Lo stato sionista esiste per una decisione a maggioranza degli stati membri delle Nazioni Unite. La tesi di Leonid Mlečin, confortata da una considerevole quantità di documenti d'archivio sovietici desecretati, è che l'allora Segretario Generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica Iosif Vissarionovič Džugašvili abbia avuto un ruolo fondamentale nella promozione della sua nascita.
Nella prefazione Luciano Canfora ricorda i cattivi rapporti tra Bund e bolscevichi dopo la Rivoluzione d'Ottobre e il fallimento più o meno aperto della sezione ebraica del partito bolscevico e della fondazione dello "stato ebraico" del Birobidžan, prima di ricordare il deliberato impegno sovietico a favore della nascita dello stato sionista a partire dal 1944. Nel febbraio 1945 alla conferenza sindacale mondiale di Londra i sovietici avrebbero approvato una risoluzione favorevole alla protezione degli ebrei contro l'oppressione e la discriminazione in ogni paese e all'istituzione di un "focolare nazionale" come inteso da Balfour. La decisione avrebbe portato alla diffusione di un clima ostile verso Mosca nei paesi arabi, cosa che avrebbe avuto un certo peso all'atto dell'approvazione della Risoluzione 181 del 1947 e ancora maggiore lo avrebbe avuto immediatamente dopo, quando gli stati arabi "sostenuti vigorosamente dall'Inghilterra" si sarebbero opposti alla sua attuazione dando di fatto inizio alle ostilità. Per qualche tempo gli USA -in cui esisteva amche un movimento isolazionista e antisemita propenso a identificare ebrei e comunisti- avrebbero temuto un intervento sovietico in Palestina a tutela della spartizione, visto come potenzialmente destabilizzante nei confronti dei governi arabi e come minaccioso verso le posizioni statunitensi nel Mediterraneo. Gli USA avrebbero per questo proposto all'ONU di sospendere l'applicazione della Risoluzione 181; l'URSS avrebbe respinto, nella seduta del Consiglio di Sicurezza del 14 maggio 1948, ogni proposta alternativa o dilatoria. L'invio massiccio di armi dalla Cecoslovacchia voluto da Stalin avrebbe consentito al neonato stato sionista di respingere l'invasione egiziana e giordana. Solo successivamente si sarebbe verificato un progressivo capovolgimento di posizione, dovuto a diverse concause. Stalin avrebbe ossessivamente osteggiato l'affermazione di posizioni autonome rispetto all'URSS nelle altre democrazie popolari, i cui vertici -specie in Cecoslovacchia- contavano molti comunisti di origine ebraica. Le aliot avrebbero inoltre privato l'Europa orientale di manodopera qualificata. Il tutto in un clima di forte antisemitismo residuale, "tuttora allignante sia in Russia che in Ucraina e Polonia".
Canfora specifica anche che la traduzione dell'originale russo arriva fino alla morte di Stalin, "per scelta editoriale concordata con l'autore".
L'introduzione di Enrico Mentana sottolinea come il ruolo decisivo che l'URSS di Stalin avrebbe avuto nella nascita dello stato sionista sarebbe stato pressoché ignorato da una storiografia e da una divulgazione storica propense a sminuire qualsiasi istanza possa minimamente gettare una luce positiva sull'Unione Sovietica. Sarebbe convinzione comune che lo stato sionista sia nato sulla scia dell'emozione per lo sterminio degli ebrei d'Europa, solo che "...Così non è stato. Né per l’Occidente, che stava riposizionando ex nemici ed ex alleati, né per il Cremlino, dove l’unico che decideva non era certo tipo da impressionarsi per gli stermini altrui". Mentana nota come dalla Russia sarebbe arrivata in Palestina una prima aliah dopo i pogrom del 1881 e come dall'URSS al collasso sarebbe arrivata anche l'ultima; un milione di persone (per un terzo non ebree) che avrebbe sfruttato la "legge del ritorno" per trasferirsi nello stato sionista, cambiandone strutturalmente il profilo demografico.
Leonid Mlečin inizia la prima parte del saggio con la descrizione dei rapporti tra Mosca e il movimento sionista, introducendo la figura di Ivan Majskij nato Ljachoveckij, ambasciatore plenipotenziario a Londra dal 1932 al 1942 nonostante il passato ingombrante di antibolscevico. Il presidente dell'Organizzazione Mondiale Sionista Chaim Weizmann si sarebbe rivolto a Majskij per una trattativa d'affari mai andata in porto; l'ambasciatore sarebbe comunque rimasto colpito dalle competenze e dalla capacità di persuasione di Weizmann, che a detta di Mlečin avrebbero dato un grosso contributo alla nascita dello stato sionista. Mlečin ricorda che fino alla fine della seconda guerra mondiale le notizie sulla distruzione degli ebrei d'Europa furono generalmente considerate di poco credito in Occidente -dove anzi le condizioni di ordine e di disciplina della Germania nazionalsocialista sarebbero state oggetto di ammirazione- e che anche successivamente non sarebbe stato il sentire dell'opinione pubblica occidentale a rivelarsi decisiva per la costituzione dello stato sionista. La sorte della Palestina e degli ebrei palestinesi sarebbe stata nelle mani di politici statunitensi e britannici, in genere contrari a uno stato sionista che invece "non sarebbe mai sorto senza Stalin". Mlečin riporta il testo della comunicazione con cui Arthur James balfour avrebbe messo a parte Walter Rotschild della disponibilità britannica all'istituzione di un "focolare nazionale" ebraico in Palestina. L'espressione si sarebbe prestata a interpretazioni molto diverse; Neville Chamberlain, testi biblici alla mano, l'avrebbe fin da subito interpretata nel modo più favorevole ai sionisti. Un alleato affidabile in Medio Oriente, soprattutto, sarebbe stato utile all'Impero Britannico per il controllo delle vie marittime verso l'India. Dopo il trattato di San Remo e la pace con la Turchia, il 25 aprile 1920 il Consiglio Supremo Alleato avrebbe conferito alla Gran Bretagna il mandato sulla Palestina; dal 2 giugno 1922 l'impegno a garantire l'insediamento ebraico sarebbe stato sottoscritto davanti alla Società delle Nazioni. L'A. nota che un mandato non è una colonia e che il potere britannico in Palestina sarebbe stato limitato anche nel tempo. Gli impegni sottoscritti avrebbero richiamato il legame storico del popolo ebraico con la Palestina, demandato all'amministrazione inglese la creazione di condizioni politiche, amministrative ed economiche per la costituzione di un focolare nazionale ebraico e imposto a Londra di garantire l'immigrazione in Palestina agli ebrei che intendessero trasferirvisi. La politica britannica in Palestina avrebbe tuttavia cambiato presto indirizzo, e i britannici avrebbero iniziato a privilegiare la assai più numerosa popolazione araba.
Mlečin scrive che la Russia avrebbe dovuto buona parte della propria popolazione ebraica alle annessioni di Caterina II, e che dal 1845 sarebbero stati emanati decreti volti alla sua assimilazione più o meno forzata, ferma restando una serie di divieti che avrebbe di fatto relegato nella miseria la maggioranza degli ebrei russi. Cui sarebbe toccato scegliere tra l'emigrazione, il sionismo e i movimenti rivoluzionari. Nonostante i pogrom e la persecuzione religiosa, dopo l'Ottobre 1917 molti ebrei sarebbero entrati a far parte dell'apparato del Partito data l’esiguità numerica del gruppo dirigente bolscevico: gli ebrei bolscevichi sarebbero stati fedeli alla rivoluzione e leali verso il nuovo potere che avrebbe apprezzato in modo particolare "la loro ferrea difesa –mentre il Paese andava in pezzi– di uno Stato forte e centralizzato". Con sostanziose citazioni da Dzeržinskij, Mlečin rileva come l'azione del sionismo fosse tollerata nei primi anni '20 e come la Russia sovietica si fosse inizialmente dimostrata benevola verso le minoranze nazionali, compresi gli ebrei lealisti. Nel Birobidžan istituito nel 1928 si sarebbero insediati ebrei di varia provenienza, attirati dalla possibilità (non certo ovunque scontata) di poter lavorare la terra e di essere considerati alla pari dai propri vicini. Il tentativo di fare del Birobidžan un insediamento ebraico sarebbe fallito a causa dell'impossibile sviluppo del territorio e della mancanza di radici. I tentativi di diffondere la rivoluzione in Palestina, ricostruiti con cura dall'A., si sarebbero rivelati infruttuosi e neppure la Haganah sarebbe caduta sotto il controllo del Comintern, nonostante l'orientamento politico di molti ebrei palestinesi e nonostante i frequenti e stretti rapporti con Mosca dello Histadrut. Nel 1920 il Comintern avrebbe preteso un rifiuto netto del sionismo per riconoscere nel Poalej Zion degli operai ebrei palestinesi una organizazione del proletariato ebraico; i comunisti sarebbero finiti per uscirne e per tentare, infruttuosamente, una collaborazione con gli arabi. Mlečin scrive che negli anni Trenta la convivenza di arabi ed ebrei nello stesso partito sarebbe diventata impossibile: il crescente afflusso di ebrei in Palestina, visti come una minoranza etnica cui l'imperialismo aveva concesso enormi privilegi, sarebbe stato considerato dagli arabi il risultato di un complotto volto "alla costituzione di un fronte reazionario antisovietico in una regione strategicamente importante".
Leonid Mlečin scrive che negli ambienti della diplomazia e dei servizi segreti britannici il sionismo avrebbe avuto molti e influenti avversari, ed espone le vicende che avrebbero portato uno di essi a contribuire alla costituzione del regno dell'Arabia Saudita. John Philby avrebbe fattivamente sostenuto Abd al Aziz Ibn Saud a consolidare il regno wahabita a scapito di personalità dall'orientamento meno intransigente. La forte influenza di Philby in Medio Oriente avrebbe portato a esiti paradossali perché i servizi segreti britannici avrebbero avuto un ruolo importante nei moti antiebraici della popolazione araba in Transgiordania e sarebbero per questo entrati in contrasto con il loro stesso Ministero degli Affari Esteri. Philby avrebbe anche convinto lo statunitense Allen Dulles -futuro direttore della CIA- che dare seguito alla dichiarazione Balfour avrebbe ostacolato le compagnie petrolifere statunitensi nei loro affari con i paesi arabi. Un campo da cui lo stesso Philby avrebbe tratto considerevolissimi utili, fino a quando il figlio Kim, reclutato in Spagna dai servizi sovietici mentre seguiva da reporter i franchisti, non avrebbe contribuito al fallimento del piano che avrebbe portato l'Arabia a fornire petrolio alla Germania.
Mlečin presenta quindi l'Organizzazione Sionista Mondiale, la figura di Theodor Herzl e il Congresso di Basilea del 1897. Nel 1918 dopo la dichiarazione Balfour i primi contatti tra Chaim Weizmann del Sochnut -l'Agenzia Ebraica per la Palestina che sarebbe stata il braccio esecutivo dell'Organizzazione- e il futuro re dell'Iraq Faisal sarebbero stati cordiali fino a quando la traduzione operativa degli accordi Sykes-Picot non avrebbe estromesso Faisal dal Libano e dalla Siria. Il crollo degli imperi in Europa avrebbe agevolato la diffusione del sionismo in una popolazione ebraica che molti nuovi paesi indipendenti avrebbero considerato indesiderabile, e l'assetto delle relazioni con gli arabi sarebbe diventato oggetto di discussione tra gli ebrei palestinesi che l'emigrazione dall'Europa avrebbe molto accresciuto di numero. I primi sionisti avrebbero avuto una visione romantica degli arabi palestinesi, che avrebbero considerato i discendenti di antichi ebrei costretti a convertirsi all'Islam. Secondo Mlečin Ben Gurion avrebbe parafrasato Dostoevskij sostenendo che "Il sionismo non deve nuocere neppure a un solo bambino arabo, anche a costo di sacrificare tutte le speranze dei sionisti". Già negli anni Venti tra la popolazione araba -con cui i nuovi arrivati dall'Europa poco si sarebbero curati di stabilire contatti e rapporti- si sarebbero mossi invece i professionisti della lotta al sionismo; la cacciata degli ebrei dalla Palestina sarebbe diventata l'obiettivo centrale del nazionalismo arabo e i primi scontri armati -con la morte di cento ebrei a Jaffa e di sessanta a Hebron nel 1929- non avrebbero tardato a verificarsi. L'A. ricorda come i possidenti arabi avessero preso a fare incetta di piccoli appezzamenti, rivendendo poi ai coloni ebrei le grandi proprietà risultanti. Un altro motivo di profondo risentimento da parte degli arabi sarebbero state le pratiche perseguite da gruppi come quello dei giovani operai del Poalej Zion -spesso reduci dai pogrom e convinti sostenitori dell'autosufficienza- in cui gli arabi altro non avrebbero visto che non un espediente per privarli del poco lavoro che la Palestina dell'epoca fosse in grado di offrire. Nell'estate del 1937 in Gran Bretagna avrebbe preso campo l'idea che il conflitto tra arabi ed ebrei fosse insanabile e che la Palestina avrebbe dovuto essere spartita. Secondo l'A., la decisione del 1939 con cui l'esecutivo britannico limitò drasticamente l'emigrazione ebraica in Palestina avrebbe letteralmente segnato la condanna a morte degli ebrei d'Europa. Neppure dopo la guerra i limiti sarebbero stati aboliti; ad aggravare la situazione dei superstiti dello sterminio la pressoché generale indifferenza delle autorità europee verso la loro sorte. A metà del 1945 i paesi vincitori avrebbero preso in considerazione l'idea di smembrare la Germania; Mlečin scrive che due relativamente piccole organizzazioni ebraiche avrebbero fatto arrivare all'ambasciata sovietica a Roma la proposta -che non ebbe seguito- di destinare un territorio in Germania all'insediamento degli ebrei d'Europa. Negli USA la presidenza Truman si sarebbe mostrata piuttosto fredda verso il movimento sionista; l'idea che l'emigrazione ebraica in Palestina fosse promossa dall'URSS per costruire uno stato comunista in riva al Mediterraneo, mutuata dai britannici, avrebbe trovato molti proseliti a Washington al punto che Weizmann avrebbe ricordato i continui scontri "con l'opposizione occulta ma ostinata di forze che agivano nell'ombra". Mlečin riprende le vicende di Ivan Majskij per esporre le vicende che avrebbero portato al graduale rafforzamento dei rapporti diplomatici dell'Unione Sovietica con l'Organizzazione Sionista Mondiale. Nella mobilitazione totale imposta dall'invasione tedesca, alla fine del 1941 Stalin avrebbe tra l'altro creato un comitato antifascista ebraico i cui appelli agli ebrei di tutto il mondo avrebbero fruttato aiuti per oltre quaranta milioni di dollari. Esponenti del comitato si sarebbero anche recati in USA nel 1943 per sostenere la causa dell'apertura di un secondo fronte in Europa; se Ben Gurion già dal 1941 sarebbe andato rassicurando la diplomazia sovietica sull'orientamento socialista dell'Agenzia Ebraica per la Palestina e adoperandosi per l'invio di armi occidentali a Mosca, Weizmann avrebbe confermato al comitato la non ostilità di essa verso Mosca. Nei propri contatti con il personale sovietico ad Ankara l'Agenzia Ebraica per la Palestina si sarebbe scontrata con la poca o nulla autonomia lasciata ai diplomatici, al punto che sarebbe stato difficile anche stabilire contatti commerciali di minima rilevanza. Seppure da Ankara i funzionari sovietici avrebbero visitato la Palestina e apprezzato le realizzazioni degli ebrei palestinesi, gli appelli che l'Agenzia Ebraica fece giungere per diversi canali a Mosca prima dell'attacco tedesco perché trasferisse in Palestina gli ebrei polacchi sarebbero rimasti inascoltati. Solo nel 1943 l'atteggiamento sovietico sarebbe cambiato a fronte degli atteggiamenti più o meno implicitamente filotedeschi assunti da molti leader arabi; questo avrebbe indotto l'Agenzia Ebraica a intensificare i tentativi di contatto. Lo steso Majskij avrebbe visitato Gerusalemme rientrando in URSS via terra alla fine della propria missione di ambasciatore a Londra, incontrandovi Ben Gurion.
La guerra avrebbe presto messo in evidenza la potenza degli USA usciti dall'isolazionismo; Mlečin tratta quindi dei rapporti dell'Agenzia Ebraica con la diplomazia sovietica a Washington e segnatamente con l'ambasciatore Kostantin Umanskij prima e con i suoi successori Litvinov e Gromyko poi. Pur nell'evasivo gergo della diplomazia, sarebbe stato soprattutto Gromyko a rassicurare l'Agenzia dell'interesse del governo sovietico. Dopo il 1943 la diplomazia sovietica in Medio Oriente avrebbe confermato il nuovo orientamento governativo togliendo sostegno alle formazioni arabe e suggerendo a Mosca di limitare i compiti della diplomazia sovietica nella regione agli aspetti puramente tecnici in modo da non provocare reazioni negative con prese di posizione favorevoli ai progetti sionisti. Nel 1945 la Commissione Litvinov sull'assetto del mondo postbellico avrebbe rilevato l'inconciliabilità delle posizioni di arabi ed ebrei, giungendo a una conclusione pessimista: "La questione palestinese non può essere risolta se non a scapito dei diritti e delle aspirazioni o degli ebrei o degli arabi, o forse di entrambi". Dato per scontato il rifiuto degli alleati occidentali di assegnare all'URSS la tutela della Palestina, la Commissione avrebbe suggerito una forma di tutela congiunta che permettesse comunque alla diplomazia sovietica un maggior coinvolgimento nelle questioni mediorientali. Convinti (a torto) di una prossima incrinatura nei rapporti tra USA e Regno Unito, i diplomatici sovietici pensavano che il Medio Oriente sarebbe diventato terreno di scontro per i rispettivi interessi e che gli USA avrebbero potuto servirsi della presenza ebraica in Palestina per estrometterne i britannici. La causa di una visione tanto divergente dalla realtà starebbe secondo l'A. nel fatto che le opinioni di Stalin e di Molotov "venivano fatte rimbalzare da ambasciate, servizi segreti e apparato del Comitato centrale sotto forma di appunti e di rapporti, ed essi perciò finivano per credere che le loro idee fossero confermate dai fatti, mentre, in realtà, leinformazioni che ricevevano venivano espressamente manipolate alla fonte, per renderle conformi al pensiero di chi stava ai vertici del Paese". Un Churchill sconfitto alle elezioni avrebbe passato la mano a un esecutivo il cui Ministro degli Esteri Ernest Bevin non avrebbe ritenuto necessario creare uno stato per gli ebrei palestinesi. Paradossalmente sarebbe stato proprio il suo atteggiamento a contribuire alla nascita dello stato sionista: il caparbio rifiuto britannico di consentire agli scampati allo sterminio di entrare in Palestina avrebbe indotto altri paesi a occuparsi del problema. Nel maggio del 1946 il Ministero degli Esteri sovietico avrebbe preso in considerazione l'idea di chiedere la revoca del mandato britannico sulla Palestina in favore di una sua sostituzione con la tutela dell'ONU. L'atteggiamento degli ebrei palestinesi, fortemente antibritannici e protagonisti di una guerra di fatto contro il Regno Unito, avrebbe convinto Stalin e Molotov ad appoggiarne la causa. Mlečin scrive che l'Unione Sovietica avrebbbe incoraggiato in Medio Oriente ogni forma di resistenza ai britannici; quando la situazione in Palestina si sarebbe fatta ingestibile per il Regno Unito, l'URSS avrebbe proposto di sottoporre il problema a un consesso internazionale in cui avrebbe potuto operare a proprio vantaggio. L'Agenzia Ebraica avrebbe rapidamente presto atto dell'atteggiamento sovietico, di cui era stato un segnale indicativo la disponibilità a lasciar partire per la Palestina gli ebrei polacchi divenuti cittadini sovietici dopo la spartizione della Polonia del 1939.
Nel corso del 1946 la diplomazia sovietica avrebbe rilanciato la proposta di mettere la Palestina sotto la tutela dell'ONU; il Regno Unito avrebbe accolto la proposta all'inizio del 1947, secondo l'A. in un momento in cui una crisi energetica con pochi precedenti avrebbe fatto propendere Londra per il mantenimento di buoni rapporti con i paesi arabi. Dal 28 aprile 1947 a interessarsi al destino della Palestina all'ONU sarebbero rimasti gli USA e l'URSS. Secondo Mlečin vari motivi di ordine interno avrebbero fatto sì che lo statunitense Truman si rimettesse alla volontà dell'ONU, di fatto lasciando a Stalin l'ultima parola. Gromyko, dal 1946 rappresentante permanente sovietico all'ONU, avrebbe avuto il compito di tradurre in pratica l'appoggio sovietico alla causa sionista nonostante Mosca osteggiasse attivamente il sionismo sul piano interno. il 14 maggio 1947 sarebbe intervenuto all'assemblea generale convocata per nominare una commissione per la Palestina dicendosi sostenitore di un "unico Stato binazionale, arabo-ebraico, indipendente e democratico", sempre che la convivenza tra arabi ed ebrei non si fosse rivelata impossibile. L'ONU avrebbe formato una cmmissione di undici paesi che si sarebbe espressa a maggioranza, mesi dopo, constatando la necessità di costituire due Stati indipendenti e di mettere Gerusalemme sotto la tutela dell'ONU. La minoranza (Jugoslavia, India e Iran) avrebbe invece proposto di creare una federazione di due Stati con Gerusalemme capitale. La diplomazia sovietica si sarebbe allineata al volere della maggioranza per diretto ordine di Molotov; l'A. nota come Gromyko avrebbe ricevuto l'ordine di concordare con la posizione dei sionisti e di votare a loro favore; tramite un flusso continuo di telegrammi in cifra lo stesso Stalin avrebbe puntualmente seguito lo sviluppo della situazione e del progetto per il riassetto della Palestina che avrebbe contemplato la revoca del mandato britannico, il ritiro delle truppe, la proclamazione dei due Stati e la definizione dei loro confini.
Secondo Leonid Mlečin l'esplicito sostegno sovietico ai sionisti avrebbe portato gli USA a irrigidire la propria contrarietà; il Segretario di Stato George Marshall e il Ministro della Difesa James Forrestal sarebbero stati convinti che dietro l'iniziativa sovietica non ci fosse altro che il tentativo di Stalin di assicurarsi una testa di ponte in Medio Oriente, mettendo in pericolo l'accesso al petrolio arabo. Anni dopo, Golda Meir avrebbe concluso che al di là della retorica e della diplomazia lo scopo dei sovietici sarebbe stato estromettere il Regno Unito dal Medio Oriente. Mlečin riferisce della diffusione dell'antisemitismo nel mondo politico e culturale sovietico: nello stesso periodo in cui Stalin ordinava di appoggiare la causa sionista all'ONU, gli ebrei sovietici sarebbero stati espulsi dall'apparato del Partito e dello Stato senza che Stalin vi ravvisasse contraddizioni. Secondo l'A. e le numerose citazioni riportate, il nuovo ruolo di superpotenza in cui l'Unione Sovietica si sarebbe ritrovata con la vittoria in guerra avrebbe incoraggiato una politica di espansione territoriale in cui la Palestina sarebbe stata una testa di ponte fra le altre. Pavel Sudoplatov, uno dei memorialisti citati da Mlečin, sostiene che nel 1946 sarebbe esistita in Palestina una rete di agenti incaricata di preparare azioni armate antibritanniche. L'A. tuttavia considera Sudoplatov una fonte non del tutto attendibile, stante la mancanza di ulteriori riscontri. Gli agenti sovietici in Palestina avrebbero facilmente raccolto informazioni in abbondanza da parte di ebrei di sinistra, cosa che li avrebbe illusi di poter controllare lo stato sionista e per suo tramite la comunità ebraica negli USA. Il sistema politico locale in realtà avrebbe cooptato personalità piuttosto moderate e non avrebbe affidato responsabilità politiche a militari radicali del tipo familiare ai diplomatici sovietici.
La presenza sovietica non sarebbe sfuggita alla CIA, che avrebbe messo in guardia il governo statunitense sui rischi di una penetrazione sovietica in Medio Oriente proprio nell'imminenza di una discussione all'Assemblea generale dell'ONU prevista per il 26 novembre 1947. Nel corso di essa Gromyko avrebbe approvato l'istituzione di due diversi Stati in Palestina -una soluzione contestata dai soli paesi arabi- e in sostanza avrebbe appoggiato la lotta armata delle formazioni ebraiche clandestine contro le autorità britanniche: "L’ordinamento vigente in Palestina è inviso sia agli ebrei che agli arabi, e tutti sapete come gli ebrei, in particolare, reagiscano a tale ordinamento". La decisa presa di posizione di Gromyko avrebbe trovato ampia diffusione nella stampa ebraica; Truman sarebbe stato rassicurato da Chaim Weizmann sull'orientamento politico del futuro stato sionista e si sarebbe finalmente risolto ad approvare la proposta di spartizione della Palestina. I buoni uffici di Rockefeller -che secondo l'A. aveva segretamente fatto affari con la Germania nazista e che temendo di essere smascherato avrebbe scambiato il suo sostegno ai dirigenti sionisti con la loro promessa di tacere- avrebbero assicurato diversi voti dai paesi dell'America Latina. Grazie alla sfrontata mossa politica con cui Stalin aveva imposto Ucraina e Bielorussia come paesi fondatori dell'ONU e con il voto sicuro di Polonia e Cecoslovacchia, l'URSS avrebbe contribuito con cinque voti all'approvazione del provvedimento, che aveva bisogno di due terzi dei voti espressi. L'A. nota che, in considerazione dei risultati finali, se quei cinque voti fossero stati contrari lo stato sionista non sarebbe nato; l'Agenzia Ebraica avrebbe ringraziato Gromyko ufficialmente, e Stalin non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le rimostranze di paesi arabi all'epoca retti da sovrani vicinissimi al Regno Unito. "In Medio Oriente c'era solo una forza avversa all'Inghilterra su cui Stalin poteva contare", scrive Mlečin; "e chi, all’epoca, detestava i britannici più degli ebrei palestinesi"? Nei mesi precedenti l'entrata in vigore della risoluzione, i sovietici avrebbero cercato di assicurare l'esistenza dello stato sionista impedendo ai paesi satelliti -e segnatamente alla Cecoslovacchia- di vendere armi ai paesi arabi. Il timore che al ritiro britannico si associasse la cessione della Palestina alla Giordania avrebbe rinforzato Stalin nella convinzione che il miglior mezzo per impedire un esito del genere fosse proprio l'instaurazione dello stato sionista. Gli Stati Uniti invece nonostante le rassicurazioni dell'Agenzia Ebraica non sarebbero stati disposti ad armare gli ebrei palestinesi, considerati troppo ben disposti verso i comunisti con particolare riferimento a Ben Gurion; Mlečin considera l'accesso al petrolio e i corposi interessi che alcune personalità dell'esecutivo statunitense avrebbero avuto nei paesi arabi come motivo assai più fondati per il mancato sostegno al sionismo che non le inclinazioni politiche di eventuali beneficiari degli aiuti. L'A. ricorda anche che il Sottosegretario alla Difesa James Vincent Forrestal, già fautore di un antisemitismo spiccio, si sarebbe suicidato nel 1949: "fino al momento in cui non si gettò dalla finestra, la politica militare degli Stati Uniti continuò ad essere elaborata da un maniaco che andava lentamente perdendo la ragione". Nell'aprile del 1948 i sovietici avrebbero quindi respinto all'ONU le proposte statunitensi per l'istituzione di un protettorato internazionale in Palestina, accusandone i fautori di voler agire alle spalle degli ebrei senza altri motivi che quelli del tornaconto e del calcolo politico.
Nella seconda parte del libro Mlečin cita documenti provenienti dal Ministero degli Esteri dell'URSS da cui è evidente l'atteggiamento filosionista dell'URSS del 1948. I documenti diplomatici sovietici avrebbero descritto le formazioni militari arabe impegnate nella lotta contro i sionisti come infarcite di nazionalsocialisti in fuga dall'Europa. Di contro, gli Stati Uniti e il Regno Unito avrebbero collaborato nell'ostacolare l'autodifesa del nascente stato sionista ostacolando l'acquisto di armi da parte degli ebrei palestinesi, finché questi non si rivolsero ai sovietici. Stalin avrebbe accolto le loro richieste ricorrendo alla Cecoslovacchia, che in quegli anni avrebbe venduto armi a quanti -per ragioni politiche- non avrebbero potuto essere riforniti direttamente di armi sovietiche. Gli ebrei palestinesi avrebbero iniziato a ricevere armi (per lo più residuati tedeschi e britannici) tramite voli notturni inizialmente organizzati con piloti statunitensi, sostituiti dopo le proteste di Washington da ebrei palestinesi addestrati in loco da istruttori sovietici e cecoslovacchi. In tutta la Cecoslovacchia avrebbero ricevuto addestramento anche carristi, paracadutisti, personale sanitario e per le comunicazioni e la fanteria della Brigata Gottwald. Secondo l'A., che si appoggia a citazioni da Golda Meir e Ben Gurion, alla fine di marzo del 1948 solo le armi giunte in Palestina in questo modo avrebbero impedito il collasso dell'iniziativa sionista. Anche dopo l'indipendenza dello stato sionista nel maggio 1948 gli USA avrebbero negato armi al ministro degli esteri sionista Shertok, che si sarebbe immediatamente rivolto a Mosca. Alla vigilia dell'indipendenza dello stato sionista Truman avrebbe cercato di mettere ai margini del suo staff le personalità ostili o scettiche, deciso a non permettere che alle elezioni i repubblicani potessero ritrarlo come un "mascalzone intenzionato a impedire agli ebrei palestinesi di avere un loro Stato".
Leonid Mlečin ripercorre con aperta deplorazione la lunga serie di dinieghi con cui a suo dire i responsabili della politica araba avrebbero per tutto il XX secolo negato ogni compromesso con la presenza ebraica in Palestina -di fatto andando sistematicamente contro ogni interesse della popolazione araba palestinese- prima di descrivere i rovesci subiti dagli eserciti arabi che attaccarono lo stato sionista immediatamente dopo la proclamazione. L'A. riporta un lungo stralcio dal messaggio con cui il giorno successivo alla dichiarazione di indipendenza Shertok avrebbe ringraziato Molotov per il sostegno fornito alla causa sionista e sottolinea come il 18 maggio 1948 Molotov avrebbe comunicato a Shertok il riconoscimento dello stato sionista da parte dell'Unione Sovietica. Il personale statunitense a Tel Aviv, scrive Mlečin, sarebbe stato circondato ancora a lungo dalla diffidenza dei sionisti, nonostante gli USA avessero riconosciuto lo stato sionista letteralmente dieci minuti dopo la dichiarazione di indipendenza.
Nel 1948 l'appoggio sovietico allo stato sionista sarebbe apparso senza incrinature e il comitato antifascista ebraico avrebbe anche apertamente richiesto l'invio di combattenti. I primi dubbi dell'apparato sarebbero presto emersi: la natura stessa del sionismo avrebbe fatto propendere il nuovo stato verso gli USA, e lo stato sionista avrebbe dovuto rappresentare la destinazione ideale per tutti gli ebrei meno che per quelli sovietici che già potevano contare su una patria socialista. Mlečin ricorda come soltanto molto tempo dopo gli appartenenti al comitato antifascista ebraico sarebbero finiti vittime della repressione ordinata da Stalin; nel 1948 l'URSS sarebbe stato ancora il primo paese a riconoscere de iure lo stato sionista inviandovi un ambasciatore, e il primo e spesso unico referente di Tel Aviv. Nei mesi successivi la resistenza vittoriosa dello stato sionista avrebbe compiaciuto Mosca, convinta che il Regno Unito stesse perdendo posizioni in tutto il Medio Oriente.
Nel settembre 1948 Golda Meir sarebbe stata il primo ambasciatore sionista a Mosca; in un colloquio con Molotov, avrebbe asserito che lo stato sionista era convinto dell'esigenza di avere confini meglio difendibili e in sostanza di dover estendere il proprio territorio al di là di quello fissato dalla risoluzione dell'ONU del 29 novembre 1947. Molotov non avrebbe trovato nulla da obiettare. Pochi mesi dopo la Meir avrebbe sollevato col viceministro degli esteri Zorin la questione dell'emigrazione degli ebrei sovietici verso lo stato sionista: un tema che si sarebbe rivelato cruciale nei rapporti tra i due paesi. Mlečin tratta anche dell'uccisione di Folke Bernadotte. Il suo progetto per la Palestina avrebbe contemplato l'istituzione di un unico Stato contrariamente alla volontà degli ebrei palestinesi e dello stesso Stalin; gli statunitensi sospettarono che a organizzarne l'eliminazione fossero stati i servizi sovietici e cecoslovacchi. La diplomazia sovietica avrebbe anche in questo caso rivendicato una rigorosa applicazione della risoluzione approvata nel 1947. Abituato a ricorrere a sistemi molto spicci per agevolare gli scambi di popolazioni, Stalin non avrebbe inoltre mai dimostrato particolare interesse per la questione dei profughi palestinesi. Contrariamente a quanto temuto dagli statunitensi non avrebbe invece permesso agli ebrei sovietici di emigrare nello stato sionista perché non avrebbe mai considerato la nascita dello stato sonista come una soluzione alla questione ebraica, destinata a suo modo di vedere a venire meno con la sconfitta del capitalismo. In altre parole Stalin avrebbe aiutato (sempre indirettamente) lo stato sionista in quanto lo considerava un avamposto nella lotta contro l'imperialismo occidentale. Il’ja Erenburg avrebbe informalmente spiegato ai diplomatici sionisti che indurre gli ebrei sovietici a emigrare avrebbe provocato un'aspra reazione da parte delle autorità, per quanto benevole esse si fossero dimostrate verso lo stato sionista.
Alla fine del 1948 Stalin avrebbe deciso la liquidazione del comitato antifascista ebraico accusandone in blocco gli appartenenti di attività antisovietica al soldo delle potenze occidentali. Mlečin scrive che nel 1952 neppure un giudice sovietico avrebbe considerato fondate le accuse mosse al comitato, che sarebbe stato fucilato quasi in blocco solo per ordine del potere esecutivo.
L'insistenza con cui i sionisti avrebbero chiesto il trasferimento delle famiglie degli emigrati in Palestina, all'inizio del 1949, sarebbe stata accompagnata da un crescente numero di notizie denigratorie verso l'Unione Sovietica pubblicate sulla stampa dello stato sionista. Nel febbraio dello stesso anno Golda Meir sarebbe stata ammonita per le "attività illegali" della sua missione diplomatica, invitata in blocco a non facilitare neppure i contatti epistolari fra ebrei sovietici e cittadini dello stato sionista. Negli stessi giorni le prime elezioni nello stato sionista avrebbero assegnato ai comunisti solo quattro seggi, senza che questo fugasse timori statunitensi alimentati dalla tangibile popolarità di cui l'iconografia sovietica e l'Armata Rossa avrebbero goduto presso i sionisti socialisti del partito Mapam. Solo dopo la morte di Stalin il Mapam avrebbe iniziato a prendere le distanze dall'Unione Sovietica, e i vertici del partito avrebbero smesso di considerarla una seconda patria solo nel 1967, quando dovettero accorgersi che l'Egitto avrebbe cercato di distruggere lo stato sionista con armi sovietiche.
Mlečin sostiene che nel 1949 Stalin si stesse preparando a un conflitto vero e proprio coi paesi occidentali e che, convinto dell'esistenza di legami omertosi tra uomini di una stessa origine, avesse pensato di indicare al popolo gli ebrei sovietici come quinta colonna degli Stati Uniti; oltre agli appartenenti al comitato antifascista ebraico ne avrebbero fatto le spese, tra gli altri, la moglie di Molotov (oltre a Molotov stesso, demansionato rapidamente e irreversibilmente) e le vittime del "complotto dei medici". Andrej Vyšinskij viene presentato dall'A. come il primo giurista ad aver dimostrato come in tribunale le prove possano essere sostituite dagli insulti. Come Ministro degli Esteri avrebbe accentuato il difetto strutturale più grave della diplomazia sovietica -ossia il suo ruolo di esecutrice acritica degli ordini dell'esecutivo- ma sulla scena internazionale e in via ufficiale avrebbe continuato, con tutto l'apparato diplomatico, a sostenere lo stato sionista e non mostrare alcun interesse per la questione dei profughi. Anzi, la diplomazia sovietica avrebbe accusato i leader arabi di volere il ritorno dei profughi arabi nello stato sionista per servirsene come quinta colonna. L'A. nota come al contrario, sul piano interno, la lotta ai "cosmopoliti" (ovvero agli ebrei) avrebbe tratto vantaggio negli stessi anni dall'operato di "una compatta legione di delatori professionali, di regola gente senza alcun talento, che sperava di far carriera distruggendo ed eliminando i colleghi". I diplomatici sionisti a Mosca si sarebbero trovati senza via di uscita: denunciare il comportamento di Mosca avrebbe fatto vacillare il sostegno sovietico senza migliorare la situazione degli ebrei locali. La libertà con cui la stampa dello stato sionista avrebbe invece affrontato l'argomento avrebbe inoltre causato loro ulteriori problemi.
Il saggio di Mlečin descrive anche il rapido riallinearsi della diplomazia sionista a favore degli USA e dell'Occidente in genere. Più volte nel 1949 all'ONU lo stato sionista avrebbe votato contro gli interessi sovietici: una ostilità rapidamente e prontamente ricambiata intanto che sul piano interno continuavano le epurazioni. Nel 1952 gli ebrei sarebbero completamente scomparsi dagli alti gradi nazionali, regionali e provinciali della gerarchia del Partito in tutte le repubbliche sovietiche e dalla direzione degli organi di stampa, delle organizzazioni scientifiche e artistiche, delle università. Unica eccezione, i fisci del programma nucleare.
L'A. descrive il progressivo peggioramento della condotta sovietica all'ONU in risposta al riallineamento sionista, il parallelo peggioramento delle relazioni diplomatiche con una Tel Aviv per niente disposta a demordere sulla questione dell'emigrazione degli ebrei sovietici (il libro riporta un lungo stralcio da un vivace colloquio tra Vyšinskij e il collega sionista Sharett), e il primo comparire nella corrispondenza tra ambasciate sovietiche di proposte di sostegno ai paesi arabi contro l'imperialismo statunitense. Il 1951 sarebbe diventato nell'opinione dei diplomatici sovietici l'anno in cui lo stato sionista avrebbe di fatto perso l'indipendenza economica e politica, legandosi mani e piedi agli Stati Uniti.
Mlečin descrive il 1952 come un anno in cui Stalin e il Ministero per la Sicurezza si sarebbero comportati come se la guerra con i paesi occidentali fosse imminente, riportando una lunga aneddotica sulle misure repressive adottate. La propaganda e la stampa avebbero ventilato un'altra guerra chiedendo nuovi sacrifici alla popolazione sovietica e facendola sospettare ancora di più della presenza di nemici interni da smascherare e da mettere in condizioni di non nuocere.
L'ultimo capitolo di questa edizione del volume esamina la vicenda del "complotto dei medici". Il controspionaggio sovietico nel gennaio 1953 avrebbe "scoperto un gruppo di medici terroristi intenzionato, manipolando le terapie mediche, a stroncare la vita dei dirigenti dell’URSS" eloquentemente composto per due terzi da ebrei. Nello stato sionista la denuncia del complotto sarebbe stata accolta con sgomento e preoccupazione; Ben Gurion avrebbe inviato al governo una lettera contenente pesantissime considerazioni contro il "regime bolscevico" nella convinzione che Stalin cercasse solo capri espiatori per i propri fini politici, più che perseguire una politica coerentemente antisemita. L'ambasciatore Eliashiv avrebbe inquadrato il "complotto dei medici" in una guerra sotterranea interna ai servizi di sicurezza e in una campagna avente lo scopo di instaurare un clima in cui "ogni azione avversa alle autorità risulti impossibile", suggerendo a Tel Aviv di non prendere contromisure a meno che lo stato sionista non fosse stato chiamato direttamente in causa. La situazione, scrive l'A., sarebbe precipitata il 9 febbraio 1953 quando un ordigno danneggiò -facendo anche dei feriti- l'ambasciata sovietica nello stato sionista. Mosca avrebbe reagito richiamando il proprio ambasciatore e rompendo le relazioni diplomatiche. Secondo Mlečin Stalin avrebbe reagito in questo modo perché aveva ottenuto quello che voleva: abbandonando la Palestina il Regno Unito aveva indebolito la propria posizione in Medio Oriente. La potenza statunitense doveva ancora subentrare, e l'Unione Sovietica avrebbe potuto approfittare del vuoto di potere venutosi a creare. Mlečin sostiene che Stalin avrebbe permesso l'esodo degli ebrei dall'Europa orientale e li avrebbe riforniti di armi sperando di farne qualcosa di analogo alle Brigate Internazionali che gli avevano permesso, sia pure per poco, di estendere la sua influenza fino in Spagna. I due contesti tuttavia avrebbero presentato differenze sostanziali, e lo Stato costituitosi in Palestina si sarebbe rivelato molto diverso da quello che Stalin aveva previsto. Davanti alla delusione, Stalin avrebbe reagito cominciando a identificare lo stato sionista con gli ebrei, e a considerare tutti gli ebrei del mondo come nemici dell'Unione Sovietica. Solo la morte di Stalin avrebbe evitato che dopo la rottura delle relazioni diplomatiche i rapporti tra Unione Sovietica e stato sionista peggiorassero ulteriormente.
Moni Ovadia chiude con una postfazione in cui sottolinea l'utilità dell'opera, in un periodo in cui all'ombra della "fine delle ideologie più e più volte annunciata dagli apologeti del pragmatismo senza principi" avrebbe prosperato "l'ideologia estrema del cosiddetto liberismo fondato sulla fede nell’infallibilità del 'libero' mercato". La tesi di fondo per cui senza l'Unione Sovietica lo stato sionista non sarebbe esistito o avrebbe comunque avuto una gestazione assai più difficile poggia sulla testimonianza di Golda Meir e di Abba Eban, concordi nell'affermare che l'URSS sarebbe stata, negli anni fra il 1944 e il 1949, l'unica grande potenza a sostenere gli ebrei palestinesi tanto sul campo quanto nelle sedi della diplomazia internazionale. Ovadia ritiene che la virata antisionista di Stalin fosse dovuta al timore che il legame tra gli ebrei sovietici e lo stato sionista avrebbe potuto creare al suo potere assoluto. Stalin avrebbe colpito gli ebrei in quanto tali come aveva fatto con altri gruppi e con altre minoranze. Un altro merito del volume viene rilevato nel suo evidenziare come lo stato sionista non sia nato come esprssione dell'imperialismo statunitense. Nel maccartismo, l'equazione tra ebreo, sionista e comunista sarebbe stata tanto influente quanto abituale.
Leonid Mlečin - Perché Stalin creò Israele. Teti editore, Roma 2010. 237 pp.
Leonid Mlečin - Perché Stalin creò Israele
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