Il 18 aprile 2004 Su Carmilla on line Valerio Evangelisti recensì (qui su Archive) "La forza della ragione" di Oriana Fallaci senza usare mezzi termini e senza dedicargli né un secondo né una parola più del necessario.
Il successivo 8 dicembre tornò con più calma (qui su Archive) sull'argomento.
Il nome dello stato che occupa la penisola italiana ricorre frequentemente nel testo, prodotto tra l'altro per illustrarne caratteristiche che chiunque viva in una realtà normale ha ottimi motivi per considerare stupefacenti.
Come nostro uso ce ne scusiamo in ogni caso con i lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.
La forza del niente: il caso Fallaci
di Valerio Evangelisti
Questa recensione è stata in origine scritta su richiesta della Beirut Review, supplemento culturale del quotidiano libanese The Daily Star. Per questo alcuni passaggi sono chiaramente rivolti a un pubblico straniero.
È quasi impossibile sottoporre a una seria critica letteraria il libro di Oriana Fallaci La forza della ragione, pubblicato dall'editore italiano Rizzoli e, dopo il successo in patria, tradotto in molti paesi occidentali. Non è un vero e proprio pamphlet: gliene mancano la stringatezza e il rigore argomentativi. Non è di sicuro un saggio: i materiali vi si accumulano senza ordine alcuno, le fonti sono dubbie, fraintese o di seconda mano, le tesi di fondo non sono dimostrate né dimostrabili.
E' certamente un'invettiva, però mal condotta. L'autrice, che ci fissa con occhi gelidi dalla quarta di copertina e che, fin dallo sguardo, parrebbe pronta a impartire al mondo occidentale una severa lezione, tende di continuo a divagare, a saltare da un tema a un altro, ad affastellare riferimenti disparati fino a perdere il filo del discorso. Talora addirittura sembra tentennare, balbettare, quasi che, tradita dalla foga, abbia scordato di cosa sta parlando. In quel caso o chiude il capitolo, o passa a ragionamenti completamente diversi: i primi che le passano per la mente.
Per sua fortuna una struttura così pencolante ha un proprio cemento che la tiene in piedi a forza: l'identità del Nemico. Il quale Nemico è rappresentato dall'Islam, dal mondo arabo, dagli arabi in genere, senza alcuna differenziazione al loro interno. Lo scopo di costoro — di tutti costoro — è facilmente riassumibile: vogliono conquistare l'Europa e soggiogarla. Non solo: intendono distruggerne completamente la civiltà, per edificare sulle sue macerie, sui suoi monumenti abbattuti, sulla sua cultura dispersa, un dominio infernale e belluino, concepito da pastori analfabeti. Scopo che l'autrice, bontà sua, definisce stolto: “Infatti nel sogno che i figli di Allah coltivano da tanti anni, il sogno di far saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa o la cupola di San Pietro o la Tour Eiffel o l'Abbazia di Westminster o la Cattedrale di Colonia e via dicendo, io vedo anzitutto una stoltezza. Che senso avrebbe distruggere i tesori di una provincia che ormai gli appartiene? Una provincia dove il Corano è il nuovo Das Kapital, Maometto il nuovo Karl Marx, Bin Laden il nuovo Lenin, e l'Undici Settembre la nuova presa della Bastiglia?”
Sì, perché secondo Oriana Fallaci la conquista dell'Europa sarebbe già avvenuta. Nel suo precedente libro, La rabbia e l'orgoglio, spiegava meglio come. Avanguardia delle armate musulmane sarebbero gli immigrati nordafricani o mediorientali giunti in Europa in cerca di lavoro (ma quest'ultima specificazione, agli occhi della Fallaci, è probabilmente solo un alibi). Insediatisi in Occidente, l'avrebbero soggiogato grazie alla loro tendenza a “moltiplicarsi come ratti” (è ricorrente, nella prosa della Fallaci, la descrizione di arabi e islamici tramite il richiamo ad animali sporchi o infetti, oppure ai loro versi). Ciò si sarebbe saldato, in un unico piano diabolico, alle azioni terroristiche dei gruppi integralisti, con la complicità di fatto delle sinistre europee e di settori cattolici malati di troppa tolleranza.
Il risultato sarà un'Europa irta di minareti e popolata da donne rese schiave. Per fortuna l'America di Bush, rimasta immune dalla tragedia in corso, veglia e impartisce dure lezioni ai musulmani ogni volta che alzano la testa. Occorre però che gli europei affianchino l'alleato, in quella che sempre di più appare come una nuova guerra di liberazione. Ieri il nazismo, oggi l'Islam.
Forse è dare troppa importanza alla Fallaci, ma leggendo La forza della ragione il pensiero corre al Mein Kampf di Hitler. Un testo che, ai giorni nostri, pochi hanno letto, proprio perché non era fatto per essere letto: piuttosto era fatto per essere sfogliato. Rigore logico quasi assente, strutturazione nulla, un continuo divagare, base scientifica o conoscitiva ridotta a zero.
Solo alcune idee forti erano ripetute di continuo, per catturare l'attenzione del lettore distratto. Più che di idee si trattava di immagini: l'Ebreo (poco importava se ricco o povero, se credente o agnostico, se comunista o nazionalista) quale portatore di malattie misteriose e segrete, di marciume biologico, di potere contaminante. Al punto che tra Ebreo e malattia non vi era più differenza: tutta la genia era di volta in volta la piaga e il suo pus, che l'igiene imponeva di eliminare d'un colpo solo. Era questa l'idea destinata a restare in mente al lettore che scorresse anche solo una pagina su cinque.
Non dissimile è il procedimento della ripetizione ossessionante del medesimo concetto, tra un fiume di parole alla deriva, messo in atto da Oriana Fallaci. Anche il lettore disattento, letto il suo libro, farà l'amalgama tra musulmani di ogni età e condizione (riuniti in un'unica figura, l'Arabo, quale che sia il paese di provenienza, inclusi la Somalia e l'Iran) e il complotto perverso di cui sono portatori, pari per origine remota e crudeltà di intenti a quello contemplato dai Protocolli dei Savi di Sion.
Il conducente algerino della metropolitana di Parigi, il medico siriano assunto da una clinica di Ginevra, il giovane somalo che studia in Italia, l'operaio turco di un'officina belga si trovano a loro insaputa, in quanto musulmani, partecipi di un complotto che ha per capo Bin Laden, e per fine l'abbattimento della Tour Eiffel.
Argomenti a sostegno della tesi? Oh, i più vari. Si va dalla strage dei cristiani di Costantinopoli per mano di Maometto II, nel 1453, al martirio del nobile veneziano Bragadin, nel 1571; dall'obbligo (inventato di sana pianta) dei cristiani di Granada di inginocchiarsi al passaggio di un qualsiasi musulmano alla pratica dell'infibulazione, presentata quale portato naturale dell'Islam e non, malgrado la sua localizzazione africana, quale frutto esecrabile di tradizioni preesistenti.
Inutile aggiungere che questo condensato strumentale di storia del mondo arabo, racchiuso nella prima metà del capitolo 1, omette di menzionare il trattamento che i crociati riservarono ai musulmani quando riuscirono ad avere la meglio, o quello che, dopo la riconquista di Granada, l'Inquisizione destinò ai medesimi, anche nel caso in cui avessero rinunciato alla loro fede.
Ma è inutile perdere tempo in una discussione storiografica. Oriana Fallaci strumentalizza la storia, di cui conosce poco e della quale non le importa nulla, solo a sostegno dei due temi che le stanno a cuore. Il primo: espellere gli immigrati di religione musulmana dall'Europa. Il secondo: sostenere con motivazioni, sia razziali che culturali, la politica offensiva degli Stati Uniti di Bush e dell'Israele di Sharon.
Per questo ha composto il proprio libello, spesso confuso e a tratti delirante. Si tratta del tipico libro destinato a chi non legge libri: chiunque abbia una conoscenza anche minima dei temi che vi sono affrontati, capisce immediatamente che l'autrice non ne sa nulla, e che colma con la bile vuoti culturali impressionanti.
Ciò sfugge, ovviamente, a chi sia digiuno di tutta la tematica. Infatti è significativo che, non solo in Italia, La forza della ragione sia finito nelle magre biblioteche di un pubblico che, normalmente, evita le librerie. Il volume della Fallaci esce dunque dall'ambito storico-letterario, in cui non esiste, per entrare in quello politico-sociologico. Perché mai, è il quesito, decine e forse centinaia di migliaia di italiani hanno comperato un testo tanto vacuo da sfiorare il ridicolo?
Fino agli anni '80 del secolo appena trascorso il razzismo era, in Italia, fenomeno non certo sconosciuto, ma tutto sommato marginale. Apparteneva sostanzialmente al bagaglio ideologico dell'estrema destra, a quel tempo molto minoritaria. Non apparteneva invece alle coscienze dei cittadini, se non in quella sua variante che induceva molti italiani del nord a guardare con disprezzo quelli del sud, ritenuti incivili e abbarbicati a una cultura arretrata.
In quegli anni non solo un libro come La forza della ragione avrebbe fatto scandalo, ma nessun grande editore avrebbe accettato di pubblicarlo. La Fallaci, e anche alcune forze attualmente al governo, addurrebbero a ciò una facile spiegazione mille volte ripetuta. A loro parere, tutta la cultura italiana subiva l'egemonia del partito comunista e della sinistra in genere, che di fatto governavano il paese. Spiegazione che fa sorridere, se si pensa all'influenza che la cultura americana e il Vaticano esercitavano in Italia, in una misura non comparabile con nessun altro paese europeo.
La verità è che, perché il razzismo divenisse fenomeno “normale” nella penisola, e se ne potesse fare aperta professione senza suscitare reazioni, erano necessari cambiamenti profondi a livello strutturale, tali da riflettersi in ambito culturale e politico. A mio parere, ciò è consistito principalmente in un rafforzamento molto rapido dei ceti medi, giunti, nel corso degli anni '80 e '90, a conquistare una consapevolezza di se stessi mai avuta prima, e a una larga autonomia rispetto a scelte e valori della grande borghesia, a cui erano stati fino a quel momento subalterni.
In Italia, nel periodo considerato, è avvenuta una sorta di “rivoluzione sociale” analoga a quella operata da Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Si inizia con una rivolta dei quadri di fabbrica contro i sindacati operai; si prosegue con un sostanziale invito ad arricchirsi rivolto alla piccola e media borghesia dal leader socialista Bettino Craxi, negli anni in cui questi è Presidente del Consiglio; si completa il processo sotto i governi di centrosinistra degli anni '90, quando l'esortazione ai ceti medi ad abbandonare il tradizionale risparmio in titoli di Stato per gettarsi sul mercato azionario fa sorgere dal nulla fortune ingenti. Vi è molta tolleranza, specie nel periodo Craxi, verso l'evasione fiscale di piccoli imprenditori e negozianti; e sono soprattutto le piccole imprese del nord a beneficiare di una protratta svalutazione della moneta, che favorisce l'esportazione delle merci da loro prodotte.
L'arricchimento dei ceti medio-bassi, blanditi un po' da tutte le forze politiche e liberi ormai di accedere ai beni un tempo riservati alla grande borghesia, fa emergere la cultura di cui sono portatori, grazie anche al crescente controllo che ormai possono esercitare sui mezzi di comunicazione. Non è una cultura raffinata, né di radici antiche. Il suo fulcro è l'egoismo, rivolto sia contro l'egualitarismo di cui la sinistra è paladina (peraltro sempre più debolmente), sia contro ogni altra forma di solidarietà o di ingerenza dello Stato nella vita economico-sociale.
Gli intellettuali, che in Italia raramente hanno brillato per anticonformismo, si adeguano in fretta. Interi capitoli di storia vengono riscritti, da quello della resistenza al fascismo, presto criminalizzata, alla rivalutazione delle imprese coloniali. Se c'è necessità di supporti ideologici più forti, li si pesca nell'integralismo cattolico più retrivo, che ormai condiziona numerosi vescovi e cardinali, oppure in frammenti di pensiero post-fascista — il tutto riverniciato e spacciato per “liberalismo”, il termine più abusato sia nella politica che nella cultura.
In realtà, questo cocktail di concezioni disparate non costituisce affatto un'ideologia. Rappresenta piuttosto la legittimazione a posteriori dell'individualismo dei ceti medi arricchiti di recente. La sua portata filosofica si riassume in due sole frasi: chi ha forza e denaro è autorizzato a tutto; chi non ne ha, deve guardarsi dall'intralciarlo o dal chiedere la sua solidarietà.
Mentre in Italia dilaga la concezione del mondo sommariamente descritta, iniziano le ondate di immigrazione in massa dai paesi più vicini, devastati da crisi economiche o da guerre: Albania, Maghreb, paesi dell'Africa centrale, paesi dell'Europa orientale. Nessuno ha più gli strumenti culturali o economici per analizzare il fenomeno, né la volontà di farlo. La reazione è invece di timore e, di conseguenza, di odio. Non esiste forse già un pensiero dominante che glorifica il potente e colpevolizza il debole? E chi è più debole di un immigrato in cerca di lavoro?
Come in altri paesi d'Europa, in Italia si addossano alla nuova immigrazione tutti i crimini commessi nel paese, sebbene la larga maggioranza dei nuovi venuti chieda solo di lavorare, e si presti ad attività che la popolazione locale rifiuta. L'immigrazione stessa, prima con i governi di centrosinistra, poi soprattutto con quello di centrodestra di Silvio Berlusconi (il cui partito è affiancato da forze post-fasciste e xenofobe), diventa un crimine, e gli stranieri in attesa di espulsione sono chiusi in veri campi di concentramento.
Ciò è comune ad altri paesi europei, dicevo. Quasi solo in Italia, però, l'odio nei confronti dell'immigrato finisce per ammantarsi di un'ideologia capace di nobilitarlo. Ciò non ad opera di piccole formazioni di estrema destra dal peso politico scarso, bensì per mano di giornalisti e intellettuali che godono di vasta popolarità.
Poiché una larga parte degli immigrati sono di religione musulmana, l'attentato alle Twin Towers ha offerto l'argomento che mancava. La tesi dello “scontro di civiltà” sostenuta dai neoconservatori statunitensi è stata involgarita, caricata di razzismo, saldata al pensiero egoistico dominante. Mentre alcuni vescovi scoraggiavano i matrimoni tra cattolici e musulmani e accusavano questi ultimi di volere imporre la loro religione (sebbene nessun italiano possa dire di essere stato accostato da un musulmano interessato a convertirlo), su molti giornali penne autorevoli amalgamavano tutto l'Islam alle correnti integraliste, lo volgevano in caricatura, rievocavano episodi storici dimenticati da secoli. Finché, a coronamento di tutta la campagna, non sono intervenuti i libri di Oriana Fallaci a riassumere l'ignoranza sparsa a piene mani, fino a quel momento, da una piccola ma agguerrita schiera di seminatori di odio.
C'è da chiedersi quali conseguenze possa avere, nella vita sociale, un testo come La forza della ragione. Non molta, direi, anche se il suo successo è di per sé inquietante. La società italiana contiene per fortuna numerosi anticorpi. Le manifestazioni contro l'invasione dell'Iraq hanno visto sfilare milioni di giovani, più di quanto sia accaduto in ogni altro paese occidentale. La solidarietà con gli immigrati resta più alta di quanto le forze xenofobe si augurerebbero. Il livore contro i musulmani resta limitato a settori di cittadini molto circoscritti, e comunque, per quanto alimentato da operazioni di polizia spesso arbitrarie, non è avvertito come fattore di guerra di civiltà o di religioni. La stessa Fallaci è fatta oggetto di scherno, che cresce a ogni sua rara apparizione.
E' però l'ideologia dell'egoismo, ormai non più sorretta da fattori materiali, che deve essere abbandonata. Fino a quel momento, esisterà l'intolleranza e brutti libri come La forza della ragione troveranno lettori.