Sante Lesti - Il mito delle radici cristiane dell'Europa

L'introduzione al documentato scritto di Sante Lesti specifica che il tema delle "radici cristiane" dell'Europa verrebbe trattato storiograficamente secondo due prospettive diverse se non opposte. La prima vedrebbe nel cristianesimo un elemento fondamentale del passato. La seconda, oggetto di questo saggio e risalente alla Controrivoluzione francese, lo considererebbe l'unico elemento fondante, facendone una rappresentazione ideologica della realtà. In questa prospettiva le radici cristiane rappresenterebbero un racconto falso (anche se non fantastico) sulle origini di una cultura, tramandato e continuamente trasformato per legittimare un determinato sistena sociale. Esso si fonderebbe sull'idealizzazione di eventi e personaggi, soprattutto del passato medievale, e costituirebbe una rappresentazione ideologica della realtà utile alla mobilitazione politica. Questa rappresentazione ideologica nata alla fine del XVIII secolo sarebbe sopravvissuta grazie alla propria flessibilità: le radici cristiane dell?Europa avrebbero legittimato o contestato tutto e il contrario di tutto: restaurazione napoleonica, progetto neoguelfo, rivoluzioni del 1848 e integrazione europea da una parte, rivoluzione francese, restaurazione, liberalismo e Unione Europea dall'altra. Il testo intende ricostruire l'importanza del mito nei diversi contesti in cui sarebbe stato rilanciato, comprendere la strategia dei suoi propugnatori e collocare i suoi riutilizzi nelle visioni dell'Europa in cui è stato inserito. Come mito storico-identitario, quello delle radici cristiane dell'Europa sarebbe servito ai suoi sostenitori non solo per definire in modo ineludibile il carattere di una civiltà europea ma anche e soprattutto, sul piano politico, per elevare la Chiesa e i cattolici al di sopra di tutti gli altri. Una interpretazione del passato utile per affermare un predominio sul presente e sul futuro.
Nel capitolo iniziale Lesti nota come l'identità europea, pur affermatasi e consolidatasi almeno dal XVI secolo, fino alla fine del XVIII secolo non avrebbe inteso la religione cristiana come criterio di differenziazione essenziale. La nascita dello stato moderno tra pace du Westfalia e trattato di Utrecht sarebbe stata caratterizzata da elementi strettamente secolari e nel corso del Settecento la religione non solo non avrebbe rappresentato un principio cardine, ma sarebbe anzi stata spinta ai margini dell'idea di Europa. La prima attestazione del mito sarebbe da identificarsi nella Épopée lyonnaise di Pierre Simon Ballanche, un poema celebrativo della insurrezione lealista di Lione del 1793 ambientato in un futuro remoto e distopico in cui una festa religiosa ricorda la resistenza della città contro le "teorie menzognere" di una rivoluzione distruttrice. Il nascente tradizionalismo politico e religioso avrebbe considerato la rivoluzione francese come l'esito funesto dell'illuminismo, -se non il prodotto di un complotto ordito dai "filosofi" contro il Trono e l'Altare- e avrebbe vagheggiato una antica -e mitica- "civiltà" collocata prima dei Lumi e fondata sulla monarchia e sulla religione cattolica. L'idea che gli intenti della rivoluzione fossero distruttivi sul piano sociale e peccaminosi su quello religioso viene identificata dall'A. nella Théorie du pouvoir politique et religieux pubblicato nel 1796 da Louis de Bonald, in cui la monarchia verrebbe concepita come l'unica forma di governo in grado di realizzare la "volontà generale" della società e il cristianesimo l'unica religione in grado di conservare sulla terra la conoscenza del divino. Nel 1799 La cristianità ovvero l'Europa di Novalis avrebbe presentato fin dalla sua prima stesura i temi dell'evocazione nostalgica dell'Europa medievale come "paese cristiano", quello della sua dissoluzione ad opera del mercantilismo e della Riforma prima e dell'illuminismo e della rivoluzione poi, e quello di un presente in cui sarebbero percettibili i segni di una sua ricostruzione. Gli scritti di Ballanche, di de Bonald e di Novalis si inscriverebbero nel contesto di un radicale scontro fra Rivoluzione e Controrivoluzione inteso nei termini di una contesa fra barbarie e civiltà, laddove civiltà e cattolicesimo vengono fatti coincidere. Lesti indica più volte in Edmund Burke il fondatore di un europeismo nostalgico inteso come reazione a fronte delle nuove istituzioni rivoluzionarie nel cuore del continente, e specifica che il contesto in cui si sarebbe formato il mito delle radici cristiane d'Europa si sarebbe trovato all'intersezione tra due insiemi: quello dell'ideologia di cristianità e quello dell'europeismo romantico.
Il secondo capitolo tratta della diffusione del mito in epoca napoleonica, sull'onda del Concordato tra Santa Sede e République siglato nel 1801. Il clima di restaurazione avrebbe favorito l'anno successivo il successo del Genio del cristianesimo (Génie du christianisme ou beautés de la religion chrétienne) di François-René de Chateaubriand. Chateaubriand espone dogmi e dottrine cristiani, definisce geniale l'influenza del cristianesimo sulle produzioni culturali e sullo stesso spirito umano e gli attribuisce l'aver "modificato il carattere delle nazioni" creando in Europa "degli uomini totalmente differenti dagli antichi per le opinioni, i governi, i costumi, gli usi, le scienze e le arti". L'A. sottolinea come Chateaubriand attribuisca particolare importanza a una pervasiva inculturazione cristiana, ascrivendone i meriti ai pontefici, all'ordine benedettino e ai gesuiti, e consideri in torto quanti rappresenterebbero il cristianesimo come un ostacolo al progresso. L'opera varia, corposa e dettagliata di Chateaubriand, in cui si teorizza anche l'istituzione di un tribunale europeo con poteri di arbitrato fra le nazioni sotto il patrocinio del pontefice, avrebbe alimentato le produzioni mitografiche successive proiettando il mito oltre i confini dell'apologetica ecclesiastica. In considerazione del fatto che sarebbe stato il modernissimo regime napoleonico a riannodare i fili della nazione francese con la religione dei suoi antenati, Chateaubriand sarebbe anche riuscito ad allentare i legami con il modello di civiltà pre e anti illuministico centrato sull'alleanza fra il trono e l'altare. Nella Pasqua del 1802 un proclama firmato da Bonaparte avrebbe portato l'idea di un cristianesimo "che ha civilizzato l'Europa" all'attenzione di tutti i francesi. Presentando il Concordato agli organi legislativi, il consigliere ombra di Bonaparte Jean-Étienne-Marie Portalis avrebbe insistito sullo stesso concetto. Per giustificare l'iniziativa si sarebbe soffermato sul ruolo sociale della religione, sulla compatibilità fra le confessioni cristiane -specie la cattolica- con la repubblica nata dalla Rivoluzione, sulla necessità per lo Stato di proteggere e al tempo stesso di controllare la religione e sulla presa d'atto che un concordato con l'autorità papale avrebbe rappresentato l'unico modo per ricomporre "gli scandali e gli scismi" che caratterizzavano il culto della stragrande maggioranza dei francesi. In pochi mesi le radici cristiane d'Europa avrebbero cambiato ruolo, passando da mito di contestazione a mito legittimante lo stato di cose presente. L'idea di affidare al pontefice di Roma un supremo tribunale arbitrale che giudichi "in nome di Dio le nazioni e i monarchi" si sarebbe diffusa in tutto il continente grazie a Joseph de Maistre. Lesti nota come de Maistre fosse inizialmente propenso alla difesa della monarchia come "aristocrazia centralizzata" assecondando le proprie origini aristocratiche. Dal 1798, alimentando il discorso antiprotestante con il saggio Réflexions sur le protestantisme, de Maistre avrebbe declinato il mito in modo autoritario: dall'infallibilità dell'insegnamento cattolico sarebbero risultati il rispetto cieco per l'autorità, la rinuncia al pensiero individuale e di conseguenza l'universalità della fede. Assertore del principio d'autorità come fonte della politica e della sua incarnazione nella monarchia ereditaria di diritto divino, de Maistre avrebbe sostenuto la legittimità della sovranità papale e la centralità della figura del pontefice nel ruolo civilizzatore della religione. Nel Du Pape del 1819 il mito delle radici romane (nel senso di cattoliche) dell'Europa avrebbe convissuto con il mito delle radici romane della Francia, "nazione straordinaria destinata a ritrovarsi alla testa del sistema religioso in Europa".
Nell'imminenza della Restaurazione Claude-Henri de Saint-Simon e Augustin Thierry avrebbero invece "cambiato di segno" al mito delle radici cristiane inserendolo in una prospettiva liberale e parlamentare. Il loro trattato De la réorganisation de la société européenne avrebbe proposto per l'Europa un assetto confederale formato da monarchie ereditarie parlamentari nazionali su modello britannico, che avrebbe dovuto rappresentare una traduzione -applicata alle circostanze contemporanee- dei principi dell'organizzazione pontificale e dell'esperienza storica dell'Europa medievale. Il contemporaneo Felicité de Lamennais nello Essai sur l’indifférence en matière de religion avrebbe descritto quella europea come una società organica in cui "i popoli erano autenticamente sovrani, perché […] religiosamente sottomessi" e "serviti dai re, dai nobili, dai preti"; il cattolicesimo avrebbe avuto effetti generali, permanenti e uniformi ovunque, costruendo una civiltà umana coincidente con quella europea e lanciata alla conquista del mondo. Dagli scritti successivi Lamennais risulterebbe aver fatto entrismo in campo liberale, considerando la libertà non un principio di organizzazione della società ma un mezzo per ricostruire una società teocratica. L'idea, veicolata dopo la rivoluzione del 1830 dal quotidiano L'Avenir, sarebbe stata quella di cattolicizzare il liberalismo disarmando le correnti anticlericali. Il fine del cristianesimo sarebbe diventato quello di costruire una società basata sula libertà religiosa, politica e civile; l'opposto dell'autoritarismo di de Maistre fermi restando l'eurocentrismo e la propensione al colonialismo. A fronte delle delusioni inflittegli in pochi anni dal corso degli eventi e inviso alla stessa stampa clericale per il successo avuto presso il basso clero e un'intera generazione di scrittori romantici, Lamennais sarebbe finito col vagheggiare -in Paroles d’un croyant, 1834- un Regno di Dio sulla terra senza Europa e senza chiesa cattolica. Il percorso di Lamennais viene inserito da Lesti nel clima culturale del tempo: la modernità non sarebbe stata più intesa come opposta al cristianesimo quanto una conseguenza di esso; con Le Christianisme considéré dans ses rapports avec la civilisation moderne di Augustin Sénac pubblicato nel 1837 il cristianesimo viene presentato come fondamento dei diritti naturali dell'uomo e alla Francia sarebbe stata accordata la posizione privilegiata di averli riconosciuti per prima. La spedizione di Bonaparte in Egitto, nota qundi l'A., aveva risvegliato in Francia l'interesse per le crociate. Chateaubriand prima e la corposa Storia delle Crociate di Michaud poi avrebbero abbondato in disprezzo per l'Islam, presentando le crociate come slancio generoso compiuto per il trionfo della religione e più in generale della civiltà e inglobando il mito delle crociate all'interno di quello delle radici cristiane. Nella penisola italiana i temi di Michaud sarebbero stati ripresi innanzitutto da Tommaso Grossi -il cui poema I lombardi alla prima crociata sarebbe stato fonte per il libretto dell'opera di Giuseppe Verdi- e dal pittore Francesco Hayez, il cui Pietro l'eremita avrebbe avuto un ampio e durevole successo. Nel 1843 Vincenzo Gioberti avrebbe ripreso il mito delle radici cristiane nel suo Del primato morale e civile, in cui il risorgimento "nazionale" della penisola italiana avrebbe avuto "per base la pietra angolare del pontificato" e per assetto politico quello di una confederazione di principi con a capo il pontefice di Roma. L'eccezionalismo civilizzatore che L'Avenir avrebbe riservato alla Francia, in Gioberti verrebbe ascritto alla penisola italiana. Premessa ineludibile della restaurazione del potere arbitrale del pontefice, un ripristino dell'unità religiosa europea per il quale Gioberti non avrebbe indicato né tempi né scadenze, pur non dubitando -fideisticamente- che sarebbe stato raggiunto. Nel 1844 il sacerdote catalano Jaime Balmes avrebbe finito di pubblicare Protestantismo paragonato col cattolicismo nelle sue relazioni con la civiltà europea, opera in cui avrebbe sostenuto la responsabilità del protestantesimo nella diffusione del dispotismo e della corruttela nella società europea, arginate invece dal cattolicesimo e dal papato. Balmes avrebbe ascritto al cattolicesimo la vera libertà, intesa come rispettosa della "sana ragione", del "buon senso", della "verità" e degli "eterni principi della morale". Secondo Balmes solo il cattolicesimo romano avrebbe potuto proteggere l'Europa da un nuovo ciclo rivoluzionario, dal socialismo e dalla Russia zarista. Lesti considera l'opera di Balmes come una mancata storia delle radici cristiane d'Europa perché nel suo sviluppo l'intenzione esplicitata dall'autore di giustificare le proprie posizioni alla luce di uno studio rigoroso e scientifico degli eventi storici verrebbe del tutto disattesa dal diffuso ricorso all'apologetica. Balmes poi proietterebbe sul passato le idee del suo tempo, riconducendo al cristianesimo quelle a suo giudizio compatibili con esso. In questo clima la parabola di Pio IX avrebbe acceso l'entusiasmo di apologeti come Antoine-Frédéric Ozanam e nei paralleli da essi tracciati fra una civilizzazione di cui fenomeni come le crociate, la letteratura cavalleresca e lo sviluppo clericale del diritto avrebbero rappresentato il punto di massimo sviluppo e l'auspicata azione della chiesa cattolica nella nuova crociata per la giustizia sociale. Alla "statua della libertà" in corso di realizzazione in Francia dal 1789, il Vaticano avrebbe conferito un'anima. L'opera di Ozanam avrebbe raccolto ed esposto tutte le varianti del mito delle radici cristiane d'Europa; il corpus delle sue opere sarebbe stato edito e tradotto per oltre sessant'anni. Il contemporaneo Juan Donoso Cortés marchese di Valdegamas, ultimo esponente di rilievo del tradizionalismo ottocentesco, avrebbe esposto nel 1851 in un Saggio sul cattolicismo, liberalismo e socialismo il modello di una società teocratica fondata sui dogmi della religione cattolica, incompatibile con il parlamentarismo il liberalismo e il razionalismo. La versione più autoritaria del mito dopo de Maistre. Nel corso dei sessant'anni successivi alcune varianti del mito avrebbero perso terreno o sarebbero uscite completamente di scena -come quella delle radici cristiane di un'Europa liberale e parlamentare- lasciando la scena alla versione centrata sulle radici crociate dell'Europa e a quella definita nel Genio del cristianesimo di de Chateaubriand. Nel corso del XIX secolo, scrive Lesti, il mito delle radici cristiane dell'Europa si sarebbe guadagnato un posto di primo piano nella storia culturale. Nato nell'intersezione fra gli insiemi dell'europeismo conservatore e dell'ideologia della cristianità, sarebbe servito prima a legittimare l'ordine napoleonico, poi a contestare l'ordine esistente, quindi a "cattolicizzare il liberalismo" tornando poi a servire come arma controrivoluzionaria dopo il 1848. Chiamate a legittimare tutto e il contrario di tutto, le varianti del mito condividerebbero una venatura antiislamica e il fatto di essere state spesso elaborate da narratori laici.
La seconda parte del saggio passa innanzitutto in rassegna gli sviluppi del mito, classificandoli in cinque versioni diverse e successive.
Il terzo capitolo prende in esame il periodo compreso fra il 1920 e la fine del pontificato di Pio XII nel 1958; Lesti prende innanzitutto in considerazione gli scritti di Hilaire Belloc, campione del cattolicesimo britannico di inizio '900 convinto non solo delle radici cristiane dell'Europa ma soprattutto di quelle europee del cristianesimo, con particolare riguardo a Europe and the faith del 1920, considerata dall'A. una prima e compiuta storia delle radici cristiane dell'Europa, sia pure falsa, apologetica ed estremamente polemica. In Belloc l'impero romano avrebbe dato all'Europa una prima identità; la seconda -e definitiva- sarebbe venuta dalla "civilizzazione" operata dalla chiesa cattolica. Belloc sarebbe stato convinto che le cause profonde della crisi della civiltà medievale non potessero essere pienamente comprese dall'intelletto e che "altre volontà rispetto a quelle dei mortali" avessero combattuto per l'anima dell'Europa "cosí come combattono ogni giorno per l'anima degli individui", e che in questa battaglia spirituale "qualche cosa" avesse finito per "girarsi contro di noi". In Belloc lo schema cattolico di interpretazione della modernità come frutto catastrofico del protestantesimo comprenderebbe anche la prima guerra mondiale e le sue conseguenze, col risultato di ritrarre un'Europa sull'orlo dell'abisso. Alle istanze antiprotestanti e antislamiche, sottolinea l'A., Belloc avrebbe aggiunto quelle antiebraiche, modellate secondo gli stereotipi correnti sia pure senza arrivare a considerarli i registi occulti della modernità o i protagonisti di un complotto per la conquista del mondo. L'Europa cattolica -ed escludente- di Belloc sarebbe un'alternativa al "vile cancro del capitalismo" e al "sistema ideale inumano e irrealizzabile" del socialismo. Negli stessi anni la rivoluzione russa e l'ascesa degli USA avrebbero alimentato la riflessione sulla crisi dell'Europa e sui modi per superarla. Nel 1932 Christopher Dawson avrebbe pubblicato The Making of Europe. An Introduction to the History of European Union in cui le fondamenta europee sarebbero state identificate nell'impero romano, nella chiesa cattolica, nella tradizione classica e nel materiale umano rappresentato dai barbari. Dawson avrebbe ascritto alla chiesa cattolica il dinamismo inteso come propensione al cambiamento sociale e come tratto proprio della specificità e in fin dei conti della supremazia occidentale. In Dawson la riforma protestante non avrebbe intaccato l'unità culturale europea, fondata su una tradizione intellettuale e sulla fedeltà alla tradizione classica, e neppure lo avrebbe fatto il crollo della cultura aristocratica cui Dawson sarebbe stato convinto di assistere: "le forze sociali e spirituali che hanno lavorato alla formazione dell'Europa" avrebbero avuto solo bisogno di essere riscoperte. Contrariamente alla maggioranza dei cattolici antimoderni Dawson non presenterebbe istanze islamofobe e dimostrerebbe concreta competenza storiografica. Secondo Lesti durante gli anni Trenta il cristianesimo avrebbe rappresentato per la maggior parte degli intellettuali europei solo una delle eredità culturali dell'Europa moderna, non l'unica. Neppure le Riflessioni sull'Europa del conte svizzero Gonzague de Reynold avrebbero fatto eccezione, nonostante il loro contenuto esplicitamente antimoderno che indica nel XVIII secolo e nella sua atmosfera intellettuale "il crocicchio dal quale abbiamo preso la cattiva strada". Solo una "cospirazione degli intellettuali" uguale e contraria a quella dei filosofi del XVIII secolo e centrata sulla rinascita della filosofia tomista e del classicismo avrebbe rimesso l'Europa in condizioni di riprendere la sua missione di "sentirsi responsabile innanzi a Dio del destino umano sulla terra", mossa come sarebbe stata da una civiltà "superiore a tutte le altre, poiché possiede un valore assoluto". Solo nel 1944 de Reynold avrebbe identificato "civiltà europea" e "civiltà cristiana". Negli stessi anni, nella penisola italiana, Frédéric Chabod avrebbe tenuto lezioni universitarie in cui la rivelazione cristiana sarebbe stata definita il maggior avvenimento della storia universale. Influenzato dal Croce del Perché non possiamo non dirci cristiani, nella Milano sotto occupazione tedesca, Chabod avrebbbe cercato di immaginare un'alternativa culturale al nazionalsocialismo e solo alcuni anni più tardi avrebbe ripreso la posizione per cui il sentimento religioso sarebbe stata solo una componente dell'idea ottocentesca di Europa, superata in importanza dall'idea di nazione e dal senso della storia.
Lesti nota come i pontefici fino a Pio XII avessero evitato di fare proprio il mito delle radici cristiane: una "radice" avrebbe presupposto una continuità storica che i pontefici del XIX e del XX secolo avrebbero considerato interrotta. Solo dopo il 1945 Pio XII avrebbe adottato il mito delle radici cristiane d'Europa con particolare riferimento al ruolo dell'ordine benedettino; nel 1946 sarebbe stata lanciata per opera dell'abate di Montecassino Ildefonso Rea una campagna per la proclamazione di San Benedetto patrono d'Europa. Nella lettera circolare per l'iniziativa, Rea avrebbe ascritto a San Benedetto i meriti della cristianizzazione, dell'unificazione e della civilizzazione del continente, e avrebbe presentato la civilizzazione come un corollario della cristianizzazione in un clima accordato al pessimismo sulle sorti dell'istituzione ecclesiastica e sulla salute non solo spirituale di tutto il continente. San Benedetto sarebbe stato proposto da un consistente movimento ecclesiastico come antidoto all'"ateismo materialistico" e al "paganesimo modeno", intesi come il comunismo e il liberalismo che si sarebbero spartiti il continente dopo la guerra e che l'apologetica cattolica avrebbe ritratto in toni apocalittici. Pio XII non avrebbe dato corso alla proposta e Lesti non sarebbe riuscito a trovare documentazione sufficiente a trarre conclusioni in materia; nondimeno la segreteria per gli affari ordinari del pontefice avrebbe sostenuto il congresso europeista a Den Haag nel 1948, riuscendo a ottenere dalla sua commissione culturale un riconoscimento del "patrimonio comune della civiltà cristiana e di altri valori spirituali e culturali". La predominanza culturale laica e socialista nell'embrione delle istituzioni europee avrebbe convinto Pio XII (o meglio, la sua segreteria) a inviare rappresentanti vaticani alle successive iniziative, rivendicando i tempi in cui "l'Europa formava nella sua unità un tutto compatto" la cui anima sarebbe stata "la religione che impregnava a fondo tutta la società di fede cristiana". Probabilmente consapevole del fatto che con la fondazione delle prime istituzioni europee sarebbero stati i partiti democratici cristiani e non un Franco o un Salazar ad avere il predominio politico, ai federalisti europei Pio XII avrebbe prospettato negli anni Cinquanta la costruzione di un'Europa confessionale modellata sui "diritti di Dio" e in subordine quella di una Europa interconfessionale fondata sui diritti naturali che la Chiesa cattolica riterrebbe applicabili a tutti gli esseri umani; in ambo i casi la Chiesa avrebbe indicato le norme fondamentali della comunità politica. In questo contesto, avendo a che fare con una società laica e pluralista con la compresenza -se non il predominio- di altre famiglie politiche, anche i partiti di ispirazione cattolica avrebbero chiamato in causa il mito delle radici cristiane solo sporadicamente e senza rifarsi a criteri confessionali esclusivi.
Il pontificato di Giovanni XXIII -si legge nel quarto capitolo- si sarebbe gradualmente distaccato dal predecessore anche su questo tema, facendo proprie le istanze della XLIX Semaine sociale de France del 1962 sul ruolo delle comunità intermedie come le associazioni di categoria, e riaffermando il sostegno papale all'integrazione europea. In questo, i documenti disponibili mostrano come il pontefice, pur non rinunciando alle pretese di universalismo della cultura europea, considerasse le radici storiche dell'Europa come essenzialmente cristiane perché rivelatrici dei tratti di libertà, autonomia e responsabilità dell'essere umano. L'A. nota comunque che negli anni Sessanta il mito delle radici cristiane dell'Europa sarebbe stato criticato, trattato senza considerarne la supremazia e sostanzialmente relativizzato proprio negli ambienti della Semaine. Nel 1964 Ildefonso Rea avrebbe ripreso l'iniziativa ideata per invocare la protezione di San Benedetto sull'Europa Cristiana, e proseguita a quanto pare per mettere sotto la tutela del santo il processo di integrazione continentale; a questo proposito l'A. dedica varie pagine alla disamina delle motivazioni dei postulatori. San Benedetto sarebbe stato dichiarato patrono principale "dell'intera Europa" da Paolo VI nel 1964 durante la riconsacrazione della ricostruita Montecassino. Lesti nota come il rilancio delle radici cristiane -e benedettine- di un'Europa da edificare sulle basi della fede e dell'unità sarebbe stato, in quelle circostanze, amplificato dalle cronache televisive ma sottodimensionato dagli altri mass media. In varie occasioni, rapportandosi con personalità e istituzioni europee negli anni successivi, Paolo VI avrebbe affrontato con crescente assertività il tema dei "valori perenni... così come il cristianesimo li proclama"; se negli anni Sessanta le interpretazioni catastrofiste sulla storia moderna erano state messe da parte, nei Settanta sarebbero tornate a condizionare sensibilmente l'operato del pontefice. Lesti ritiene che il dissenso interno alla Chiesa, più che il movimento del 1968 come tale, abbiano avuto in questo irrigidimento un ruolo sostanziale.
La stessa linea sarebbe stata seguita da Giovanni Paolo II, attento anche a fare di San Benedetto non solo il creatore dell'Europa, ma il creatore delle nazioni europee. Lesti attinge a oltre trent'anni di documenti ufficiali, discorsi e relazioni che esamina e cita nel dettaglio, per mostrare come i fondamenti del mito sarebbero diventati con Karol Wojtyła i concetti di nazione e quello di gerarchia. L'enfasi sull'unitarietà del continente sarebbe diventata un modo per combattere la divisione dell'Europa, non soltanto un modo per non legittimarla come era stata in Pio XII e Paolo VI. Giovanni Paolo II, nota l'A., avrebbe accostato a San Benedetto come patroni d'Europa anche i santi Cirillo e Metodio per correggere le narrazioni occidentalocentriche e per il dialogo con la Chiesa ortodossa; nel discorso del pontefice polacco ricorrerebbero i riferimenti al plurale alle Chiese cristiane e, a fronte dei problemi della modernità, l'intento di mettere l'uomo davanti al proprio fallimento. Ai detrattori questi intenti egemonici non sarebbero sfuggiti, come non sarebbe sfuggita la pretesa unitarietà di un continente che, pur profondamente segnato dal cristianesimo, unito non sarebbe stato affatto. Lesti nota che molte delle critiche, da quella rivolta alle pretese universalistiche all'accusa di fattiva complicità con il colonialismo, sarebbero state recepite dall'alta gerarchia ecclesiastica; il saggio cita estesamente il cardinale austriaco Franz König e quello francese Roger Etchegaray e sottolinea a più riprese le profonde divergenze che avrebbero diviso il pontefice da buona parte dei suoi sottoposti. Bella e terribile al tempo stesso, la storia europea secondo Giovanni Paolo II avrebbe prodotto tanto l'umanesimo cristiano alla base del progresso scientifico, della filosofia e dei diritti dell'uomo quanto un suo allontanamento dal divino di cui le guerre mondiali sarebbero state le manifestazioni più evidenti accanto al dilagare del materialismo. Nell'Europa moderna, la storia si riassumerebbe nella contrapposizione tra umanesimo cristiano e umanesimo laico. La caduta del comunismo e la resilienza della Chiesa a fronte di esso avrebbe rinforzato dopo il 1989 le istanze di uno extra ecclesiam nulla salus che avrebbe tuttavia identificato le radici cristiane dell'Europa con il fatto che "nella ricerca delle proprie radici l’uomo europeo non può non porsi la questione del cristianesimo e non entrare in dialogo con esso".
Lesti ricorda la nomina nel 1999 di Santa Brigida, Santa Caterina e Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) a compatrone d'Europa; Giovanni Paolo II avrebbe voluto attestare il proprio disaccordo verso la gerarchizzazione dei ruoli tradizionali e soprattutto conferire alle radici cristiane una profondità e un'ampiezza ancora maggiori. Prima del Giubileo del 2000 e a meno di dieci anni dalla fine del blocco comunista il papa avrebbe inoltre dovuto prendere atto che la portata degli eventi si annunciava meno esaltante del previsto: i nazionalismi e l'estensione su scala continentale dei un modello occidentale fatto di materialismo, indifferenza agnostica, relativismo e individualismo avrebbero di molto minato le aspettative e le prospettive della Chiesa. Dalla documentazione emergerebbe la consapevolezza che le postulate radici cristiane, pur nella loro salda centralità, sarebbero state sotto attacco da più parti. All'avversario di sempre -rappresentato dalla secolarizzazione- gli ultimi decenni del XX secolo avrebbero visto aggiungersi anche il pluralismo religioso. Un dato di fatto che avrebbe fatto mal tollerare gli apporti del Vaticano alla redigenda costituzione europea -e segnatamente al suo preambolo- nonostante l'impegno del Partito Popolare in questo senso e nonostante l'influenza delle formazioni della destra, legate alle religioni "storiche" dell'Occidente in contrapposizione all'Islam.
Il nuovo pontefice Benedetto XVI, riassume Lesti, sarebbe stato un convinto sostenitore delle radici cristiane dell'Europa; il rafforzamento dei legami tra Chiesa e continente europeo e la messa in evidenza dei limiti dell'illuminismo, colpevole di aver creato uno "squilibrio fra possibilità tecniche ed energia morale", avrebbero caratterizzato il pontificato di Joseph Ratzinger fin dal suo esordio. Rispetto al suo predecessore, Benedetto XVI avrebbe coltivato una versione più astratta del mito, impartendogli un taglio storico-filosofico e un obiettivo che rispetto a quello della rievangelizzazione si sarebbe limitato alla promozione di un compromesso politico tra laici e cattolici. Il papa tedesco avrebbe a questo proposito difeso il "ruolo pubblico del cristianesimo" e redatto un'agenda politica vera e propria contenente "principi non negoziabili" inerenti quasi esclusivamente il "diritto alla vita" e la "famiglia naturale": un accenno alla giustizia sociale sarebbe stato aggiunto dopo la crisi finanziaria del 2008. Secondo le conclusioni di Lesti il papato avrebbe cambiato più volte il proprio discorso sul mito per mantenere la presa sull'identità europea, fermo restando il suo obiettivo di cristianizzare -o meglio di egemonizzare- il processo di integrazione. In questo, nel corso dei decenni avrebbe sostenuto tutto e il contrario di tutto. A minacciare il monopolio papale sul mito sarebbe arrivata, dopo il 2005, l'estrema destra.
Nell'epilogo dedicato al pontificato di Jorge Bergoglio, Lesti scrive che papa Francesco avrebbe nuovamente modificato il mito per sostenere la sua visione dell'Europa e che avrebbe cercato di accantonarlo per non legittimarne l'uso identitario e antimigratorio da parte delle destre. L'elemento nuovo introdotto da Bergoglio sarebbe stato quello della solidarietà, unito alla negazione delle interpretazioni esclusiviste delle "radici dell'Europa" comunque intese. Papa Francesco avrebbe considerato l'identità europea come "dinamica e multiculturale", di fatto espellendo dal discorso sull'Europa la inalterabilità postulata di qualsiasi radice culturale. Gli interventi papali sull'Europa avebbero avuto in precedenza l'obiettivo di rivendicare un ruolo egemone per il pontefice, la Chiesa e i cattolici e indicare i contorni di un'Europa fondata sulla "legge naturale". L'Europa di Francesco sarebbe stata solidale, aperta, giovane, autentica, fondata da una parte sulla famiglia e dall'altro su diritti e doveri. Con Bergoglio la Chiesa sovrana di Pio XII e madre e maestra di Giovanni XXIII e Paolo VI sarebbe diventata, solo misericordiosa; una scelta che l'A. attribuisce a una valutazione oggettiva e realista dello stato di cose presente e che comunque -documenti alla mano- non sarebbe stata esente da ripensamenti. Lesti ricorda come il mito si presti a vari usi: potrebbe servire per elevare alcuni al di sopra degli altri, ma anche per plasmare l'Europa secondo la propria visione; proprio per questo Bergoglio potrebbe aver accettato il rischio di condedere spazio al discorso identitario e antimigratorio.
Lesti ricorda il successo mondiale di un altro mito, quello dello "scontro di civiltà" tra Islam e Occidente, iniziato dopo le radicali operazioni urbanistiche sul suolo statunitense dell'11 settembre 2001 e da allora strumento indispensabile nella propaganda delle destre. Il libro riassume la storia della fortuna politica dell'ungherese Viktor Orbán e di come i miti delle "radici cristiane" e dello "scontro di civiltà" abbiano influito nella sua costruzione di una "democrazia cristiana illiberale" in Ungheria. Comune a Orbán e ai suoi estimatori, tra i quali l'A. cita estesamente Giorgia Meloni, la convinzione che in Europa sarebbe in atto uno scontro tra chi difende una determinata identità e chi cercherebbe di distruggerla attaccando "la famiglia, la patria o l'identità religiosa". L'A. conclude che nella pratica politica della destra le radici cristiane dell'Europa servirebbero alla creazione di una identità chiusa, allo scopo di costruire un senso di appartenenza condiviso e a quello di segnare un confine tra se stessi e gli altri, con particolare riguardo all'Islam.


Sante Lesti - Il mito delle radici cristiane dell'Europa. Dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri. Torino, Einaudi 2024. 324pp.