Il testo di Stefano Beltrame non tratta soltanto del governo di Mohammad Mossadeq e della "operazione Ajax" che portò alla sua destituzione nel 1953 ad opera della CIA statunitense, ma costituisce una valida seppur schematica introduzione alla storia iraniana del XX secolo, tratteggiata superando gli aspetti folkloristici e da "cronaca rosa" che a tutt'oggi nella narrativa corrente si alternano ai toni monocordi con cui la Repubblica Islamica viene presentata dalla "libera" informazione occidentale.
Si tratta di aspetti fin troppo noti alle persone serie perché li si debba ribadire in questa sede.
Il libro è centrato in buona parte sul rapporto fra potere politico, interessi stranieri e mercato petrolifero nell'Iran dei primi cinquant'anni del XX secolo; l'autore, pur nell'arco temporale relativamente limitato preso in considerazione, identifica situazioni e contesti destinati a ricorrere frequentemente nella storia contemporanea del paese.
Nella prefazione curata da Roberto Toscano, ambasciatore nella Repubblica Islamica dell'Iran fra il 2003 e il 2008, si fornisce già una chiave di lettura indispensabile alla comprensione di uno degli aspetti peculiari della storia contemporanea del paese e del suo assetto istituzionale. La rivoluzione del 1978 -che non nacque certo in un giorno- fu guidata e vinta da un clero sciita che l'ayatollah Khomeini spinse ad uscire da un atteggiamento quietista e passivo; il clero sottrasse alla sinistra la bandiera della modernizzazione e la rese accettabile alla maggioranza degli iraniani radicandola nell'etica e nelle istituzioni dell'Islam sciita.
Il primo capitolo affronta l'attualità di Mohammed Mossadeq a trent'anni dalla vittoria di una rivoluzione che è sfuggita all'inquadramento ideologico occidentale calibrato sulle dinamiche della guerra fredda; secondo Beltrame gli avvenimenti del 1953, che comportarono la smaccata e palese intromissione straniera negli affari interni di uno stato sovrano, costituiscono un precedente fondamentale per la comprensione degli avvenimenti successivi, con particolare riguardo all'occupazione dell'ambasciata USA di Tehran nel 1979. L'uscita dal paradigma interpretativo legato alle logiche del confronto fra est ed ovest è necessario per una corretta interpretazione della figura del Primo Ministro iraniano, difficilmente tacciabile di filocomunismo, e per tenere conto del sostegno che gli venne da parte del clero sciita.
Salutato dal Times come uomo dell'anno nel 1951, Mossadeq fu invece ritratto in modo meno agiografico dai britannici, all'epoca convinti di poter limitare i danni a un impero in via di dissoluzione e intenzionati a mantenere -se non a rafforzare- la propria presenza in Iran. In capo a pochi mesi con lo scoppio della guerra in Corea anche gli USA cambiarono atteggiamento, per il timore che Mossadeq e i suoi compagni di strada del Partito dei Lavoratori portassero l'Iran all'instabilità politica e che i sovietici approfittassero della situazione. La contrapposizione fra est ed ovest in Iran seguiva in realtà una contrapposizione nord sud, durata fino alla fine della seconda guerra mondiale e in cui a contendersi l'influenza sul paese erano state la Russia (zarista prima, sovietica poi) e l'impero britannico.
Il secondo capitolo espone le vicende storiche persiane dell'inizio del XX secolo trattando del sistema delle concessioni economiche esclusive fatte ad organizzazioni esterne al paese da una monarchia che controllava effettivamente solo la capitale e gli immediati dintorni, le prime manifestazioni a Tehran -sostenute dal clero sciita- che indussero lo shah a concedere la costituzione nel 1906 e la successiva invasione russa del paese compiuta con l'acquiescenza degli inglesi, che da tempo avevano provveduto a tutelare i propri interessi accordandosi proprio con gli invasori e lasciando al loro destino per due volte, nel 1908 e nel 1911, i costituzionalisti iraniani. Negli stessi anni la presenza statunitense inizia a farsi concreta, con l'arrivo del banchiere Morgan Shuster chiamato dalla Majlis per rivestire il ruolo di tesoriere generale. Privo di sudditanze di sorta, Shuster denuncerà poi le intromissioni anglorusse negli affari persiani. Il 1901 segna l'inizio delle concessioni petrolifere; William Knox D'Arcy, britannico, è il primo concessionario tenuto a versare allo shah royalties pari al sedici per cento. Il petrolio viene scoperto a Masjed e Suleiman nel 1908; nel 1910 la Anglo Persian Oil Company (APOC) ha già 2500 dipendenti e nel 1912 inizia la costruzione del primo oleodotto e della raffineria di Abadan. Lo stato Qajar, ancora debole, subì una prima guerra mondiale in cui il territorio nazionale fu usato come terreno di scontro; molti ayatollah sciiti presero però le armi e combatterono in Iraq in bande irregolari, contro gli inglesi e per la difesa dei luoghi sacri di Najaf e di Karbala, segnando di fatto la fine del tradizionale quietismo del clero mentre l'attivismo degli agenti segreti tedeschi provocava un intervento russo nel nord del paese. Lo schema della contrapposizione fra nord e sud, fra imperialismo russo e imperialismo britannico, caratterizzò il dopoguerra: con l'accordo anglopersiano del 1919 gli inglesi formalizzarono in pratica un protettorato sul paese.
Al termine della prima guerra mondiale l'economia del petrolio, cui è dedicato il terzo capitolo, aveva già assunto in Persia un ruolo centrale; l'APOC, le cui infrastrutture erano sorvegliate direttamente dall'esercito britannico, divenne uno stato nello stato su cui Tehran aveva poca autorità. Lo scritto si compendia di uno excursus sulla storia dell'industria petrolifera statunitense e sulla sua penetrazione in Medio Oriente fino agli anni successivi al 1930.
Nel quarto capitolo sono esposte le vicende personali dello shah Reza, di Mohammed Mossadeq e i rapporti tra loro. L'accordo con i sovietici e la nomina di Mossadeq a ministro delle finanze precedettero l'azione di esecutivi di breve durata, a volte con l'influente ruolo di consulenti stranieri; il rigore amministrativo di Mossadeq gli causò una rapida messa da parte, anche se la relativa popolarità di cui godeva gli permise di rimanere in politica almeno come deputato. Nel 1921 gli statunitensi iniziarono a ottenere concessioni petrolifere nel nord del paese, mentre le rivalità ai vertici dello stato mettevano in discussione anche le basi del suo ordinamento. La lontananza dello shah dal paese e gli accordi con il clero sciita consentirono nel 1926 a Reza Khan di ottenere la corona al posto dell'ultimo Qajar, col nome di Reza Pahlavi. Nel 1927 furono abolite le capitolazioni a favore dei cittadini stranieri; un obiettivo che Mossadeq perseguiva da anni. In contemporanea però lo shah intraprende una campagna di repressione del dissenso di cui rimane vittima l'ayatollah Modarres, contrario alla laicizzazione forzata dei costumi. Assassinato in carcere nel 1937, diventerà una figura di riferimento dell'Iran rivoluzionario. Ridotta al minimo l'influenza clericale sulla vita politica, Reza shah intensifica i contatti con molte potenze straniere per controbilanciare la sempre forte presenza britannica. Nel 1836 l; una disputa sulle royalties determina nel 1932 il ritiro della concessione alla APOC. Le relazioni con i britannici vengono riprese l'anno successivo dopo aver contrattato termini più vantaggiosi. Nel 1936 Persia cambia ufficialmente nome in Iran, "terra degli ariani". La modernizzazione procede spedita in anni in cui Mossadeq adotta un profilo molto basso, di fatto ritirandosi dalla vita politica. Questo non gli evita di essere brevemente arrestato nel 1940. I rapporti con l'APOC peggiorano con l'inizio della guerra al punto che gli inglesi, convinti che l'influenza tedesca sull'Iran sia predominante, decidono di occupare il paese.
Le vicende belliche sono argomento del quinto capitolo. Nel 1941 l'Iran era già isolato dalle potenze dell'Asse. Unione Sovietica e Regno Unito se ne spartirono l'occupazione: controllare l'Iran agevolava di molto il passaggio di materiali diretti all'URSS e le infrastrutture del paese, che conobbe per questo una lunga battuta d'arresto nello sviluppo economico, vennero asservite alle esigenze belliche altrui. L'occupazione fu percepita dalla popolazione come umiliante (così come estranea alla vita e agli interessi del paese fu considerata la conferenza interalleata di Tehran del 1943) e rivelò la fragilità delle modernizzazioni autoritarie e forzate intraprese dalla monarchia. Alla deposizione di un Reza considerato come minimo inaffidabile si accompagnò anche l'arrivo di truppe e consulenti statunitensi incaricati di riorganizzare l'esercito e la gendarmeria. Il capitolo si chiude descrivendo le spinte centrifughe del dopoguerra di cui furono protagonisti l'indipendentismo curdo e la repubblica popolare azera, e il ritorno in politica di Mossadeq, rieletto in parlamento nel 1944 (ma non nelle successive elezioni del 1947) e instancabile denunciatore delle intromissioni straniere nella sovranità iraniana.
Il sesto capitolo descrive l'esperienza governativa del fronte popolare guidato da Mossadeq, rieletto trionfalmente nel 1950 dopo aver contrastato i plateali tentativi di manipolare i risultati portati avanti dallo shah e dai settori filobritannici del mondo politico e statale. Il fronte, costituito da partiti nazionalpopolari e deputati indipendenti, avrà un appoggio solo strumentale da parte del partito di sinistra Tudeh e troverà invece alleati nel clero -nella persona dell'ayatollah Kashani- e con esso l'appoggio delle masse che esso era (ed è a tutt'oggi) in grado di mobilitare. Nel corso dello stesso anno l'arrivo a Tehran di notizie sugli accordi stretti in Arabia Saudita con le compagnie petrolifere statunitensi causano un forte inasprimento del sentimento antibritannico; in questo contesto la Majlis decide la nazionalizzazione della Anglo Iranian Oil Company.
Nel settimo capitolo Beltrame espone il contesto e le vicende per cui, nominato Primo Ministro per le pressioni della piazza e del parlamento, Mossadeq portò a termine la nazionalizzazione del petrolio il 1 maggio 1951 suscitando reazioni furibonde nel Regno Unito (che reagì innanzitutto bloccando il porto di Abadan) e almeno all'inizio molto più concilianti negli USA. Irrigiditosi sulle proprie posizioni, Mossadeq non seppe approfittare dell'apertura di credito e col 1952 gli USA non si sarebbero più comportati in modo imparziale. L'A. inquadra le vicende iraniane nel più ampio quadro mediorientale e mondiale, caratterizzato dalla contrapposizione fra blocchi e dal crepuscolo di un impero che i britannici cercheranno di conservare manu militari riuscendo soltanto ad accelerarne la fine. Nel 1952 Mossadeq deve affrontare le conseguenze del blocco britannico, prima fra tutte il crollo delle esportazioni di petrolio, un primo logoramento della propria base parlamentare minacciata anche dalla concorrenza da sinistra del Tudeh e concreti tentativi di assassinio a opera di formazioni staccatesi dall'ambiente di Kashani. Mossadeq rifiuta la mediazione della Banca Mondiale nella contesa con i britannici, impedendo di fatto la ripresa delle esportazioni e con esse dell'economia. Nello stesso anno dovette difendere le ragioni del proprio paese davanti alla Corte dell'Aja, cui si presentò dopo aver fermato un lungo processo elettorale appena sicuro della maggioranza dei seggi. In Olanda Mossadeq obiettò che una società privata come l'AIOC non aveva diritto di adire, ottenendo ragione.
L'ottavo capitolo descrive apogeo e declino della popolarità di Mossadeq, richiamato al governo nell'estate del 1952 da un'autentica e sanguinosa sommossa popolare cui si unisce l'esercito dopo che lo shah aveva cercato di nominare un altro Primo Ministro assai più malleabile e condiscendente verso gli interessi britannici. Il governo conservatore britannico cerca l'alleanza degli USA per la tutela dei propri interessi e nel clima della guerra fredda a Washington si comincia a temere che l'Iran finisca in mano ai comunisti. Ad ottobre 1952 Mossadeq ottiene l'abolizione del senato -in cui allignava la cospirazione- il controllo dell'esercito e la chiusura dell'ambasciata britannica. Con lo shah ridotto a mera figura di rappresentanza il suo potere sembrerebbe inattaccabile. Il paese invece è alla bancarotta, le riforme introdotte per decreto risultano sgradite ad ampi settori della società, parte della base vorrebbe l'instaurazione della repubblica e si rivolta contro Mossadeq, così come parte dell'esercito, in cui abbondano gli ufficiali pronti a raccogliere le istanze di latifondisti e clero quietista. A fronte di un paese in perenne emergenza gli USA considerano fondati i propri timori e la CIA accoglie l'invito britannico ad occuparsi della situazione.
Nel nono capitolo si esaminano i principali indizi del precipitare della popolarità del Primo Ministro. Il timore che Mossadeq volesse instaurare una repubblica provocò manifestazioni capeggiate da Kashani e dal clero (quietista e non), culminate in un tentativo di linciaggio nel febbraio 1953. Mossadeq accettò il sostegno esterno del Tudeh, consolidando la propria maggioranza ma alimentando le accuse di filocomunismo. Dopo l'assassinio del capo della polizia ad opera di una congiura Mossadeq teme di finire in minoranza e si appella al popolo perché avalli lo scioglimento della Majlis tramite referendum. L'usurpazione di poteri che non gli spettavano e la rapida efficienza della consultazione dal risultato scontato attirarono su Mossadeq l'accusa di voler instaurare un assetto dittatoriale, e solo il fatto che pochi giorni dopo l'operazione Ajax mostrò quanto reali fossero i timori che le ingerenze straniere si spingessero fino al colpo di stato dimostrò quanto fondati fossero i suoi timori. Nel decimo capitolo vengono illustrate motivazioni e svolgimento della operazione Ajax per il rovesciamento del governo Mossadeq. Da tempo arrivati alla conclusione che Mossadeq non fosse -nel migliore dei casi- in grado di gestire la situazione, gli USA stanziano uomini e denaro per un colpo di stato che fallisce in prima istanza nella notte fra il 15 e il 16 agosto, con lo shah costretto a riparare in Europa. Senza lo shah, il Tudeh ha a portata di mano l'instaurazione della repubblica e il suo mancato prendere l'iniziativa è ancora oggi materia di discussione fra gli storici. Nelle successive manifestazioni di piazza agenti della CIA e manifestanti al soldo degli USA si comportano con estrema violenza, spaventando i moderati e inducendoli a reagire passando dalla parte dello shah. Una contromanifestazione del giorno successivo, ingrossata da reparti militari e preceduta da una conferenza stampa in cui vengono mostrati gli ordini di dimissione destinati a Mossadeq e firmati dallo shah ottiene la resa del Primo Ministro. Nei giorni seguenti Mossadeq venne tratto in arresto -morirà quattordici anni dopo, ai domiciliari- e lo shah rientrò nel paese. La CIA aveva compiuto il proprio capolavoro. In capo a un anno lo shah e la nuova Majlis ripresero i contatti diplomatici con il Regno Unito e un consorzio della AIOC con compagnie petrolifere statunitensi ed europee riprese a sfruttare i giacimenti in cambio di metà dei profitti.
Nell'epilogo del volume Beltrame afferma che la ricostruzione degli eventi risente ancora dell'esistenza di versioni ufficiali opposte e inconciliabili: martire della democrazia, apprendista stregone o traditore a seconda delle fonti e delle valutazioni politiche, la figura di Mossadeq non sarebbe ancora compiutamente storicizzabile, specie se si evita di prescindere dal contesto internazionale in cui si sviluppò il suo percorso politico.
Oltre ad un apparato cronologico, bibliografico e iconografico, il libro riporta in chiusura il testo desecretato sull'operazione Ajax scritto da Donald Wilber nel 1954 e pubblicato dal New York Times soltanto nel 2000.


Stefano Beltrame - Mossadeq. L'Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica. Rubbettino 2009.