Jean-Paul Roux è uno storico francese specializzato in studi turchi ed è autore di svariate monografie sulle società e le civilizazioni centroasiatiche ed altaiche.
Tamerlano, pubblicato nel 1991, si divide in due parti. La prima è di impianto strettamente biografico e ripercorre la vita dell'emiro Timur dalla nascita a Kesh fino alla morte, avvenuta alla vigilia di una campagna militare che doveva, nelle intenzioni dei suoi ideatori, concludersi con la conquista della Cina. La seconda parte, "l'uomo e il suo tempo", inquadra il personaggio Timur nel contesto in cui visse, presentando esaurienti descrizioni degli usi di corte e più in generale della società centroasiatica tra il XIV e il XV secolo.
L'esposizione di Roux presenta ben altra serietà e completezza rispetto alla vulgata monolitica (e demente) sparpagliata in ogni dove dai mass media "occidentalisti"; uno degli assunti del libro, debitamente argomentato fin dalle prime pagine, è che la presenza e l'accettazione dell'Islam nel Turan dell'epoca non costituivano assolutamente un dato scontato e che le popolazioni turco-mongole in mezzo alle quali Timur nacque e trascorse la vita erano sottoposte ad influenze culturali e religiose di vario ordine, dall'animismo tradizionale al cristianesimo nestoriano, passando per lo zoroastrismo e il buddhismo. Roux afferma anzi che, con l'avanzata di Gengis Khan attraverso tutta l'Asia fino alle coste mediterranee, l'Islam come "religione di stato" -termine impreciso in assenza dell'esplicita adozione di un principio come il cuius regio eius religio, ma sufficientemente chiaro come descrittivo- fosse finito in minoranza ed avesse corso il serio rischio di scomparire dal continente.
Alla vita di Timur Roux dedica oltre cento pagine: campagne militari, vita di campo e guarnigione, diplomazia sono i temi principali di una trattazione strutturata in modo essenzialmente evenemenziale.
La seconda parte del volume approfondisce gli aspetti culturali e le conseguenze sociostoriche lasciate dalla presenza dell'effimero impero timuride; i primi capitoli discutono alcuni tra i più ricorrenti luoghi comuni su Timur, togliendogli la fama di macellaio che ha connotato -da sola e fino ad oggi- l'eroe nazionale dell'Uzbekistan contemporaneo e mostrando al lettore, invece, un monarca amante della letteratura, dell'arte e delle scienze, ricostruttore di Samarcanda nonché attento per quanto possibile a mantenere buoni rapporti con le élite delle regioni conquistate, intento a tentare di risolvere le difficoltà concrete che il passaggio da uno stile di vita nomade ad uno cittadino aveva per le popolazioni centroasiatiche. Roux si sofferma ad indicare che una transizione del genere si riflette anche nel contrasto tra la sharia, che connotava l'Islam come espressione religiosa, sociale e culturale dell'ambiente cittadino, e la yasak turco-mongola, retaggio della cultura nomade in cui Timur era nato. L'adozione della sharia da parte dell'amministrazione e la sincera adesione personale di Timur all'Islam vanno inquadrati nel contesto di una realtà geopolitica e sociale in radicale cambiamento, ed influenzarono la società turcomongola entro certi limiti; il vino, ad esempio, continuò ad essere apprezzato sia dai sudditi che dagli ambienti di corte, così come non fu imposto lo hijab. Oltre agli assunti sulla "islamicità" della società turcomongola, Roux ridimensiona anche altri dei dati tradizionalmente attribuiti all'impero timuride, quali il numero degli effettivi dell'esercito e, soprattutto, il numero delle vittime dei "massacri timuridi"; non si tratta di negare avvenimenti ben documentati come la distruzione della città di Dehli, in cui nel 1398 la situazione sfuggì di mano ai comandanti militari, ma di evidenziare come la prassi di Timur fosse di solito diametralmente opposta. Oltre a tentare di conservare il miglior rapporto possibile con le élite, Timur si comportava in modo da evitare per quanto in suo potere i danni alle città ed alle popolazioni conquistate.
Trattando di Tamerlano, Roux ritrae una figura di monarca e di comandante militare composita e polimorfa; l'esatto contrario dell'"islamico" da feuilleton rappresentato dal cialtronismo "occidentalista".