Il 10 ottobre 2010 un attacco della resistenza afghana coinvolge soldati inviati sul posto dallo stato che occupa la penisola italiana. La macchina mediatica e politica del cordoglio obbligatorio non gira più. Il fatto che il governo dello stato che occupa la penisola italiana si ostini a gettare denaro, risorse e militari nella voragine afghana da una parte non smentisce certo il fatto che la storia sia in grado di dare lezioni: conferma piuttosto la lunare incompetenza anche di chi, nello stato che occupa la penisola italiana, è rivestito della responsabilita di decidere a chi, quando e perché muovere guerra.
La screenshot qui sopra ritrae la headline di una gazzetta pubblicata nella penisola italiana. Si tratta di una delle gazzette più diffuse, "Repubblica", considerata chissà perché invisa all'esecutivo in carica. Il motivo per cui "Repubblica" sia ogni giorno al centro del ringhiare governativo non è facile da spiegare: quanto a superficialità, idiozia, inconsistenza, dabbenaggine e bassezza non ha nulla da invidiare al gazzettame apertamente schierato.
In breve, i fatti. L'Afghanistan è stato aggredito ed occupato nell'ottobre del 2001 dagli Stati Uniti d'AmeriKKKa e dai loro "alleati": dicevano i gazzettieri che era obbligatorio rivoltare il paese come un calzino ("...We won't leave any stone unturned...") a caccia dei cenciosi barbuti che s'erano azzardati a restituire alla cittadinanza[1] alcuni isolati nel centro di New York. Avanzate fulminee, nemico dissolto eccetera eccetera.
Nell'ottobre del 2010 l'ingegnere civile saudita utilizzato come casus belli è ancora introvabile spionaggio, tecnologia e quattrini nonostante; il che basterebbe per trarre conclusioni molto drastiche sull'intera faccenda, anche senza approfondire le tematiche legate a quella che è a tutti gli effetti una riedizione del Big Game ottocentesco. In questi nove anni le "perdite collaterali", come vengono gazzettieramente definiti i civili ammazzati a freddo, sono state migliaia. Sulle condizioni, sul numero e sulle perdite dei combattenti afghani nessuno si cura di divulgare statistiche: si sa soltanto, e sporadicamente, che cadono a centinaia combattendo in condizioni difficili da immaginare contro la macchina bellica più costosa mai esistita. Nel corso degli ultimi nove anni l'AmeriKKKa ha inondato l'Asia centrale di denaro e di armi che hanno, ovviamente, preso le destinazioni più varie: se si pensa che lo spionaggio amriki tentò affannosamente per anni ed anni di rientrare in possesso del centinaio di missili Stinger consegnati alla resistenza antisovietica, si ha a malapena un'idea delle implicazioni di questo solo fatto. Gli aggressori hanno poi calpestato innumerevoli volte la sovranità dei paesi confinanti a cominciare dal Pakistan, potenza nucleare vera a differenza della Repubblica Islamica dell'Iran, della cui "democrazia" e "stabilità" e "sicurezza" nessuno pare interessarsi. Alla vigilia dell'aggressione un mangiatore di hamburger mandò a dire al leader pakistano che al minimo diniego l'intero paese sarebbe stato "ridotto all'età della pietra". Si tenga inoltre presente che tutta la macchina organizzativa responsabile della guerra risponde in ultima analisi ad un corpo elettorale che in molti casi non è in grado di indicare l'Afghanistan sulla carta geografica.
Nel frattempo la rappresentazione mediatica dell'Afghanistan non ha certo perso niente in termini di pressappochismo servile, di cialtroneria, di malafede. Nel "paese" dove si mangiano spaghetti, così come in tutto l'"occidente", coltivare l'ignoranza e l'idiozia del corpo elettorale è una questione di fondamentale importanza, e nel caso dell'aggressione all'Afghanistan l'operazione si è attestata su un ridotto numero di traduzioni operazionali, sostanzialmente le stesse dal 2001 ad oggi.
In sostanza, il gazzettaio ha sempre riportato con costanza ed impegno degni di molto migliori cause che l'aggressione all'Afghanistan avrebbe l'obiettivo di "cacciare i talebani" e di "aiutare il popolo afgano sulla strada della democrazia". Si potrebbe obiettare che perfino i sovietici seppero trovare giustificativi più credibili, ma non è questo il limite più criminale della propaganda. Il limite criminale della propaganda sta in primo luogo nella sistematica negazione dei veri obiettivi dell'aggressione, a quanto pare assolutamente incoffessabili. In secondo luogo c'è la rappresentazione mediatica del "nemico", costruita in modo da fare della massa indistinta dei "talebani" qualcosa di estraneo alla realtà sociale e geopolitica dell'Afghanistan. Partendo da questi due assunti è possibile cominciare ad apprezzare i titoli della screenshot in tutta la loro demenzialità.
Nell'ottobre del 2010 un convoglio di militari occupanti è stato attaccato. Da quelle parti è roba d'ogni giorno: le forze di occupazione consumano quantità folli di rifornimenti[2] che viaggiano in colonne poco difendibili, e se qualcuno decide di distruggere una ventina di autobotti può farlo anche con mezzi molto esigui ed una notizia del genere finisce, quando ci finisce, in qualche newswire di second'ordine accanto all'ennesima strage di civili ad opera di qualche "bomba intelligente" o di qualche aereo senza pilota. Negli ultimi anni pare che la passione mediatica per le bombe e per la loro intelligenza sia venuta meno, per lasciare posto a quella per gli aerei comandati a distanza. Spariti dalla divulgazione gli elicotteri, in Iraq ed in Afghanistan abbattuti a decine praticamente a sassate.
Questa volta però le cose sono andate diversamente perché nell'attacco sono morti quattro soldati mandati a fare stone turning in Afghanistan dallo stato che occupa la penisola italiana. La notizia riceve il sistematico risalto che hanno avuto tutte le notizie di questo genere: l'autoreferenzialità mediatica ed istituzionale del gazzettaio e dei "governanti" in questi casi emerge pienamente perché la partecipazione all'occupazione dell'Afghanistan non ha alcuna eco nei conversari quotidiani, al di là degli ambienti direttamente interessati. Non l'ha mai avuta e non la avrà mai. La conta mediatica delle vittime richieste dalla servile partecipazione alle guerre d'aggressione volute dall'AmeriKKKa ha preso da molto tempo l'aspetto di un'operazione routinaria, per quanto risalto il gazzettaio possa dare alla cosa.
Gli intenti della rappresentazione mediatica di eventi del genere sono molto evidenti. I funerali delle vittime dell'attacco a Nassirya servirono esplicitamente a stroncare il dissenso: era un dovere ineludibile unirsi al lutto di stato e la marmaglia politicante pretese dappertutto drappi a bande verticali verde, bianca e rossa con il nastro nero. Lo stato che occupa la penisola italiana ha una costituzione in cui si specifica che quelli sarebbero i colori di una certa "bandiera nazionale". In quei giorni del 2003 il dubbio ed il realismo avevano, gazzettieramente parlando, la stessa legittimità zero che hanno a tutt'oggi: a reti unificate fu statuito che la mancata esposizione della bandiera su descritta o la minima obiezione macchiavano il loro autore di correità in strage. Questa scoperta tendenza all'indottrinamento è rimasta maggioritaria ed è uno dei moltissimi motivi per cui i mass media peninsulari sono generalmente oggetto di considerazioni apertamente sprezzanti ad opera di chiunque abbia un minimo di cognizione di causa in una qualunque delle materie sfiorate quotidianamente dai gazzettieri.
La screenshot su esposta mostra un'esposizione di contenuti ai limiti dell'autolesionistico e praticamente al di là del commentabile.
I Talebani (qualunque cosa siano, perché non è certo "Repubblica" la sede adatta alla ricerca di certe informazioni): "Li abbiamo uccisi noi". Si noti che il giorno dopo l'arrivo degli yankee a Kabul nel 2001 la stessa gazzetta dava i "talebani" per scomparsi dalla scena sociale e politica del paese, dalla sera alla mattina.
"La Russa chiede bombe sugli aerei". Questo La Russa sarebbe il ministro della guerra dello stato che occupa la penisola italiana. Si tratta di un individuo che propone il cotone nelle orecchie come rimedio all'inquinamento acustico. Sulla sua competenza in merito alle guerre in corso, che possiamo supporre allineata a quella dell'"occidentalista" medio, è bene non trarre conclusioni.
"I militari al fronte: qui siamo in guerra". Ma pensa.
Si viene anche a sapere che i militari sono, in quale percentuale non si sa, autoschedati su Facebook. Così in occasioni come questa il gazzettiere cui tocca scrivere in proposito può venire a sapere che a questo o a quello piacevano la birra fredda o dormire la domenica fino a tardi senza neanche schiodarsi dalla poltroncina dell'ufficio.
[1] La marmaglia "occidentalista" utilizza questa espressione ogni volta che un centro sociale o una casa occupata o uno squat o qualunque cosa sfugga al suo securitarismo mestruale viene distrutto insieme agli anni di vita e di passione di chi vi si è impegnato. Vediamo un po' che effatto fa se la si toglie dal contesto abituale. Va da sé che nel bel mezzo del democracy export, una roba che contempla anche l'andare ad insegnare agli altri come si sta al mondo, il paese più securitario del mondo si ritrova in casa qualcosa come un milione di giovani armati.
[2] Questa è una delle caratteristiche della "guerra asimmetrica" con un aggressore che dispone di quantità enormi di ogni cosa ed un aggredito pressoché sprovvisto di tutto. Pare che in più di un'occasione pattuglie yankee abbiano passato grossi guai sul terreno perché per rintracciarle era sufficiente seguire la scia di rifiuti che si lasciavano dietro.
In breve, i fatti. L'Afghanistan è stato aggredito ed occupato nell'ottobre del 2001 dagli Stati Uniti d'AmeriKKKa e dai loro "alleati": dicevano i gazzettieri che era obbligatorio rivoltare il paese come un calzino ("...We won't leave any stone unturned...") a caccia dei cenciosi barbuti che s'erano azzardati a restituire alla cittadinanza[1] alcuni isolati nel centro di New York. Avanzate fulminee, nemico dissolto eccetera eccetera.
Nell'ottobre del 2010 l'ingegnere civile saudita utilizzato come casus belli è ancora introvabile spionaggio, tecnologia e quattrini nonostante; il che basterebbe per trarre conclusioni molto drastiche sull'intera faccenda, anche senza approfondire le tematiche legate a quella che è a tutti gli effetti una riedizione del Big Game ottocentesco. In questi nove anni le "perdite collaterali", come vengono gazzettieramente definiti i civili ammazzati a freddo, sono state migliaia. Sulle condizioni, sul numero e sulle perdite dei combattenti afghani nessuno si cura di divulgare statistiche: si sa soltanto, e sporadicamente, che cadono a centinaia combattendo in condizioni difficili da immaginare contro la macchina bellica più costosa mai esistita. Nel corso degli ultimi nove anni l'AmeriKKKa ha inondato l'Asia centrale di denaro e di armi che hanno, ovviamente, preso le destinazioni più varie: se si pensa che lo spionaggio amriki tentò affannosamente per anni ed anni di rientrare in possesso del centinaio di missili Stinger consegnati alla resistenza antisovietica, si ha a malapena un'idea delle implicazioni di questo solo fatto. Gli aggressori hanno poi calpestato innumerevoli volte la sovranità dei paesi confinanti a cominciare dal Pakistan, potenza nucleare vera a differenza della Repubblica Islamica dell'Iran, della cui "democrazia" e "stabilità" e "sicurezza" nessuno pare interessarsi. Alla vigilia dell'aggressione un mangiatore di hamburger mandò a dire al leader pakistano che al minimo diniego l'intero paese sarebbe stato "ridotto all'età della pietra". Si tenga inoltre presente che tutta la macchina organizzativa responsabile della guerra risponde in ultima analisi ad un corpo elettorale che in molti casi non è in grado di indicare l'Afghanistan sulla carta geografica.
Nel frattempo la rappresentazione mediatica dell'Afghanistan non ha certo perso niente in termini di pressappochismo servile, di cialtroneria, di malafede. Nel "paese" dove si mangiano spaghetti, così come in tutto l'"occidente", coltivare l'ignoranza e l'idiozia del corpo elettorale è una questione di fondamentale importanza, e nel caso dell'aggressione all'Afghanistan l'operazione si è attestata su un ridotto numero di traduzioni operazionali, sostanzialmente le stesse dal 2001 ad oggi.
In sostanza, il gazzettaio ha sempre riportato con costanza ed impegno degni di molto migliori cause che l'aggressione all'Afghanistan avrebbe l'obiettivo di "cacciare i talebani" e di "aiutare il popolo afgano sulla strada della democrazia". Si potrebbe obiettare che perfino i sovietici seppero trovare giustificativi più credibili, ma non è questo il limite più criminale della propaganda. Il limite criminale della propaganda sta in primo luogo nella sistematica negazione dei veri obiettivi dell'aggressione, a quanto pare assolutamente incoffessabili. In secondo luogo c'è la rappresentazione mediatica del "nemico", costruita in modo da fare della massa indistinta dei "talebani" qualcosa di estraneo alla realtà sociale e geopolitica dell'Afghanistan. Partendo da questi due assunti è possibile cominciare ad apprezzare i titoli della screenshot in tutta la loro demenzialità.
Nell'ottobre del 2010 un convoglio di militari occupanti è stato attaccato. Da quelle parti è roba d'ogni giorno: le forze di occupazione consumano quantità folli di rifornimenti[2] che viaggiano in colonne poco difendibili, e se qualcuno decide di distruggere una ventina di autobotti può farlo anche con mezzi molto esigui ed una notizia del genere finisce, quando ci finisce, in qualche newswire di second'ordine accanto all'ennesima strage di civili ad opera di qualche "bomba intelligente" o di qualche aereo senza pilota. Negli ultimi anni pare che la passione mediatica per le bombe e per la loro intelligenza sia venuta meno, per lasciare posto a quella per gli aerei comandati a distanza. Spariti dalla divulgazione gli elicotteri, in Iraq ed in Afghanistan abbattuti a decine praticamente a sassate.
Questa volta però le cose sono andate diversamente perché nell'attacco sono morti quattro soldati mandati a fare stone turning in Afghanistan dallo stato che occupa la penisola italiana. La notizia riceve il sistematico risalto che hanno avuto tutte le notizie di questo genere: l'autoreferenzialità mediatica ed istituzionale del gazzettaio e dei "governanti" in questi casi emerge pienamente perché la partecipazione all'occupazione dell'Afghanistan non ha alcuna eco nei conversari quotidiani, al di là degli ambienti direttamente interessati. Non l'ha mai avuta e non la avrà mai. La conta mediatica delle vittime richieste dalla servile partecipazione alle guerre d'aggressione volute dall'AmeriKKKa ha preso da molto tempo l'aspetto di un'operazione routinaria, per quanto risalto il gazzettaio possa dare alla cosa.
Gli intenti della rappresentazione mediatica di eventi del genere sono molto evidenti. I funerali delle vittime dell'attacco a Nassirya servirono esplicitamente a stroncare il dissenso: era un dovere ineludibile unirsi al lutto di stato e la marmaglia politicante pretese dappertutto drappi a bande verticali verde, bianca e rossa con il nastro nero. Lo stato che occupa la penisola italiana ha una costituzione in cui si specifica che quelli sarebbero i colori di una certa "bandiera nazionale". In quei giorni del 2003 il dubbio ed il realismo avevano, gazzettieramente parlando, la stessa legittimità zero che hanno a tutt'oggi: a reti unificate fu statuito che la mancata esposizione della bandiera su descritta o la minima obiezione macchiavano il loro autore di correità in strage. Questa scoperta tendenza all'indottrinamento è rimasta maggioritaria ed è uno dei moltissimi motivi per cui i mass media peninsulari sono generalmente oggetto di considerazioni apertamente sprezzanti ad opera di chiunque abbia un minimo di cognizione di causa in una qualunque delle materie sfiorate quotidianamente dai gazzettieri.
La screenshot su esposta mostra un'esposizione di contenuti ai limiti dell'autolesionistico e praticamente al di là del commentabile.
I Talebani (qualunque cosa siano, perché non è certo "Repubblica" la sede adatta alla ricerca di certe informazioni): "Li abbiamo uccisi noi". Si noti che il giorno dopo l'arrivo degli yankee a Kabul nel 2001 la stessa gazzetta dava i "talebani" per scomparsi dalla scena sociale e politica del paese, dalla sera alla mattina.
"La Russa chiede bombe sugli aerei". Questo La Russa sarebbe il ministro della guerra dello stato che occupa la penisola italiana. Si tratta di un individuo che propone il cotone nelle orecchie come rimedio all'inquinamento acustico. Sulla sua competenza in merito alle guerre in corso, che possiamo supporre allineata a quella dell'"occidentalista" medio, è bene non trarre conclusioni.
"I militari al fronte: qui siamo in guerra". Ma pensa.
Si viene anche a sapere che i militari sono, in quale percentuale non si sa, autoschedati su Facebook. Così in occasioni come questa il gazzettiere cui tocca scrivere in proposito può venire a sapere che a questo o a quello piacevano la birra fredda o dormire la domenica fino a tardi senza neanche schiodarsi dalla poltroncina dell'ufficio.
[1] La marmaglia "occidentalista" utilizza questa espressione ogni volta che un centro sociale o una casa occupata o uno squat o qualunque cosa sfugga al suo securitarismo mestruale viene distrutto insieme agli anni di vita e di passione di chi vi si è impegnato. Vediamo un po' che effatto fa se la si toglie dal contesto abituale. Va da sé che nel bel mezzo del democracy export, una roba che contempla anche l'andare ad insegnare agli altri come si sta al mondo, il paese più securitario del mondo si ritrova in casa qualcosa come un milione di giovani armati.
[2] Questa è una delle caratteristiche della "guerra asimmetrica" con un aggressore che dispone di quantità enormi di ogni cosa ed un aggredito pressoché sprovvisto di tutto. Pare che in più di un'occasione pattuglie yankee abbiano passato grossi guai sul terreno perché per rintracciarle era sufficiente seguire la scia di rifiuti che si lasciavano dietro.
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