Nel giugno del 2022 il Consiglio Comunale di Livorno decide di non dedicare una strada a Oriana Fallaci, evidentemente ritenendo che persino per la via che conduce alla discarica comunale si possa trovare una soluzione alternativa.
A Firenze le è stato dedicato un piazzale praticamente privo di numeri civici -un dato costruttivo che limita di molto la notorietà del luogo- presto rivelatosi un discreto e spazioso teatro per risse e bottigliate. Pare che sia destino che le figure di riferimento dell'"occidentalismo" politico e gazzettiero ottengano a Firenze intitolazioni dall'evidente sapore di scherno: giardinetti di periferia, parcheggi riarsi, disimpegni, rampe di tangenziale.
Su "Repubblica" Michele Serra (sui cui scritti vi sarebbe in generale non poco da eccepire) traccia il 10 giugno un ritratto della "scrittrice" in cui omette di notare che la sua prassi "lavorativa" era quella di colmare con cassettate di considerazioni egoriferite qualsiasi vuoto dovuto a una mancata conoscenza di problemi, temi e argomenti. Il che andrebbe anche bene, dovendo quella lì confezionare robetta da gazzetta senza farsi massacrare in sede di redazione.
Tralasciare di farvi cenno, però, fa sì che le sue considerazioni risultino quasi agiografiche.
Il fatto stesso che i ben vestiti del democratismo rappresentativo siano propensi ancora oggi a delegare a un individuo simile il ruolo di maitre à penser, invece, è inammissibile agli occhi di qualsiasi persona seria.
Lo scritto originale cita esplicitamente lo stato che occupa la penisola italiana; ce ne scusiamo come d'uso con i lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.
Il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Andrea Romiti, molto deluso perché la sua città, Livorno, ha deciso di non dedicare una strada a Oriana Fallaci, lamenta che la giornalista e scrittrice, nel corso del dibattito, sia stata descritta come una “quasi xenofoba, che odiava l’Islam e gli omosessuali”.
Ora, il problema è che Fallaci fu, nero su bianco, pagina dopo pagina, specialmente nei suoi ultimi anni, una esplicita, orgogliosa odiatrice dell’Islam, degli arabi, degli omosessuali e di svariate altre rappresentanze dell’umano. E proprio in funzione di questo odio, così ben scritto, così energicamente ribadito, fino a sostenere che le moschee bisogna farle saltare in aria, è diventata icona letteraria della destra più animosa. Che senso ha negarlo?
E’ lecito dire: sono favorevole a intitolare una via a Fallaci proprio perché fu omofoba, antiabortista e odiava l’Islam. Considero l’odio un merito letterario e politico. Oppure è lecito dire: nonostante fosse omofoba, antiabortista e odiasse l’Islam, fu una giornalista di così grande talento, e popolarità, che per meriti artistici merita di avere una strada nonostante i suoi eccessi ideologici.
La sola cosa che non ha senso è fingere che Fallaci non fosse Fallaci, e non abbia scritto ciò che ha scritto. Gentili consiglieri comunali della destra livornese, leggete Fallaci. Fatele questo onore. Non è Céline (la manca qualche grado d’arte) ma è una schietta testimone del politicamente scorretto, della superiorità etnica e culturale dell’uomo bianco e di altri pensieri scomodi da sostenere. Per questo vi piace tanto. Perché non ammetterlo? Almeno si discuterebbe a partire da un dato condiviso: quello che Fallaci scrisse, quello che Fallaci fu.
A Firenze le è stato dedicato un piazzale praticamente privo di numeri civici -un dato costruttivo che limita di molto la notorietà del luogo- presto rivelatosi un discreto e spazioso teatro per risse e bottigliate. Pare che sia destino che le figure di riferimento dell'"occidentalismo" politico e gazzettiero ottengano a Firenze intitolazioni dall'evidente sapore di scherno: giardinetti di periferia, parcheggi riarsi, disimpegni, rampe di tangenziale.
Su "Repubblica" Michele Serra (sui cui scritti vi sarebbe in generale non poco da eccepire) traccia il 10 giugno un ritratto della "scrittrice" in cui omette di notare che la sua prassi "lavorativa" era quella di colmare con cassettate di considerazioni egoriferite qualsiasi vuoto dovuto a una mancata conoscenza di problemi, temi e argomenti. Il che andrebbe anche bene, dovendo quella lì confezionare robetta da gazzetta senza farsi massacrare in sede di redazione.
Tralasciare di farvi cenno, però, fa sì che le sue considerazioni risultino quasi agiografiche.
Il fatto stesso che i ben vestiti del democratismo rappresentativo siano propensi ancora oggi a delegare a un individuo simile il ruolo di maitre à penser, invece, è inammissibile agli occhi di qualsiasi persona seria.
Lo scritto originale cita esplicitamente lo stato che occupa la penisola italiana; ce ne scusiamo come d'uso con i lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.
Il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Andrea Romiti, molto deluso perché la sua città, Livorno, ha deciso di non dedicare una strada a Oriana Fallaci, lamenta che la giornalista e scrittrice, nel corso del dibattito, sia stata descritta come una “quasi xenofoba, che odiava l’Islam e gli omosessuali”.
Ora, il problema è che Fallaci fu, nero su bianco, pagina dopo pagina, specialmente nei suoi ultimi anni, una esplicita, orgogliosa odiatrice dell’Islam, degli arabi, degli omosessuali e di svariate altre rappresentanze dell’umano. E proprio in funzione di questo odio, così ben scritto, così energicamente ribadito, fino a sostenere che le moschee bisogna farle saltare in aria, è diventata icona letteraria della destra più animosa. Che senso ha negarlo?
E’ lecito dire: sono favorevole a intitolare una via a Fallaci proprio perché fu omofoba, antiabortista e odiava l’Islam. Considero l’odio un merito letterario e politico. Oppure è lecito dire: nonostante fosse omofoba, antiabortista e odiasse l’Islam, fu una giornalista di così grande talento, e popolarità, che per meriti artistici merita di avere una strada nonostante i suoi eccessi ideologici.
La sola cosa che non ha senso è fingere che Fallaci non fosse Fallaci, e non abbia scritto ciò che ha scritto. Gentili consiglieri comunali della destra livornese, leggete Fallaci. Fatele questo onore. Non è Céline (la manca qualche grado d’arte) ma è una schietta testimone del politicamente scorretto, della superiorità etnica e culturale dell’uomo bianco e di altri pensieri scomodi da sostenere. Per questo vi piace tanto. Perché non ammetterlo? Almeno si discuterebbe a partire da un dato condiviso: quello che Fallaci scrisse, quello che Fallaci fu.