J'accuse è stato pubblicato nel novembre del 2023. Nella presentazione del libro Christian Elia sostiene che la storia non è iniziata il 7 ottobre precedente e che esso non è nato come instant book all'indomani dell'attacco di Hamas contro lo stato sionista. Elia riassume l'esperienza pluriennale di Francesca Albanese come relatore speciale (e non retribuito) per l'Organizzazione delle Nazioni Unite e come autrice di varie pubblicazioni cui "una profonda conoscenza storica sulla materia" aggiungerebbe "spessore all'analisi dei fatti e alla loro valenza giuridica". Le relazioni della Albanese consentirebbero di leggere l'occupazione sionista come "una forma di colonialismo di insediamento" e ne collocherebbero l'autrice tra quanti si pongono in netto contrasto alla narrazione -dominante soprattutto nello stato che occupa la penisola italiana- secondo cui sarebbero i palestinesi a minacciare l'esistenza dello stato sionista. Partendo da argomentazioni in punta di diritto il libro vorrebbe contrastare le narrazioni decontestualizzate e assumere la prospettiva di chi "ha visto, vissuto e studiato i cambiamenti della narrazione" sui rapporti fra stato sionista e palestinesi nel corso degli ultimi quarant'anni. Lo stato sionista viene considerato come animato da una visione suprematista che genera un razzismo sostanziale e viene considerato responsabile della più antica occupazione militare della storia contemporanea; le condizioni dei territori palestinesi vengono indicate come una eccezione, come una deroga permanente a limiti solitamente considerati inaccettabili in qualsiasi altra parte del mondo. Elia sottolinea che il suprematismo sionista formerebbe le nuove generazioni in un contesto di apartheid in cui tanto i palestinesi quanto i dissidenti sarebbero invisibili al cittadino medio "di una società ammalata di occupazione e di apartheid che oggi chede in gran parte lo sterminio dei palestinesi a Gaza". Con questo, non intende giustificare l'uccisione di civilli innocenti neppure da parte palestinese. Secondo il diritto internazionale chi è soggetto a un'oppressione ha il diritto assoluto di opporvisi, ma è anche categoricamente responsabile di mezzi e metodi di azione.
La verità prima di tutto, intitola Albanese continuando con i richiami a Émile Zola condannando i crimini del 7 ottobre, prima di affrontare la questione della pluridecennale storia di occupazione illegale e di abusi che lo stato sionista ha inflitto al popolo palestinese e che moltissimo devono alla presenza di insediamenti coloniali nei territori occupati. Se negli insediamenti vale la legge civile dello stato sionista, ai cinque milioni di palestinesi nei territori occupati viene applicata una legge militare draconiana, con effetti che avrebbero in Gaza il loro esempio peggiore. Di fatto e di diritto alla popolazione palestinese -disciplinata con arresti di massa, detenzioni arbitrarie e incursioni notturne- sono negati diritti fondamentali come quelli "di muoversi liberamente, di lavorare, di riunirsi pacificamente, di esprimere la propria identità, la propria cultura, le proprie opinioni, di proseguire gli studi, di vivere appieno la propria vita economica, sociale e politica". Secondo la Albanese la condizione preliminare per la pace nella regione è lo smantellamento dell'occupazione coloniale sionista.
In Terrorismo Christian Elia riassume gli avvenimenti nello stato sionista nel mese successivo al 7 ottobre 2023 -giorno in cui duemila combattenti di Hamas hanno sfondato in almeno sette punti la barriera che lo stato sionista ha costruito dopo l'inizio del blocco della Striscia nel 2007 e si sono addentrati nelle località vicine facendo strage soprattutto nei kibbutz- e cita fonti sioniste secondo cui ai massimi livelli del governo si starebbe valutando la deportazione nel Sinai della popolazione di Gaza, considerata more solito colpevole in blocco secondo una prassi che i mass media dello stato che occupa la penisola italiana adottano in casi analoghi senza alcuna esitazione. Come se due milioni e trecentomila persone si fossero riunite "in una sorta di assemblea dell'assurdo" e avessero dato mandato a Hamas di aggredire lo stato sionista. Hamas che nel 2006 aveva per inciso vinto quelle che gli osservatori internazionali dell'epoca avevano indicato come le elezioni "più trasparenti del mondo arabo". Francesca Albanese qualifica come crimini il lancio indiscriminato di razzi, gli omicidi di massa e i rapimenti, sottolineando di nuovo come il diritto di resistere all'oppressione non sollevi da responsabilità riguardo ai mezzi e ai metodi di azione, e nota che per i conflitti armati esiste una legislazione internazionale data dalle convenzioni dell'Aia e di Ginevra, con buona pace delle trasmissioni televisive in cui dell'esistenza stessa di un diritto internazionale e della sua cogenza si prende solitamente atto con infastidita sorpresa; derubricare in blocco a terrorismo le attività di Hamas significa invece farlo rientrare, al pari delle iniziative per contrastarlo e in cui lo stato sionista ha sempre dato ampia prova di non curarsi affatto delle convenzioni su citate, "in un’area legalmente indefinita se non da sistemi nazionali o regionali" e considerarli, come d'uso da anni, come "oggetto di una retorica politica che non ha impedito di calpestare i diritti umani in nome della sicurezza: un riflesso della shock doctrine statunitense descritta dalla studiosa canadese Naomi Klein negli anni che seguirono l’11 settembre 2001, secondo cui le catastrofi servono a ridisegnare gli equilibri mondiali". Dai tempi dell'assedio di Arafat a Ramallah nel 2004 lo stato sionista avrebbe derubricato a terrorismo non solo qualsiasi istanza di libertà e di indipendenza avanzata dai palestinesi, ma anche -a proprio arbitrio- qualsiasi altra loro forma di vita associata. In particolare lo stato sionista avrebbe usato gli omicidi mirati -le esecuzioni extragiudiziali- come abituale alternativa ai negoziati. Alternando le proprie considerazioni, Elia e Albanese ricordano le cinque campagne militari contro Gaza susseguitesi dal 2009 contro una popolazione costretta a vivere "in uno stato costante di disperazione intollerabile" partendo dall'assunto per cui solo lo stato sionista abbia titolo per meritare dignità, sicurezza e libertà. E sottolineano come nonostante la superiorità tecnologica, in effettivi, in mezzi e in servizi di informazione e nonostante le operazioni militari ricorrenti contro personalità, organizzazioni e edifici nella Striscia di Gaza lo stato sionista sarebbe comunque stato colto di sorpresa il 7 ottobre.
Disumanizzazione inizia con la citazione del ministro Yoav Gallant da parte di Christian Elia: "Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza". La colpevolizzazione in blocco e la ricorrente disumanizzazione dei palestinesi -prassi abituale nel linguaggio politico sionista- non avrebbero più alcun limite. Albanese completa notando come nulla, in ogni caso, giustifichi la punizione collettiva del popolo palestinese, e ricorda come anche il segretario generale dell'ONU Guterres sia preoccupato per l'imperversare del relativismo etico e dell'indignazione selettiva. A Gaza, nota poi, lo stato sionista esercita un controllo ferreo sui confini di terra e di mare, sullo spazio aereo, sulla moneta, le attività economiche, le dogane, la tassazione e persino le registrazioni anagrafiche. Dal 2007 avrebbe imposto alla Striscia un sostanziale assedio. In queste condizioni, con otto ore di elettricità al giorno e acqua non potabile, vivrebbero due milioni e trecentomila abitanti; per tre quarti profughi e per il 40% sotto i quattordici anni; anche in condizioni normali quattro abitanti su cinque dipendono dagli aiuti internazionali. Albanese riassume gli esiti della Nakba prima di ricordare le estese distruzioni di immobili pubblici e privati condotte anche a Gaza dallo stato sionista con particolare riferimento alle scuole. Il tutto senza che la "libera informazione" trovasse da eccepire, così come nulla da eccepire ha avuto a fronte degli oltre 1400 bambini palestinesi uccisi dal 2008 al 2023, e degli oltre trentaduemila feriti. I sostenitori dello stato sionista avrebbero elaborato e diffuso narrazioni in cui i palestinesi sono una minaccia esistenziale per il popolo ebraico, e le loro rivendicazioni -ampiamente riconosciute dalla comunità internazionale- altrettante sfide dirette alla vita stessa dello stato sionista: l'intero collettivo palestinese, bambini compresi, ne verrebbe ritratto come intrinsecamente terrorista. Il dominio dello stato sionista passerebbe da una versione della storia in cui si offuscano e si confondono i fatti con le opinioni; in Occidente ad esempio si ostinerebbero "a recitare il mantra dei due Stati" senza condannare la colonizzazione del territorio palestinese dopo il 1967, che di fatto ha reso inattuabile questo progetto. Nel 2023 la disparità di trattamento evidentissima fra il caso ucraino e quello palestinese "mette a nudo i limiti del diritto internazionale" il cui rispetto dipende sostanzialmente dalla volontà degli Stati di farlo rispettare. Elia considera che lo stato sionista viene presentato come una personificazione dello "spirito dell'Occidente": ascrivere ai palestinesi come tali la volontà di distruggerlo significa quindi farne dei nemici assoluti e avallare nei loro confronti volontà apertamente genocide. Albanese conferma che già nel 1947-49 e poi nel 1967 lo stato sionista avrebbe effettuato pulizie etnica di massa motivandole con la guerra, e che nulla fa pensare che la cosa non possa ripetersi.
In Occupazione Christian Elia ripercorre storia ed esiti della Guerra dei Sei Giorni del 1967, per lo stato sionista un atto di "legittima difesa preventiva". Albanese indica nelle colonie fondate nei territori occupati dallo stato sionista -una iniziativa considerata crimine di guerra dal diritto internazionale- il principale motivo per la confisca delle terre, la segregazione della popolazione e la demolizione di decine di migliaia di immobili. Nel caso di Gaza lo stato sionista avrebbe organizzato un blocco aeronavale e terrestre e operazioni militari su larga scala, provocando fino al 2023 più di quattromila vittime e migliaia di senzatetto. Alla violenza strutturale della colonizzazione si accompagnerebbe quella eruttiva di invasioni e guerre. Secondo Albanese l'occupazione dei terrritori palestinesi è illegale perché non temporanea, condotta contro gli interessi della popolazione occupata e finalizzata all'annessione. La presenza dei coloni (armati) e dell'esercito sionista rende impossibile l'esercizio del diritto all'autodeterminazione, la continuità territoriale e il consolidarsi di una forma statale nei territori palestinesi. Elia contribuisce con la descrizione della delirante giornata tipica di un abitante della Cisgiordania, sottoposta fin nei minimi dettagli all'arbitrio totale dell'occupante. Che applica alla popolazione occupata il diritto militare e commette abituali arbitrii contro la libertà personale e le proprietà della popolazione palestinese. Sullo smantellamento delle colonie, nello stato sionista non esisterebbe neppure più un dibattito: l'esecutivo in carica viene indicato dall'Albanese come espressione del movimento stesso dei coloni, che in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sarebbero in totale oltre settecentomila. In queste condizioni la legge dello stato sionista protegge "la sicurezza della sua conquista coloniale attraverso le colonie e l'annessione, non la sicurezza dello Stato creato nel 1948". Gli insiediamenti dei coloni sarebbero anche i centri del regime di "carceralità diffusa" imposto dallo stato sionista, e fatto di restrizioni fisiche e burocratiche e di sorveglianza di massa costante nei confronti dei palestinesi, al fine di impedire ogni resistenza alla loro presenza e alla loro espansione. La violenza palestinese, che la propaganda dello stato sionista ritrae come intrinseca, viene considerata da Albanese il risultato di decenni in cui la normalità palestinese è stata quella delle abitazioni abbattute per ragioni amministrative irrisolvibili, di aggressioni da parte di coloni armati e militari, di esistenze intere all'ombra dell'arbitrio di chi può concedere o negare un permesso per qualsiasi cosa. Inoltre, dopo l'11 settembre 2001 nella narrazione pubblica occidentale resistenza e terrorismo sarebbero diventati indistinguibili, secondo la prassi per cui la manipolazione della conoscenza è uno degli elementi strutturali dei processi di dominio. Elia porta a conferma di tutto questo la testimonianza di una organizzazione non governativa formata da ex militari dello stato sionista, che definisce Gaza come "una prigione a cielo aperto", che conferma la condotta seguita da Tel Aviv dopo il 1967 e che considera l'esistenza stessa di Hamas come un frutto avvelenato dell'occupazione, avallato ai tempi della prima Intifada dalla burocrazia militare sionista per contrastare l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat. La Albanese nota che le scuole delle colonie sarebbero diventate i focolai della narrativa colonialista; la significativa autonomia di cui godono nella scelta dei programmi di studio consentirebbe alle scuole di alimentare il fervore ideologico tra i giovani, che sono fondamentali per il progresso degli insediamenti. In pratica si alimenterebbe una mentalità che giustifica ogni violenza contro i palestinesi rifacendosi alla storia del movimento sionista e ai metodi con cui esso edificò il proprio stato. L'aspetto pratico di tutto questo, indica Albanese, per molti palestinesi si manifesta "in una miriade di tragedie quotidiane". Le terre confiscate da recuperare con interminabili battaglie legali e intanto coltivate da gente che arriva da Parigi o da New York che gode di condizioni di vita neppure paragonabili con quelle di chi non ha nemmeno la certezza dell'acqua corrente.
Christian Elia inizia il capitolo intitolato Colonialismo notando che il diktat "da che parte stai?" è presente in tutta la trattazione mediatica culturale e politica del conflitto, soprattutto nello stato che occupa la penisola italiana. Verrebbe quindi imposto in piena consapevolezza un Denkverbot che rende lo stato sionista -di cui si postula la superiorità morale- assolutamente intoccabile. La Albanese indica in Edward Said e nelle sue argomentazioni una guida importante per l'adozione di un atteggiamento imparziale, laddove con imparzialità si intende l'"obbligo di investigare e stabilire i fatti in modo oggettivo, studiarli alla luce del diritto internazionale applicabile e quindi sostenere la giustizia, la riparazione e lo stato di diritto". Nel caso specifico essa comporterebbe "la comprensione e la denuncia di una fondamentale asimmetria di potere, risorse e intenti" fra colonizzatori-occupanti da una parte e colonizzati-occupati dall'altra. Dopo il 7 ottobre 2023 lo stato sionista -sottolinea Albanese- ha invocato il "diritto all'autodifesa" per giustificare l'avvio di una violenta rappresaglia contro Gaza; il fatto che in Europa siano avvenuti attacchi paragonabili (come quello contro il Bataclan di Parigi) invece non è mai servito ad altri stati sovrani come pretesto per la distruzione di interi quartieri. Gli attacchi di Hamaz vanno collocati nel contesto di una occupazione arbitraria che va avanti da oltre cinquant'anni e che è illegale secondo qualsiasi norma del diritto internazionale. L'A. mette in dubbio il fatto che lo stato sionista abbia il diritto di invocare il diritto all'autodifesa a fronte di forme di resistenza generate da un'occupazione illegale, per quanto efferati siano i loro esiti. E lo mette in dubbio sottolineando la pratica sionista della colonizzazione di insediamento che storicamente si sarebbe manifestata con la creazione e la promozione di insediamenti di stranieri impiantati fra gli autoctoni, in maniera tale da assicurare ai nuovi venuti il controllo permanente di determinate aree. I vincoli e l'attaccamento storico e religioso degli ebrei alla Palestina, indiscutibili e meritevoli di riconoscimento e di rispetto, non devono comportare una traduzione operazionale in termini di usurpazioni, estromissione e brutalizzazione. Albanese ricorda anche come l'idea che lo stato sionista sia stato creato dopo lo sterminio degli ebrei d'Europa non sia del tutto corretta, e riassume per sommi capi la storia del sionismo politico a partire dal 1898 sottolineando il suo aver portato per gradi a un regime di apartheid che si avvale della "violenza epistemica" per mettere a tacere la narrazione degli sconfitti. In simili condizioni non avrebbe certo senso pensare di affidare la soluzione di una pluridecennale ingiustizia -presentata come crisi umanitaria cronica- con un negoziato tra uguali. Albanese rileva che il diritto internazionale, cui in "Occidente" dicono di tenere tanto, per la Palestina sembra essere lettera morta. In Apartheid gli AA. ricordano che le politiche di segregazione "in un regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematico" sono trattate come un crimine nella Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (Icerd), nella Convenzione internazionale per la repressione e la punizione del crimine di apartheid (Convenzione sull’apartheid) e nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Le condizioni dei territori occupati a uno sguardo d'insieme corrisponderebbero perfettamente alla fattispecie anche secondo ex militari e intellettuali cittadini dello stato sionista. Che peraltro, ricorda Elia citando Netanyahu, "non è lo stato di tutti i suoi cittadini [ma piuttosto] lo stato-nazione del popolo ebraico e solo il loro". Secondo Albanese la situazione potrebbe essere risolta solo "rispettando la norma cardine del diritto dei popoli all’autodeterminazione e il riconoscimento dell’assoluta illegalità del colonialismo e dell’apartheid" imposti dalla pluridecennale occupazione dei territori palestinesi. In cui i colonizzati vivrebbero in un "regime istituzionalizzato di oppressione" all'insegna del suprematismo razziale che, ripete l'Albanese, prevede "confinamento fisico, confisca di terre, sfratti forzati, demolizione delle abitazioni, applicazione discriminatoria della legge, violenza inarrestabile nell’impossibilità di proteggersi. Tutto questo sorretto da un dualismo legale che fa da ossatura al sistema: legge marziale per i palestinesi, discriminati e vessati, e giurisdizione civile per i coloni", liberi tra l'altro di costruire dove preferiscono con l'avallo dei massimi livelli della politica nazionale in un paese dove prima del 7 ottobre 2023 la definizione di apartheid per l'assetto giuridico dei territori occupati stava ormai facendo il suo ingresso nel dibattito. In "Occidente" invece persisterebbe la tendenza a considerare inammissibile la possibilità che lo stato sionista, considerato lo stato degli ebrei sopravvissuti allo sterminio, possa commettere dei crimini, così come vi persisterebbe il rifiuto categorico di accettare narrazioni imparziali e oggettive.
In Democrazia Christian Elia esordisce ricordando come lo stato sionista tenga oltremodo a imporre la definizione di sé come "unica democrazia del Medio Oriente" e introducendo retoricamente il concetto di democrazia selettiva, che Albanese considera inammissibile convenzione Icerd alla mano e che invece informa la Legge fondamentale adottata dallo stato sionista nel 2018. In considerazione del suo contenuto lo stato sionista ha i caratteri di una democrazia compiuta soltanto per gli ebrei, mentre gli stessi cittadini non ebrei dovrebbero affrontare disparità economiche e nelle opportunità di istruzione, nel settore immobiliare, nella giustizia e nella partecipazione politica. Albanese pensa che la comunità internazionale potrebbe fare da tramite per accompagnare la società dello stato sionista nella decostruzione del sistema da essa stessa messo in piedi, anche se la probabilità di incidere effettivamente sull'attuale stato di cose è meramente ipotetica. Elia ricorda la negazione dell'agibilità politica nello stato sionista a chi parli di "stato di apartheid" e la nuova definizione di antisemitismo divenuta recentemente di uso comune col patrocinio della International Holocaust Remembrance Alliance -in cui criticare la politica dello stato sionista equivale alla discriminazione razziale degli ebrei- normalmente usata in Occidente per gli attacchi ad personam. Albanese rileva la prontezza con cui il mondo mediatico e politico dello stato che occupa la penisola italiana si è adeguato a questa prassi, e nota come ne sia invece andata esente la politica di piazza. Lo stato sionista da parte sua non risponderebbe di norma ad alcun rilievo e ad alcuna contestazione; i politici sionisti si abbandonerebbero a volte "a performance di una teatralità imbarazzante e di una veemenza intollerabile" all'indirizzo di giuristi invisi o di chi fa loro semplicemente notare che le efferatezze di Hamas non nascono dal nulla. La quotidianità nei territori occupati, attesta la Albanese, è fatta di azioni giudiziarie nei confronti di soldati e coloni che commettono abusi e crimini contro i palestinesi raramente investigate o condannate, mentre "il 99 per cento delle azioni giudiziarie intentate contro palestinesi –cioè di soldati che accusano i palestinesi e li portano davanti a un giudice (nella maggior parte dei casi militare)– si concludono con condanna, spesso sulla base di confessioni estorte". A fronte delle molte uccisioni di reporter Elia chiede se sia giuridicamente ammissibile l'idea -ampiamente promossa dall'esecutivo sionista in cui il movimento dei coloni un tempo usato e trattato da paria ha adesso un ruolo di primo piano- che i mass media possano essere considerati un nemico. La Albanese nota che nello stato sionista sarebbe noto come un effetto boomerang della colonizzazione il fenomeno dei coloni che si spostano -fisicamente o politicamente- nelle città, portando con sé l'abitudine ai comportamenti prevaricatori e al non rispetto della legge; ne sarebbe esempio Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza interna che ha iniziato ad armare i propri seguaci conferendo loro di fatto e di di diritto licenza di uccidere.
Christian Elia nota che nel 2006 il doppio standard occidentale è diventato evidente; la vittoria di Hamas in elezioni considerate trasparenti anche dagli osservatori non fu riconosciuta né dagli USA né dall'Europa né dai vertici di Fatah. La Albanese riepiloga a proposito le condizioni di Gaza, sotto assedio dal 2007 secondo una prassi di punizione collettiva aggravata dal fatto che le autorità di Hamas vi soffocano ogni dissenso imponendo un autoritarismo di derivazione religiosa peraltro lontano dalla tradizione palestinese.
Carceralità approfondisce il tema della Striscia di Gaza come carcere a cielo aperto e come carcere puro e semplice. Secondo Albanese la privazione arbitraria della libertà sarebbe la norma nei territori occupati. L'intera popolazione palestinese vi verrebbe considerata una minaccia, la presunzione di colpevolezza sarebbe abituale, un assembramento di dieci o più persone in cui si parli di politica o di materie interpretabili come tale potrebbe portare ai dieci anni di reclusione, così come qualsiasi espressione di simpatia per una della oltre quattrocento organizzazioni che lo stato sionista considera ostili. I cui quadri possono essere puniti con venticinque anni di reclusione. Il minimo consolidarsi delle autorità palestinesi dopo gli accordi di Oslo avrebbe aggravato il fenomeno perché i due apparati repressivi operano in connessione diretta. Facendo riferimento al diritto internazionale e alle convenzioni in materia, la Albanese sottolinea come la quotidianità nei territori occupati sia fatta di barriere fisiche, barriere burocratiche e sorveglianza continua e come la vita vi si svolga in un panopticon in cui vige una sorta di continuum carcerario in cui i due estremi sono la libertà vigilata e la detenzione vera e propria.
La postfazione di orientamento filosofico curata da Roberta de Monticelli è la parte del volume che -limitatamente ai riferimenti, rimanendo validissima da un punto di vista generale- maggiormente presenta i caratteri dello instant Book. L'autrice ricorda la professionalità di relatrice speciale della Albanese insieme al ruolo del diritto internazionale, parte del sottilissimo strato di civiltà che separa e protegge "da un oceano di stupidità e ferocia", prima di passare in esame le molteplici violazioni commesse dallo stato sionista nella guerra contro la Striscia di Gaza e di notare come il diritto internazionale sia stato di fatto spogliato del suo carattere di cogenza. E con esso in fin dei conti della sua esistenza. La de Monticelli è costretta ad auspicare uno sforzo di memoria che riporti alla stagione successiva alla seconda guerra mondiale e alla presa di coscienza della fragilità dell'umano che condusse a una sua parziale incarnazione normativa nel costituzionalismo globale rappresentato dalla Carta delle Nazioni Unite e dal suo ripudio della guerra. Un tabù delle armi esplicitamente contemplato che la "libera informazione" occidentale non ammette. Citando Luigi Ferrajoli, la de Monticelli ritiene che contro Hamas si debba combattere con gli strumenti del diritto e non con quelli della guerra che si fa tra stati sovrani: diversamente si eleverebbe Hamas a livello di un pubblico esercito. I fatti del 7 ottobre avrebbero scatenato la violenza epistemica denunciata dall'Albanese su tre piani diversi, quello geopolitico, quello del dibattito pubblico e quello individuale. Sul primo piano la de Monticelli cita la intellectual bankruptcy di una riproposta demenziale dello "scontro di civiltà" tra l'"Occidente" e il resto del mondo. La distinzione di Karl Schmitt tra amico e nemico come essenza della politica cui la de Monticelli assegna ogni torto possibile, citando con dettagliati esempi il limite amplissimamente superato della disumanizzazione dell'avversario. Per il dibattito pubblico la de Monticelli si limita ad altri esempi tratti dalle produzioni mediatiche della "libera informazione". Eccepire alle iniziative dello stato sionista è cosa ascritta ai custodi di nostalgie inconfessabili. Sul piano individuale dell'interiorità, la violenza epistemica ha la forma degli anatemi preventivi diretti contro ogni perplessità; la conclamata allergia alle congiunzioni avversative e ipotetiche di cui la "libera informazione" mena tranquillamente vanto.
In ultimo la de Monticelli ricorda l'imposizione dello sterminio degli ebrei d'Europa imposto come male assoluto dalla International Holocaust Remembrance Alliance, la stessa che ha curato e che impone la definizione operazionale di antisemitismo già accennata, in cui antisemitismo e critica al sionismo politico vengono considerati sullo stesso piano. Una definizione che aiuta a togliere il microfono a chiunque critichi lo stato sionista -con buona pace del principio di realtà- senza neppure curarsi della fondatezza delle critiche espresse.



Francesca Albanese, Christian Elia - J'accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l'apartheid in Palestina e la guerra. RCS, Milano 2023. 176pp.