Inutilvisori a rate
 
 
Tutti i santi giorni, in una cassetta postale che non serve più a nulla o quasi atterrano i depliant formato A3 di centri commerciali e supermercati. Una moda rilanciata dopo anni di oblio quella di presentare oggetti e prezzi a grossi caratteri, e tipica a nostro ricordare dei periodi di crisi nera. Questa volta, però, c'è una novità che dovrebbe allarmare sul serio.
Ognuno dei rincretinitori illustrati in questa mezza pagina viene presentato con in primo piano il prezzo di rateazione; il totale è in nero, considerevolmente più piccolo. E non si tratta certo di importi enormi: ricordiamo bene un tempo, non troppo lontano, in cui nessuno si sarebbe sognato di indebitarsi -anzi, di "fare il finanziamento", come va di moda dire, che sembra tutta un'altra cosa- per il privilegio di farsi riempire la testa di stronzate da uno di questi affari. Le cose sono cambiate, evidentemente. Tanto cambiate che, col potere d'acquisto caduto sotto i piedi e con la soddisfazione di necessità vitali come il lavoro e la casa lasciate praticamente a Padre Pio, ci sono persone capaci di indebitarsi per 7 (sette) anni dopo aver firmato un foglio fitto di righe piccole, consegnando nome, cognome, domicilio e quant'altro all'ammasso del "credito al consumo", se ancora non l'hanno fatto.
Un comportamento economico, questo, che negli Stati Uniti d'America ha spedito alcuni milioni di persone "sulle spalle dell'assistenza sociale", come dicono gli statunitensi nei loro film; ciò nonostante, assumere un comportamento economicamente responsabile ed invitare gli altri a fare lo stesso è cosa considerata con estrema sufficienza nella vita ordinaria e il nome di Serge Latouche non suggerisce niente a nessuno. "La merce ci è entrata nei polmoni", avvertiva trent'anni fa Gianfranco Manfredi; è stato buon profeta, inascoltato come sempre!

"Di fronte alla crisi economica e sociale del modello di sviluppo occidentale diventa realistico criticare la ragione stessa dell’economicismo moderno: lo sviluppo illimitato e la mercificazione dell’esistente. Si tratta di cominciare a far “decrescere” l’idea che lo “sviluppo” degli scambi mercantili sia una legge naturale della vita. Il messaggio che pubblicità e media diffondono continuamente è che il benessere passa attraverso il consumo, ovvero attraverso l’appropriazione continua di una quantità sempre maggiore di oggetti. L’assimilazione di tale messaggio dalle coscienze equivale ad una vera e propria colonizzazione dell’immaginario simbolico, dunque non a torto si può parlare di un mutamento antropologico (l’uomo concepito esclusivamente come produttore-consumatore). Per rompere con il primato dell’economia, è necessario imparare ed essere capaci di dire: “mi basta ciò che ho” piuttosto che “voglio sempre di più!”.

Alain de Benoist, Comunità e decrescita - Critica della ragion mercantile (Arianna, 2006)