Anita Likmeta - L'aquila nera. Una storia rimossa del fascismo in Albania
Il libro di Anita Likmeta intreccia ricordi di storia familiare e vicende di vita personale dell'Autrice con la storia dell'Albania contemporanea. Sotto questo aspetto la narrazione evenemenziale e cronologica si concentra in particolare sugli ultimi mesi del 1938 e i primi del 1939, quelli della preparazione e dell'inizio di una occupazione militare e dell'imposizione di un governo autoritario destinate a lasciare sulla vita della popolazione e sui suoi rapporti con lo stato al di là dell'Adriatico un'impronta persistente. Tanto persistente da sopravvivere per più di cinquant'anni nei ricordi familiari, nelle loro conferme con le ossa dei militari sepolti a Rubjek e con i monumenti e i musei di Durrës. La Likmeta racconta di come nel 1996 sarebbe stata accolta a braccia chiuse dalle istituzioni dello stato che occupa la penisola italiana -a cominciare dalla scuola- e anche da una considerevole parte della sua popolazione; sottolinea più volte la contezza pressoché nulla che vi avrebbe riscontrato in merito ad avvenimenti anche recenti. In particolare, le migliaia di persone fuggite con la nave Vlora nel 1991 non avrebbero trovato nella penisola italiana una compassione che avrebbe implicato la necessità di ricordare e di abbandonare la retorica della "brava gente". Questo oblio pressoché concorde sarebbe stato un buon punto di appoggio per presentare episodi come l'affondamento della motovedetta Katër i Radës come accidenti del destino. Ad esso avrebbe fatto da pendant in Albania, nel ricorso e nell'attribuzione causale degli eventi del 1939, una certa propensione al complottismo.
La Likmeta scrive di re Ahmet Zogu, di Géraldine Apponyi e di un matrimonio che sarebbe stato un tentativo di consolidare la legittimità di una monarchia minacciata da molti lati, esamina approfonditamente il comportamento di Galeazzo Ciano, fa nomi e cognomi di collaborazionisti più o meno rilevanti attribuendo loro un insieme di mediocrità morale e di mancanza di consapevolezza, ricorda che Giuseppe Bottai avrebbe parlato dell'occupazione dell'Albania negli stessi termini di un passaggio di proprietà. L'A. riporta episodi e aneddoti della resistenza armata -con particolare riguardo alla cittadina di Shijak- e descrive i passi formali che avrebbero messo l'Albania alle dipendenze dell'invasore. Definisce il partito fascista albanese come "un esperimento di ingegneria sociale, una macchina ideologica progettata per rimodellare l'dentità di un popolo". Il 7 aprile 1939, con l'apparire delle navi da guerra all'orizzonte, l'Albania avrebbe iniziato "il suo lento scivolamento verso i margini della storia del Novecento" fino a riapparire nelle forme simboliche della Vlora: "come una nave fantasma, apparsa dalle nebbie della storia, l’Albania ricomparve quel giorno, vestita di stracci, alla festa dell’Europa libera. Come un lontano parente che nessuno ricordava di avere, o come il vecchio marinaio di Coleridge che vuole raccontare agli invitati una storia che nessuno vorrebbe ascoltare". A un fascismo dispensatore per alcuni di connivenze e di fortune sarebbe infatti seguito un comunismo foriero di una tabula rasa radicale, a smentire le illusioni di quanti avevano creduto di trovarsi dalla parte giusta.



Anita Likmeta - L'aquila nera. Una storia rimossa del fascismo in Albania. Venezia, Marsilio 2025. 240 pp.