nel clima mediatico caratterizzato da un abituale ricorso a una doppia morale, per cui eventi irrilevanti vengono amplificati per ritrarre Cuba nel modo peggiore possibile. Lesnik afferma di non avere mai smesso di considerarsi socialista e che il cooperativismo sarebbe a Cuba il miglior antidoto a inefficienze e corruzione per le attività al di fuori dalle grandi aziende e da settori strategici come quello del nichel. L'ostilità statunitense, nata ancora prima della rivoluzione e alimentata con sempre nuovi pretesti oltre a quello fondamentale delle nazionalizzazioni, secondo Lesnik pretende da sessant'anni nient'altro che la resa definitiva e totale del popolo cubano, costretto ad affrontare costi enormi per aggirare le sanzioni. La destra cubana in Florida sarebbe mossa nel sostegno a questa politica da un odio viscerale per il popolo cubano, colpevole di non volere il rovesciamento del governo e di rifiutare la democrazia da esportazione in cui "il vizio, la corruzione, l'acquisto e la vendita di voti sono moneta corrente e dove le lobby scelgono chi sarà il prossimo presidente". Lesnik sostiene che gli USA non hanno mai presentato il conto delle nazionalizzazioni; Cuba risponderebbe col conto dei danni provocati dalle sanzioni economiche e dall'aggressività statunitense.
Miguel Barnet Lanza, presidente dell'Unione degli Scrittori tradotto in tutto il mondo e specialista in antropologia, elogia con Lamrani le riforme introdotte dal 2010 e la fine del controllo statale sui settori non essenziali; se l'ambizione di diventare un paese industriale si è rivelata un fallimento, non lo stesso si può dire per la medicina, la farmaceutica e la biotecnologia. La presenza statale secondo Barnet non deve venire meno nel settore della cultura, che deve puntare all'eccellenza e non essere economicamente redditizia. Al rilievo di Lamrani sulla limitatezza dello spazio lasciato al contraddittorio, Barnet contrappone una piccola rassegna degli spazi e delle pubblicazioni in cui si affrontano temi sensibili, dalla povertà dei quartieri marginali alla questione del razzismo. Ricorda poi la segregazione razziale di fatto esistente fino al 1959 e il progressivo attenuarsi dei pregiudizi razziali -definiti degli "atavismi culturali"- iniziato con la rivoluzione. "I dissidenti possono esprimersi a Cuba", chiede Lamrani? Barnet rileva che a livello internazionale l'opposizione cubana dispone di visibilità mediatica mondiale e gode di spazi trenta volte più cospicui delle voci ufficiali. Gli oppositori -al contrario degli appartenenti all'Unione degli Scrittori, per quanto competenti- godrebbero di un trattamento degno di capi di Stato in un ambiente dove chi appoggia la rivoluzione non può essere altro che uno stupido o un opportunista. Una opposizione intelligente e seria, avverte Barnet, è indispensabile a ogni processo rivoluzionario; chi riceve denaro dalla rappresentanza diplomatica statunitense a l'Avana per elaborare programmi sovversivi e per atteggiarsi a perseguitato non fa parte della categoria, e lo proverebbe il rifiuto di partecipare a competizioni elettorali che ne evidenzierebbero il nullo sostegno popolare. Con la stessa perentorietà Barnet confuta l'assunto per cui Cuba sarebbe una gerontocrazia: al momento dell'intervista i segretari provinciali del Partito Comunista erano tutti sotto i cinquant'anni e l'età media dell'Assemblea Nazionale era di quarantotto anni. Barnet non nega l'esistenza di problemi e contraddizioni, ma non vi ammette interferenze esterne; convinto che la società cubana sia più democratica di quella degli Stati Uniti, sottolinea che a Cuba "non ci sono bambini sulle strade abbandonati alla loro sorte e non ci sono anziani senza previdenza sociale. I salari sono bassi ma i più vulnerabili non sono abbandonati, come accade nella maggior parte dei paesi che pretendono di darci lezioni". Barnet ricorda anche come durante il Periodo Speciale dopo la fine dell'URSS, nella Cuba alle prese con la carestia, Fidel Castro avesse innanzitutto pensato a salvaguardare la cultura perché questo avrebbe salvaguardato i valori della rivoluzione. La normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti viene considerata da Barnet una questione spinosa, perché l'ostilità e la volontà colonialista statunitensi risalgono a ben prima della rivoluzione, nonostante le affinità e le comunanze culturali tra i due paesi. Su quale sia la considerazione dell'amministrazione statunitense per Cuba, Barnet riporta un aneddoto di cui era stato protagonista durante una visita a New York. Una personalità dell'amministrazione Nixon si era stupita della sua conoscenza della lingua inglese, e poi gli aveva confermato che gli USA erano "abituati a trattare con perdenti, e Fidel Castro è un vincitore".
Il quinto intervistato è Eusebio Leal Spengler, specialista in storia de l'Avana e coordinatore delle campagne di restauro del centro storico della capitale. L'intervista riguarda le operazioni di restauro degli edifici nel centro della città, iniziato durante il Periodo Speciale in previsione di un grosso espandersi dei flussi turistici. Secondo Leal Spengler il milione di dollari che Fidel Castro poté destinare allo scopo nel 1994, due anni dopo aveva prodotto risorse tre volte superiori; venti anni dopo le entrate servivano non solo per il mantenimento degli stabili ma anche per finanziare progetti sociali destinati alla popolazione. Il fatto che molte soluzioni costruttive e molti materiali fossero comuni agli stabili del sud degli Stati Uniti -come comuni erano state molte vicende storiche con la stessa area geografica- rendeva l'embargo un grosso ostacolo. Parlando degli Stati Uniti anche Leal conferma la propensione al dialogo della società cubana e sottolinea che la chiusura è del tutto unilaterale; l'intervistato ricorda con una dettagliata aneddotica la lieve incoerenza nel loro ergersi a giudici in materia di diritti umani, senza mai demonizzarne altro che la pratica politica.
Il letterato Abel Prieto espresse a Fidel Castro diverse perplessità quando era direttore dell'Unione degli Scrittori; la cosa non segnò la fine della sua carriera, anzi. Ministro della cultura dal 1997 al 2012 e poi consulente presidenziale, inizia la sua conversazione con Lamrani parlando dei rapporti con gli Stati Uniti. La presidenza Obama consentiva scambi culturali ma non commerciali per cui gli scrittori e gli artisti cubani non potevano esitare un centesimo dal mercato statunitense. Un aumento anche considerevole del turismo statunitense a suo dire porterebbe a Cuba gli aspetti negativi del consumismo, ma quelli positivi per la cultura, in cui gli influssi dal nord non sono mai venuti meno nonostante tutto, sarebbero a suo dire maggiori e non attenterebbero alla cultura nazionale cubana, sufficientemente forte da poterli controllare. Anche Prieto è convinto che gli Stati Uniti accettino solo la subordinazione e che se anche Cuba adottasse il capitalismo più selvaggio non perdonerebbero comunque gli eventi del 1959. A chi pensa che Cuba accampi l'embargo come scusa per coprire i fallimenti economici, Prieto risponde che per verificarlo non resterebbe che toglierla, questa scusa. Tra i problemi dell'isola Prieto indica la burocrazia ancora (2014) pervasiva e sprecona, la mentalità di "certo marxismo volgare che arrivò coi manuali sovietici" e che associava il lavoro privato alla reazione e lo catalogava come nemico del popolo, laddove a Cuba le cooperative e il piccolo commercio avrebbero invece rafforzato il socialismo, e infine la denigrazione mediatica internazionale. Come gli altri intervistati, Prieto ricorda la curiosità intellettuale di Fidel Castro e la sua propensione per l'approfondimento dei problemi, che hanno contribuito a costruire a Cuba una vita culturale lontana dai dogmi.
Il settimo intervistato è Alfredo Guevara Valdes, docente universitario e comunista libertario morto nel 2013 a 87 anni dopo aver dedicato decenni allo sviluppo del cinema cubano. Nelle prime battute con Lamrani conferma quanto considerato dagli altri intervistati sull'embargo statunitense, tanto più ingiustificato quando si tratta di cultura, e sulla capacità di Cuba di gestire con successo un eventuale grosso afflusso turistico statunitense. Allo stesso modo non riconosce agli Stati Uniti alcuna supremazia etica quando si tratta di democrazia e "diritti umani". Ricorda invece l'influenza esercitata sulla vita culturale cubana dagli esuli provenienti dalla Repubblica Spagnola e indica in Fidel Castro "colui che si incaricò del grande compito dell'indipendenza, della sovranità e della lotta per la dignità" del popolo cubano e di ogni persona.
L'ottavo intervistato è il diplomatico statunitense Wayne S. Smith, ultimo ambasciatore a Cuba prima della rottura delle relazioni diplomatiche nel gennaio del 1961 e protagonista della politica di riavvicinamento durante la presidenza Carter. Nella conversazione con Lamrani asserisce che per i servizi di informazione statunitensi nel 1956 non esistevano legami tra il locale partito comunista e il movimento 26 luglio di Fidel Castro. Le iniziative statunitensi volte a togliere di mezzo Castro sarebbero iniziate nel marzo 1960, dopo un lungo periodo di valutazioni negative sull'operato del governo rivoluzionario e dopo la distruzione del mercantile Le Coubre di cui Castro incolpò la CIA. Cuba, conferma Smith, non avrebbe stretto relazioni con l'Unione Sovietica fino alla viglia dell'atteso sbarco alla Baia dei Porci; l'avvicinamento all'URSS, ammette esplicitamente l'inervistato, fu conseguenza dell'aggressività statunitense. Smith ricorda la ripresa dei contatti diplomatici nel 1977 che portò alla riapertura di una "Sezione di Interessi" a l'Avana e che in due anni avviò un processo di completa normalizzazione delle relazioni. E ricorda che la presidenza Reagan interruppe ogni iniziativa, con il sottosegretario Hall Haig che andava dicendosi intenzionato di fare di Cuba un parcheggio. Per non interrompere il dialogo, Cuba interruppe l'invio di armi alle guerriglie centroamericane; gli USA ne presero atto, salvo affermare pubblicamente il contrario. Un atteggiamento che avrebbe convinto Smith a porre fine nel 1982 alla propria carriera di diplomatico. Con un Cuba Project di un Center for international Policy Smith avrebbe continuato a lavorare per la normalizzazione dei rapporti diplomatici per molti anni, in un contesto in cui lo scopo dichiarato della politica statunitense è spesso stato quello di sovvertire le istituzioni della Repubblica di Cuba e in cui la situazione ormai paradossale a più di cinquant'anni dalla rivoluzione era che Cuba aveva relazioni normali con tutti i paesi del continente meno che con gli USA. Ogni anno, rileva l'intervistato, il bloqueo è condannato da tutti i paesi dell'ONU, per lo più con le sole eccezioni degli USA e dello stato sionista. Le vexatae quaestiones dei diritti umani, del partito unico, dell'opposizione? Gli USA intrattengono relazioni con paesi molto più criticabili. Le dichiarazioni di Smith fanno pensare che contro la Repubblica di Cuba gli Stati Uniti muovano accuse non provate e spesso poco verosimili: nel più fondato dei casi Cuba è stata considerata attiva sostenitrice della guerriglia in Salvador... da parte di un paese che si vantava di sostenere quella in Nicaragua. Smith deride anche la prassi della presidenza Bush in cui c'era l'uso di derubricare a terrorista qualsiasi paese non tenesse una condotta più che supina ai dettami statunitensi. Anche Smith cita esplicitamente i casi eclatanti di Posada Carriles, di Alan Gross e dei cinque agenti cubani detenuti fino al 2014 negli USA per aver infiltrato gruppi di estrema destra impegnati in un'ondata di attentati nelle strutture turistiche cubane. Secondo Smith, Cuba avrebbe sulla politica estera statunitense "lo stesso effetto che la luna piena ha sui lupi" -rendendoli incapaci di agire razionalmente- mentre la presidenza di Raùl Castro avrebbe lavorato bene nel varo delle riforme come già aveva fatto per lo sviluppo del turismo.
Jean-Pierre Bel è stato presidente socialista del senato nella Repubblica Francese tra il 2011 e il 2014. Nell'intervista con Lamrani descrive la situazione delle relazioni tra Francia e Cuba all'epoca del suo mandato e i vincoli di ordine storico e culturale che legano i due paesi, per poi notare l'importanza crescente dei rapporti commerciali in essere con l'Avana nonostante la citata "posizione comune" del 1996 e caldeggiare senza mezzi termini la fine dell'embargo. Bel chiude constatando la considerazione e la popolarità di cui godono a Cuba personaggi storici francesi di prima importanza -Napoleone su tutti- ed esprimendo la massima stima per Eusebio Leal Spengler.
L'ultimo intervistato è Alvaro Colom Caballeros, presidente dal 2008 al 2012 della Repubblica del Guatemala e promotore di una corposa politica sociale. Con Colom Caballeros Lamrani affronta il tema dei processi di integrazione intrapresi dai paesi latinoamericani e quello della ripresa dei rapporti diplomatici tra Guatemala e Cuba, confermati dall'impiego delle missioni mediche cubane. Anche Colom Caballeros considera anacronistico l'embargo statunitense e auspica una "soluzione onorevole" al conflitto tra i due paesi.


Salim Lamrani - Cuba, parola alla difesa. Edizioni Arcoiris, Salerno 2017. 182 pp.