Il marketing ha le sue regole. Sperando di aver esaurito l'effetto delle proprie stesse operazioni commmerciali, la Rizzoli presenta a fine luglio 2008 un romanzo biografico familiare scritto dalla giornalista ex fiorentina, la cui lunghissima e puntigliosa redazione fu interrotta -dicono- perché rabbia & orgoglio (o paura & arroganza, secondo Franco Cardini) incombevano almeno quanto l'urgenza della vagonata di nefandezze politicanti in cerca di avalli autorevoli. Alessandro Cannavò, cui spetta il compito di cambiare le carte in tavola, presenta il prodotto di scuderia con un lungo articolo sul Corriere della Sera on line il 24 luglio.
"Dimentichiamo per un attimo l’11 settembre e quello che ne seguì", esordisce Alessandro. Ma come? E lo scontro di civiltà? E gli "islamici"? Già tutto in fondo a un cassetto dopo nemmeno dieci anni? O non erano "come Hitler", come si è sgolato per anni a spergiurare un esercito di pennaioli a libro paga? Va beh...
Rewind, implora Cannavò. Torniamo indietro. Dimentichiamo barzellette della geopolitica come l'"Eurabia", dimentichiamo le tonnellate di deliri a contenuto persecutorio sparpagliati urbi et orbi col placet (e il guadagno) rizzoliano, che per qualche anno hanno trasformato casalingue e parrucchiere in supponenti esperte di "islamistica". Dimentichiamo i toni da propaganda della disgustosa chiamata alle armi cui l'intero corpo gazzettiero ed editoriale si è prestato in piena scienza e coscienza. S'ha da vendervi un libro che parla di ciliegie, adesso: quindi, per favore, fateci sfruttare in santa pace la butirrosità e la labilità della memoria collettiva dei sudditi delle democrazie da esportazione, e non guastateci la festa.
Noi non lo accontentiamo, Alessandro Cannavò. Rewind una sega, come si direbbe in quel linguaggio "impietoso" o "brutale" che manda tanto in vibrazione gli "occidentalisti" e gli strateghi da caffè.
Comodo, cancellare in un colpo anni di propaganda demente, di idiozie criminali, di istigazioni al razzismo se non al genocidio. Anni di slogan da regime, di nullità telegeniche proclamanti la lode della guerra d'aggressione, di ciance bambinesche, di invocazioni alla repressione totale. Povero Cannavò; spedito da solo in prima pagina ad implorare un colpo di spugna su anni di linee editoriali al di là del pornografico e del sanguinario. Grazie all'impegno dei gazzettieri, i quattro quinti dei politicanti responsabili di questioni vitali nello stato che occupa la penisola italiana hanno appoggiato guerre d'aggressione che hanno fatto centinaia di migliaia di vittime e raso al suolo paesi interi. Guerre d'aggressione basate su caterve di bugie ben spacciate per verità incontrovertibili sotto pena del bando mediatico -se non della galera- per chiunque osasse dissentire.
Grazie a questi picchiettatori di tastiere, i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana si sono trovati compartecipi in blocco di una politicanza che in tempi più normali avrebbe portato diritti diritti a Norimberga. Non che la cosa li interessi tanto: sudditi erano e sudditi rimangono, e se un bel giorno vedessero per le strade i carri armati di un colpo di stato reagirebbero con quel mix di indifferenza e stizza tipico dello yes man da sottosegreteria, sottopagato ma rancoroso, incompetente ma cattivo, che si vede sbarrata la strada davanti al SUV preso in leasing da un Ape 50 carico di macerie.
Purtroppo, Alessandro, c'è anche chi ha la memoria un po' più lunga del desiderabile e la disgustosa linea di pensiero per anni imposta dalla "libera" stampa "occidentale" non ha alcuna intenzione di dimenticarla.
Cannavò ci fa sapere che per tutti gli anni Novanta Oriana Fallaci si era "rinchiusa nella sua casa sulla 61esima a studiare, esaminare documenti, fare ricerche, scrivere". Davvero? E tanta fatica ha portato alle produzioni "letterarie" che conosciamo? Fatica sprecata, verrebbe da concludere! Un individuo che si fa prendere da "fervore storico", e che per giunta dispone di risorse, redditi ed accessi documentali ben al di sopra di quelli del comune studente universitario, eviterebbe con ogni cura di esibirsi nei prodigi di incompetenza che tutti conosciamo. Se per spiegare certe asserzioni, e certi librini ben al di là del difendibile non è possibile addurre spiegazioni che chiamino in causa la poca competenza o la scarsezza di mezzi, non resta che attribuirne l'origine alla malafede. Una malafede esercitata non gratis da un individuo che agiva in piena consapevolezza, ampiamente assecondato da una corte per la quale il concetto di responsabilità sociale dei media deve rimandare ad un'epoca demodé, da considerare con il distacco e la sufficienza di un Lord Brummel. Oh, c'è da esportare la democrazia, mica discorsi.
Il lancio di Un cappello pieno di ciliegie è previsto per il trenta luglio. In tempo per forgiare, chi lo sa, un'altra leva di "orientaliste" tra le scosciate in ferie sul Tirreno grazie a qualche "finanziamento".
Alessandro Cannavò si dilunga nell'esposizione dei contenuti del nuovo librone: un'agiografia familiare di emigranti sì, ma di lusso, di antenati biondi con gli occhi azzurri (è questo il discrimine che, in fin dei conti, distingue i buoni dai cattivi?), similpasionarie preveggenti ma sboccate, essendo il turpiloquio -purché usato dai soggetti giusti- concepito come chissà quale bandiera libertaria. E giù con anarchici indòmiti, repubblicane bellissime che però concepiscono con gli aristocratici ma poi scappano a far le tenutarie in AmeriKKKa sicché nella vita non si sa mai cosa può capitare, e tutte le fila del discorso tenute in piedi da una mitica cassapanca d'un antenata strega, a detta del Cannavò finita al rogo "perché cucinava l'agnello in tempi di Quaresima"... Qui un po' d'originalità nella ricerca di escamotage letterari va riconosciuta: par quasi di percepirla, la stizza per non aver potuto ricorrere al vecchio ed abusato trucco del manoscritto ritrovato! Ci aveva già pensato quel cialtrone del Manzoni, oh rabbia...!
Alessandro Cannavò, nella fòga del dir bene, qualifica il librone come "un pezzo di storia d’Italia fatta da povera gente, per lo più indigenti e analfabeti". Davvero? A noi non risulta che "indigenti ed analfabeti" possedessero i tanti oggetti di lusso utilizzati come pezze d'appoggio per la narrazione, o se la facessero praticamente da pari a pari con gli appartenenti alle classi sociali sideree come il Thomas Jefferson citato. Chi scrive gli antenati indigenti li ha avuti sul serio (sull'analfabetismo non sapremmo dire, ma c'è poco da illudersi): da un paese delle Dolomiti alla New York di fine '800, a lasciare prima la salute e poi la pelle per la tubercolosi, a mezza dozzina per volta, in lavori infami come quello dello stracciaiolo, senza che nessuno si pigliasse la briga di raccontarne la storia. A far la guerra sull'Ortigara -mangiare e munizioni un giorno sì e l'altro speriamo- per gentile concessione di qualche re cattolicissimo.
La parola passa infine al curatore letterario della Fallaci; ci fa sapere che "il materiale di ricerca accumulato per costruire questa saga è portentoso", il che attesta nuovamente le buone competenze della giornalista e rafforza ancora di più le nostre convinzioni. Nell'agosto 2006 Oriana Fallaci gli avrebbe raccomandato, riguardo a quest'ultimo librone, di pubblicarlo: “Oh, ma che tu sei rincitrullito?!? Certo che lo devi pubblicare. Controlla che non ci siano puttanate e pubblicalo!”. Auguri, verrebbe da dire. E difatti ci vien graziosamente comunicato che "qualche berciata da Lassù è già stata messa in conto".
Noi, al caso, ne avremmo se mai messa in conto qualcuna da Laggiù. Prudenza e realismo non sono mai troppi.