
Traduzione da Strategic Culture, 5 maggio 2025.
La versione corrente, sia in Ucraina che in Iran, è che il presidente Trump vuole arrivare a un accordo. In tutti e due i casi la cosa è fattibile, ma sembra che Trump sia comunque riuscito a mettersi con le spalle al muro. Trump tiene a presentare la sua amministrazione come un qualcosa di più spiccio, di più cattivo e di molto meno incline ai sentimentalismi. Essa aspira ad affermarsi, a quanto sembra, anche come qualcosa di più centralizzato, coercitivo e radicale.
In politica interna definire l'ethos trumpiano in questi termini può anche essere fondato. In politica estera tuttavia Trump tergiversa. Il motivo non è chiaro, ma è una cosa che offusca le sue prospettive nei tre settori fondamentali per le sue aspirazioni di "pacificatore": l'Ucraina, l'Iran e Gaza.
Certamente Trump deve la sostanza del suo mandato al dilagante malcontento economico e sociale piuttosto che alla sua pretesa di essere un pacificatore; tuttavia gli obiettivi chiave della politica estera rimangono importanti per mantenere un buon livello di consenso e di inziativa.
Si potrebbe rispondere che nei negoziati internazionali un presidente ha bisogno di circondarsi di personalità determinate ed esperte in grado di sostenerlo. E Trump di queste personalità non ne dispone.
Prima mandare il suo inviato Witkoff a parlare con il presidente Putin, pare che il generale Kellogg abbia presentato a Trump una proposta di armistizio in stile Versailles, basata sull'idea che la Russia fosse alle corde: il piano era formulato in termini che sarebbero stati più appropriati a una capitolazione. La proposta di Kellogg sottintendeva anche l'idea che Trump avrebbe fatto a Putin un "grande favore", a toglierlo dal pantano ucraino in cui era andato a cacciarsi. Ed è proprio questa la linea che Trump ha adottato a gennaio. Dopo aver affermato che la Russia aveva perso in guerra un milione di uomini, Trump aveva aggiunto che "con il suo rifiutare ogni accordo, Putin sta distruggendo la Russia". Disse anche che l'economia russa era "alla rovina" e, cosa ancora più significativa, che avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di imporre sanzioni o dazi alla Russia. In un successivo post su Truth Social, Trump ha scritto: "Farò alla Russia, la cui economia sta crollando, e al presidente Putin, un FAVORE davvero grosso".
Debitamente imbeccato dai suoi, il presidente potrebbe aver pensato di offrire a Putin un cessate il fuoco unilaterale e, in men che non si dica, di arrivare rapidamente ad un accordo che avrebbe ascritto a proprio merito. Tutte le premesse su cui si basava il piano Kellogg -il fatto che la Russia soffrisse per le sanzioni e che la guerra ormai in stallo fosse costata enormi perdite- erano false. Nessuno nell'entourage di Trump ha quindi svolto le dovute verifiche sulla strategia di Kellogg? Sembra che -per pigrizia- abbiano preso come modello la guerra di Corea, senza stare neanche a chiedersi se si trattasse di un paragone appropriato o meno.
Nel caso della guerra di Corea il cessate il fuoco lungo la linea del fronte precedette le considerazioni politiche, che arrivarono solo in un secondo momento. E che a tutt'oggi permangono irrisolte.
Con questo insistere anzitempo per un cessate il fuoco immediato durante i colloqui con i funzionari russi a Riyadh, Trump li ha invitati a rifiutare. Soprattutto perché gli uomini di Trump non avevano un piano concreto su come attuare un cessate il fuoco, e si sono limitati a dare per scontato che tutti i dettagli potessero essere affrontati a posteriori. Insomma, la questione è stata presentata a Trump come una facile vittoria.
Cosa che non era.
Il risultato era ovvio: il cessate il fuoco è stato rifiutato. Se al lavoro ci fosse stata gente davvero competente non si sarebbe arrivati a tanto. Nessuno dei funzionari di Trump ha sentito cosa aveva detto Putin il 14 giugno dell'anno scorso, quando aveva esposto con molta chiarezza al Ministero per gli Affari Esteri la posizione russa su un cessate il fuoco, posizione da allora regolarmente ribadita? A quanto pare no.
Eppure, quando l'inviato di Trump Witkoff è tornato dal lungo incontro con il presidente Putin per riferire sulla spiegazione dettagliata fornitagli di persona da quest'ultimo sul perché un qualsiasi cessate il fuoco avrebbe dovuto essere preceduto da un inquadramento politico -a differenza di quanto accaduto in Corea- il generale Kellogg gli avrebbe seccamente ribadito che "gli ucraini non accetteranno mai".
Fine della discussione, a quanto pare. Nulla di fatto.
La situazione è rimasta la stessa, nonostante diversi altri voli diretti a Mosca. A Mosca si attendono conferme sul fatto che Trump è in grado di consolidare la sua posizione e di prendere la situazione in pugno. Fino a quel momento, Mosca è pronta ad agevolare un "ravvicinamento delle posizioni", ma non approverà un cessate il fuoco unilaterale. E nemmeno Zelensky.
A rimanere incomprensibile è come mai Trump non interrompa i flussi di armi e di intelligence statunitensi verso Kiev e non dica agli europei di togliersi dai piedi. Kiev dispone forse di una qualche forma di potere di veto? Gli uomini di Trump non hanno capito che gli europei sperano semplicemente di ostacolare l'obiettivo di Trump, che è quello di normalizzare le relazioni con la Russia? Sarà il caso che comincino a capirlo.
Sembra che il "dibattito" -se così si può chiamarlo- all'interno dell'amministrazione Trump abbia in gran parte escluso i dati reali. Si è svolto ad un livello normativo elevato, dove certi fatti e certe verità sono semplicemente dati per scontati.
Forse ha pesato molto una dinamica analoga al fenomeno dei costi irrecuperabili: più si continua con una linea di condotta -non importa quanto stupida- meno si è disposti a cambiarla. Cambiarla sarebbe interpretato come riconoscere l'errore, e riconoscere l'errore è il primo passo verso la perdita del potere.
E c'è un parallelo nei colloqui con l'Iran.
Trump ha in mente di arrivare a un accordo negoziato con l'Iran che raggiungerebbe il suo obiettivo di un Iran senza armi nucleari. Obiettivo che sarebbe esso stesso tautologico, dato che la comunità dei servizi statunitensi ha già stabilito che l'Iran non possiede armi nucleari.
Come si fa a fermare una cosa che non esiste? Beh, l'intenzione è un concetto estremamente difficile da definire. Quindi, l'entourage di Trump riparte dall'inizio, dal punto fermo originario stabilito dalla Rand Organisation per cui non esiste alcuna differenza qualitativa tra l'arricchimento dell'uranio a fini pacifici e quello a fini militari. Quindi, non dovrebbe essere consentito alcun arricchimento.
Solo che l'Iran l'uranio lo arricchisce, grazie alla concessione di Obama nell'ambito del JCPOA, che lo ha permesso sia pure con alcune limitazioni.
Circolano molte idee su come quadrare il cerchio, ovvero il rifiuto dell'Iran di rinunciare all'arricchimento e l'impossibilità di Trump di usare le parole come armi. Nessuna di queste idee è nuova: importare in Iran materie prime arricchite; esportare l'uranio altamente arricchito dall'Iran in Russia (cosa già fatta nell'ambito del JCPOA) e chiedere alla Russia di costruire l'impianto nucleare iraniano per alimentare l'industria locale. Il problema è che la Russia lo sta già facendo. Un impianto è già in funzione e un altro è in costruzione.
Anche lo stato sionista naturalmente ha avanzato le sue proposte: eliminare alla radice tutte le infrastrutture di arricchimento e le capacità missilistiche dell'Iran.
Solo che l'Iran non accetterà mai.
Quindi, la scelta è tra un sistema di ispezioni e sorveglianza tecnica, implementato in un accordo simile al JCPOA -che non farà la felicità né dello stato sionista né la leadership istituzionale ad esso vicina- o un'azione militare.
Il che ci riporta all'entourage di Trump e ai disaccordi all'interno del Pentagono.
Pete Hegseth ha fatto avere all'Iran questo messaggio, pubblicato su un suo account sui social:
Vediamo il vostro sostegno LETALE agli Houthi. Sappiamo esattamente cosa state facendo. Sapete molto bene di cosa è capace l'esercito statunitense e siete stati avvertiti. Ne pagherete le CONSEGUENZE nel momento e nel luogo da noi scelti.
Chiaramente, Hegseth è un frustrato. Come ha osservato Larry Johnson:
Gli uomini di Trump si sono mossi sulla base di [un'altra] falsa supposizione, ovvero che i collaboratori di Biden non abbiano compiuto seri sforzi per distruggere l'arsenale di missili e di droni degli Houthi. I sostenitori di Trump credevano di poter bombardare gli Houthi fino a sottometterli. Invece, gli Stati Uniti stanno dimostrando a tutti i paesi della regione i limiti della loro potenza navale e aerea... Nonostante più di seicento sortite di bombardamento, gli Houthi continuano a lanciare missili e droni contro le navi statunitensi nel Mar Rosso e contro obiettivi all'interno dello stato sionista.
Pare che gli uomini di Trump si siano prima cacciati in un conflitto con lo Yemen e poi in un negoziato complicati con l'Iran, ancora una volta senza aver controllato di essere tutti d'accordo sullo Yemen. Si tratta davvero di un ragionamento di gruppo?
In una situazione di incertezza come quella attuale, la solidarietà viene vista come un fine in sé e nessuno vuole essere accusato di "indebolire l'Occidente" o di "rafforzare l'Iran". Se devi sbagliare, meglio sbagliare in compagnia del maggior numero possibile di persone.
Lo stato sionista lascerà correre? Sta lavorando alacremente con il generale Kurilla (il generale statunitense al comando del CENTCOM) nel bunker sotto il Dipartimento della Difesa, preparando piani per un attacco congiunto contro l'Iran. Lo stato sionista sembra molto impegnato in questa occupazione.
Tuttavia, l'ostacolo fondamentale al raggiungimento di un accordo con l'Iran è ancora più cruciale, in quanto -così come è attualmente concepito- l'approccio degli Stati Uniti ai negoziati viola tutte le regole su come avviare un trattato di limitazione degli armamenti.
Da un lato c'è lo stato sionista, che ha armi nucleari e la capacità per lanciarle con sottomarini, aerei e missili. Lo stato sionista il ricorso alle armi nucleari lo ha anche minacciato, sia recentemente a Gaza sia durante la prima guerra in Iraq, in risposta ai missili Scud di Saddam Hussein.
A mancare, qui, è un minimo di principio di reciprocità. Si dice che l'Iran minaccia lo stato sionista, quando è lo stato sionista a minacciare regolarmente l'Iran. E lo stato sionista ovviamente vuole che l'Iran sia neutralizzato e disarmato, mentre insiste per non dover rendere conto di niente: niente trattato di non proliferazione, niente ispezioni dell'AIEA, nessuna ammissione.
I trattati di limitazione agli armamenti avviati da JF Kennedy e da Krusciov derivavano dal successo dei negoziati con cui gli Stati Uniti ritirarono i propri missili dalla Turchia prima che la Russia ritirasse i propri da Cuba.
Deve essere chiaro a Trump e Witkoff che proposte sbilanciate come quella che rivolgono all'Iran non hanno alcuna relazione con le realtà geopolitiche e sono quindi prima o poi destinate al fallimento. La squadra di Trump si sta mettendo con le spalle al muro da sola, costringendosi ad un'azione militare contro l'Iran di cui poi dovrà assumersi la responsabilità.
Trump questo non lo vuole, l'Iran non lo vuole. Quindi, si è approfondita la questione? L'esperienza dello Yemen è stata presa in considerazione nella sua interezza? Quelli di Trump hanno pensato a qualche via d'uscita? Un modo innovativo per uscire da questo dilemma e di ripristinare almeno in parte una parvenza di trattato di limitazione degli armamenti come lo si intende in modo classico potrebbe essere l'avanzare l'idea, da pare di Trump, che è giunto il momento che lo stato sionista aderisca al trattato di non proliferazione e che sottoponga le sue armi all'ispezione dell'AIEA.
Trump lo farà? No.
Il motivo è ovvio.
La trasformazione degli USA voluta da Trump passa dal ricostruire gli USA innanzitutto.