Mirella Galletti possiede una conoscenza diretta del territorio e della storia curda avendo lavorato, tra l'altro, per le università di Erbil e di Sulaimaniya. Questo Storia dei curdi, aggiornata alla primavera del 2003, presenta caratteri e storia degli abitanti del Kurdistan e segue le vicende delle comunità curde nei quattro paesi in cui la regione storica di appartenenza si è ritrovata suddivisa.
I primi due capitoli del volume trattano dei caratteri geografici del Kurdistan e delle vicende attraversate dalla lingua curda, dal suo sviluppo accademico con l'identificazione dei due principali dialetti sorani e kurmangi alla nascita e alla diffusione della stampa. La popolazione curda ha avuto più o meno facile accesso ai mezzi per sviluppare il proprio senso di appartenenza a seconda dello stato sovrano che ne occupava il territorio: nell'URSS del XX secolo ha goduto di quel riconoscimento culturale e linguistico assolutamente negato altrove negli stessi anni, soprattutto in Turchia.
Il terzo capitolo traccia una storia di massima del popolo curdo, dalle controversie sulla loro origine linguistica ed etnica (due le tesi principali: gruppo etnico indoeuropeo stabilitosi in zona a partire dal VII secolo a.C., o popolazione autoctona indoeuropeizzatasi poi nella lingua) che portano anche a identificare nei Medi i loro antenati culturali, alle soglie dell'epoca contemporanea. Rimasti per secoli ancorati ad una cultura feudale favorita dal relativo isolamento geografico, convertitisi all'Islam dopo molte resistenze a partire dalla religione zoroastriana di cui la celebrazione del Newroz -la festa nazionale del 21 marzo- costituisce un retaggio, le popolazioni curde hanno fatto per millenni da cerniera tra due imperi poco interessati e poco attrezzati per far pesare la loro potenza sui loro confini più remoti, vivendo relativamente indisturbate.
Le cose cambiano con l'affermarsi del colonialismo e dello stato moderno, argomenti trattati dalla Galletti nei due capitoli successivi. La politica di controllo del territorio messa in atto dagli Ottomani a partire dal 1830 causa le prime rivolte organizzate contro il potere centrale e la nascita del nazionalismo curdo, che troverà fin da subito i suoi limiti nel tribalismo e nella geopolitica della regione. La sconfitta ottomana nella prima guerra mondiale provocò la spartizione del Kurdistan tra Turchia, Persia e protettorati francoinglesi in Siria e in Iraq; la scoperta del petrolio e la sovrapposizione di alcune aree geografiche rivendicate dai curdi con quelle rivendicate dagli armeni causarono il mancato accoglimento delle istanze nazionaliste in sede di conferenza di pace.
Con l'avanzare del XX secolo la storia di ciascuna comunità curda si differenzia anche in modo marcato a seconda dell'entità statale che ne controlla il territorio. Il sesto capitolo tratta della storia dei curdi in Turchia. I principi fondanti della Turchia contemporanea, dai tempi di Mustafa Kemal in poi, sono il nazionalismo e l'omogeneità culturale e linguistica; per più di ottant'anni la politica turca nei confronti della popolazione del Kurdistan ha alternato deportazione ad operazioni di guerra nel deliberato intento di distruggere culturalmente -e a tratti anche fisicamente- la popolazione ufficialmente definita come "turchi delle montagne"; la società curda, minata dallo smembramento delle comunità e dalla forzata emigrazione interna, dall'emigrazione all'estero, dalla denegazione culturale e dal controllo militare del territorio, ha reagito militarizzando la propria resistenza e politicizzando le comunità all'estero.
Il settimo capitolo tratta della presenza curda in Iran. Nell'Iran del 1945 la presenza sovietica facilitò il sorgere dell'effimera Repubblica di Mahabad, prima esperienza di autogoverno curdo della storia contemporanea; lo shah riprese presto il controllo del territorio, ma l'esperienza è stata mitizzata in tutto il Kurdistan e ancora oggi la bandiera verde - bianco - rossa con il sole al centro è rimasta nell'uso corrente. Sotto Reza Pahlavi prima e sotto la Repubblica Islamica poi il Kurdistan iraniano fu a vario titolo militarizzato dal potere centrale; soltanto con la fine della guerra con l'Iraq (circostanza in cui gruppi di pressione contrapposti agivano per mobilitare la popolazione curda nei due paesi) i curdi iraniani hanno potuto ottenere un sostegno ufficiale alla loro lingua ed alla loro cultura, intensificatosi sotto la presidenza Khatami.
La storia dei curdi in Iraq è illustrata con molto approfondimento documentale; dalla nascita dell'Iraq unificato i rapporti con Baghdad hanno alternato momenti di tensione a vere e proprie guerre durate anni. Decisissimo a non perdere il controllo di una zona il cui interesse economico è vitale, il governo di Baghdad -quali che fossero i suoi controllori, da re Faysal a Saddam Hussein- ha represso nel sangue rivolte di portata imponente, militarizzato a fondo il territorio e deportato la popolazione curda in altre aree del paese sostituendola con elementi arabi. Nel corso di campagne repressive durate anni interi come quella del 1969 o del 1974-75 che segnò una grave sconfitta per la leadership militare curda, l'azione di Baghdad ha assunto una portata genocida ed ha potuto avvalersi anche delle incertezze, se non dell'aperta e cinica malafede, con cui paesi vicini e potenze occidentali hanno improntato i loro rapporti con i leader locali. La guerra con l'Iran portò la repressione irachena ai livelli a tutti noti; soltanto con la sconfitta di Saddam Hussein nella seconda guerra del golfo e con l'istituzione di no fly zones teoricamente inviolabili la popolazione curda irachena ha potuto godere di un periodo di tempo relativamente lungo per stabilizzare almeno un'economia di sussistenza.
Tra i curdi è stata convinzione comune, più volte ribadita in queste pagine, che gli stati occupanti -Iraq e Turchia in particolare- abbiano tentato più o meno deliberatamente e con più o meno successo di risolvere la "questione curda" con gli stessi sistemi con cui gli Ottomani risolsero la "questione armena".
Il nono capitolo è dedicato alla popolazione curda in Siria. Lo stato siriano occupa una superficie relativamente ridotta del Kurdistan: nondimento la popolazione curda è stata per decenni oggetto di una repressione più strisciante che conclamata, che si è tradotta nel suo allontanamento da rappresentatività pubblica e da impieghi di responsabilità statale. Il clou è stato toccato dal 1962 al 1976, col tentativo di arabizzare i confini con la Turchia deportando i centoquarantamila curdi che abitano nella zona. La questione curda è tra i motivi di cattivo vicinato tra Siria e Turchia: la Turchia ha militarizzato il confine e tende in via pressoché ufficiale a subordinare un controllo delle dighe sull'Eufrate compatibile con le richieste siriane all'assecondamento siriano della repressione anticurda. L'ascesa di Bashar Assad alla leadership siriana ha di molto mitigato il controllo repressivo sulla popolazione civile.
La presenza curda in URSS e nei paesi nati dal suo collasso è oggetto del decimo capitolo. Le buone prospettive culturali e professionali offerte dall'URSS ne fecero a suo tempo una delle più frequentate destinazioni della diaspora curda. L'esiguità del loro numero ha facilitato l'assimilazione culturale dei curdi, che tuttavia erano in numero consistente in alcuni distretti dell'Azerbaigian. La guerra con l'Armenia che ha accompagnato e seguito il collasso sovietico ha disperso anche queste comunità, i cui distretti sono stati occupati dall'esercito di Erevan.
L'ultimo capitolo, seguito a sua volta da un'appendice e da un apparato bibliografico ricchissimo di indicazioni, è dedicato alla diaspora curda contemporanea ed alle sue attività sociali e politiche.

Mirella Galletti, Storia dei Curdi - Ed Jouvence, Roma 2004.