Da Conflicts Forum, 26 novembre 2016.

Di recente è stata pubblicata una presentazione video in cui compare l'enigmatica figura che sta dietro il trono di Trump: Steve Bannon, il costruttore di inquadramenti intellettuali ed ideologici del nuovo presidente degli Stati Uniti. Il video illustra aspetti fondamentali della visione strategica di Bannon. In un'altra intervista, Bannon definisce in modo schietto la natura del suo rapporto con Donald Trump: "Lui coglie, coglie le questioni con l'intuito," dice. E poi: "Abbiamo forse il più grande oratore dai tempi di William Jennings Bryan, insieme ad un messaggio economico populista e a due partiti politici controllati dai loro finanziatori ad un punto tale che non si degnano neppure di rivolgere la parola al loro pubblico". Però, afferma, "Trump si esprime in un gergo che non ha nulla di politico: comunica con queste persone in modo molto viscerale. Nel Partito Democratico nessuno ha ascoltato i suoi discorsi, quindi nessuno aveva idea del messaggio economico trascinante e vigoroso che stava portando avanti."
In breve, lo stile criptico di Trump tocca corde culturali (e potremmo dire spirituali) rimaste in sordina e quasi dimenticate in almeno la metà del pubblico ameriKKKano; Steve Bannon ha il compito di dare a questi "istinti" una forma sistematica dal punto di vista intellettuale. Il risultato del rapporto tra i due non ha nulla del solito bla bla imporontato al determinismo economico. Si tratta di qualcosa di profondamente radicale e rivoluzionario, ed è necessario comprenderlo meglio a causa della portata di ciò che può implicare. I suoi autori credono chiaramente che questa visione radicale infonderà alla fine una sferzata di energia a tutti, sia alla élite repubblicana che all'elettorato intero. Parlandone alla élite repubblicana Bannon ha detto: "Paul Ryan pensa che tutto quello che Breitbart sostiene, che tutto quello che Steve Bannon sostiene, siano una gran cosa? No. Forse che io penso che tutto quello che [Ryan] sostiene sia una gran cosa? No. Possiamo lavorare insieme, a mettere in pratica le idee che Donald Trump ha per l'AmeriKKKa? Possiamo farlo? Oh sì!"
Primo punto. Trump ha detto nel corso della campagna elettorale che intende comportarsi in modo da unire. Ma non con il compromesso, solo assorbendo gli ex avversari, inviluppandoli nell'"energia" di una rivoluzione globale. Il tutto era nero su bianco, come scrive The Atlantic: "Attorno al 2013 Bannon era convinto che l'unico modo per distruggere la sinistra era una sollevazione populista di un qualche genere, che richiedeva innanzitutto la distruzione dello establishment del partito repubblicano". Tanto per essere chiari, il "vecchio" Partito Repubblicano era uno dei due partiti che Bannion descriveva come "comprati" dai loro finanziatori, e completamente ignaro di quello che stava capitando nel cortile di casa. Adesso pare che Bannon abbia corretto il tiro, prendendo di mira solo alcuni settori dell'apparato repubblicano e dicendo brutalmente che la vittoria di Trump non sarebbe stata possibile senza [l'aiuto] del Comitato Nazionale Repubblicano. Trump è il cavallo di Troia con cui Bannon intende prendere il controllo del Partito Repubblicano, per riplasmarlo come un'ascia per fare a pezzi la sinistra liberal.
L'appiattirsi della élite repubblicana sulla figura di Trump in seguito allo shock elettorale consente a Bannon di concentrare i suoi sforzi sulla lotta vitale di far crescere una risposta democratica determinata e accesamente "non liberale" a decenni di politiche liberali e antipopolari, ricacciando indietro la "guerra delle identità" laica condotta contro il retaggio nazionale, culturale e morale degli ameriKKKani. L'essenza della loro "rivoluzione" è questa: rovesciare "i custodi di una élite corrotta e incompetente e dello stato attuale delle cose". In questo, come nota Michael Wolff, "[Bannon] non potrebbe essere, agli occhi dei liberali, meno rassicurante o più inquietante: pazzescamente intelligente, e ponderosamente dedito all'esatto opposto di ogni concetto e di ogni parola d'ordine liberale".
L'inquadramento ideologico di Bannon emerge dalle sue considerazioni in occasione di una conferenza tenuta in Vaticano nell'estate del 2014. Nella sua presentazione Bannon afferma che a suo modo di vedere il capitalismo si è evoluto secondo tre diverse concezioni. Due di queste, a suo dire, rappresentano una minaccia diretta per la civiltà [occidentale]:
 
La prima è quella del capitalismo clientelare, [o corporativismo, che Bannon condanna senza appello], che rappresenta una brutale fortma di capitalismo che crea ricchezza e valore per un piccolissimo settore della popolazione e che non estende la sua possente creazione di ricchezza tramite una più ampia distribuzione, come invece abbiamo visto accadere nel XX secolo [specialmente negli Stati Uniti].
La seconda, che considero quasi altrettanto pericolosa, è quella che chiamo capitalismo libertario alla Ayn Rand, o della scuola filosofica oggettivista. Attenzione: io sono un grande estimatore dell'ideologia libertaria... Solo che questa forma di capitalismo è piuttosto diversa, quando la si paragona [alla terza forma] a quello che io chiamo "capitalismo illuminato" dell'Occidente ebraico e cristiano. [Il capitalismo oggettivista] è quello che davvero cerca di rendere gli uomini delle merci, di reificare le persone e di usarle.
 
A detta di Bannon il capitalismo clientelare è quello che si riscontra in Russia e in Cina. Bannon chiarisce che il capitalismo in cui le imprese concordano col governo, il "capitalismo" regolatore è nella sua essenza il capitalismo cui pensa il Partito Repubblicano: "La General Electric e le altre grandi imprese che se la intendono con il governo federale non sono esempi di quello che considereremmo capitalismo della libera impresa. Noi stiamo dalla parte dei capitalisti imprenditori, loro no. Loro fanno corporativismo. Vogliono sempre più potere di monopolio, e sono in combutta con il governo per questo." Insomma, il suo fastidio per il Partito Repubblicano è dato dal fatto che il partito avrebbe tradito la "base lavoratrice" plasmata ai tempi di Reagan. Tutti "detestabili" traditi dallo establishment, da quelli che Bannon derubrica a "classe dei finanziatori".
Peggio che mai, la sinistra liberal che costituisce il principale oggetto del viscerale rancore di Bannon sarebbe riuscita ad unire il capitalismo clientelare al pensiero oggettivista di Ayn Rand.A suo dire questo, insieme ad un laicismo culturale militante, ha di fatto messo all'angolo e tolto di mezzo i valori morali (ebraico-cristiani) dell'AmeriKKKa del XIX e del XX secolo:
 
Quando il capitalismo era al suo punto di maggior fulgore, e diffondeva i suoi benefici alla maggior parte del genere umano, quasi tutti quei capitalisti credevano fortemente nell'Occidente ebraico-cristiano. Partecipavano attivamente alla fede ebraica, partecipavano attivamente alla fede cristiana, avevano le loro credenze e la forza delle loro credenze si manifestava nel lavoro che svolgevano. Io penso fosse una cosa di enorme importanza, una cosa con la quale abbiamo davvero perso ogni contatto. Lo vedo nella Wall Street di oggi, lo vedo nella cartolarizzazione di tutto, a tutto si guarda come ad un'opportunità di cartolarizzazione. Le persone vengono considerate merci. Io non credo che i nostri antenati credessero in queste stesse cose.
Ora, negli ultimi dieci giorni [metà novembre 2016, n.d.t.] Wall Street e i mercati finanziari hanno mostrato piena fiducia nel fatto che Trump intenderebbe imporre un allentamento di ogni regola all'industria finanziaria, gratificarla di una diminuzione delle tasse e regalarle una manna di stimoli fiscali. Lo Standard and Poors non fa che salire allegramente dall'inizio del mese.
A prima vista si tratta di una prospettiva plausibile. Si potrebbe anche considerare la carriera finanziaria di Bannon (che ha lavorato per la Goldman Sachs e poi ha fondato una banca di investimenti che è una specie di boutique, la Bannon & Co.) come un attestato sufficiente a far esultare il mondo delle finanze. A farlo, però, si avrebbe torto. Bannon è spicciativo verso Wall Street almeno quanto lo è verso la sinistra. Vuole cambiarne da cima a fondo la cultura che vi è radicata. Come ha raccontato Bannon stesso, fu la grande crisi finanziaria del 2008 a radicalizzare le sue convinzioni. "Negli anni Ottanta la Goldman era come un seminario. Era un'esperienza monastica dove si lavorava come matti, ma era incredibilmente concentrata sul servizio al cliente, sul costruire e sul far crescere le imprese," dice. Secondo Bloomberg, "[Bannon] cambiò radicalmente idea... notando con orrore a come quelle che erano nate come imprese private, come la Goldman Sachs, erano diventate sempre più oggetto di influenze, organismi semipubblici che funzionavano come casino'. "Mi sono rivoltato contro Wall Street per la stessa ragione per cui lo facevano tutti: il contribuente ameriKKKano era costretto a patti odiosi per togliere dai pasticci gente che non lo meritava." Il film documentario di Bannon Generation Zero, del 2010, era una disamina critica del crollo finanziario di due anni prima.
Bannon, insomma, non è uno di quegli "amici" che lesina le critiche a wall Street.
La crisi del 2008, la crisi finanziaria intendo -dalla quale non credo siamo ancora usciti, sia detto per inciso- credo sia stata causata dall'avidità; soprattutto dall'avidità delle banche di investimento. Si pensi alla mia vecchia banca, la Goldman Sachs... Normalmente le migliori banche sono sottoposte ad una leva finanziaria di otto ad uno. Quando scoppiò la crisi del 2008, per le banche d'investimento il rapporto era di trentacinque ad uno. Un tizio di nome Hank Paulson aveva cambiato apposta le regole; Paulson era ministro del Tesoro. Anni prima, quando era presidente della Goldman Sachs, era andato a Washington a chiedere cambiamenti in tal senso. Questi cambiamenti fecero sì che le banche diventassero non delle banche d'investimento vere, ma dei fondi speculativi altamente sensibili ai cambiamenti nella liquidità. Ecco perché, detto esplicitamente, negli Stati Uniti non ci siamo mai davvero ripresi dalla crisi del 2008. Questa è una delle ragioni per cui lo scorso quadrimestre abbiamo avuto una crescita negativa, 2,9% in meno nonostante l'economia statunitense sia molto, molto solida.
Una delle ragioni è che non abbiamo mai identificato ed affrontato alla radice i problemi del 2008; tra questi soprattutto il fatto -pensateci- che nessuna accusa penale è mai stata mossa a nessuno dei banchieri coinvolti nella crisi del 2008. Ma c'è di peggio. A nessuno è stato revocato alcun bonus, alcuna prebenda. Quindi, parte dei principali cespiti della ricchezza che si sono presi nei quindici anni che hanno condotto alla crisi non sono stati per nulla colpiti, e penso che questo rappresenti una parte di ciò che alimenta la rivolta populista rappresentata dal tea party. Quindi penso si possano prendere molti, molti provvedimenti, soprattutto per rimettere in carreggiata le banche e far loro trovare un impiego per la liquidità di cui dispongono. Penso ci sia proprio bisogno di un repulisti generale nei bilanci delle banche.
Inoltre, sono convinto che si debba ripensare tutto quanto e fare in modo che le banche si comportino da banche: le banche commerciali prestano denaro, le banche d'investimento investono nelle imprese, e basta con la tratta di cose come i fondi speculativi e le cartolarizzazioni. Sono diventate delle operazioni di trading e di cartolarizzazione che non fanno rientrare capitali e non fanno davvero crescere le attività e l'economia. Io penso che sia l'intero settore, lo ripeto, è questo, è la crisi finanziaria del 2008 che ha causato questa rivolta populista. Quella rivolta, il suo svilupparsi, il modo in cui la gente se l'è presa con le banche e con i fondi speculativi non sono mai stati tenuti in debita considerazione per le loro conseguenze, ed hanno nutrito molta della rabbia portata avanti negli USA dal tea party.
Oltre al Partito Repubblicano, secondo Bannon anche il mondo finanziario avrebbe bisogno di una bella scossa. Una scossa culturale, oltre che strutturale. Ma a ben vedere neppure questo è il nucleo centrale della rivoluzione di Bannon. Quello che lui (e Trump) sembrano avere in mente non è una rivoluzione soltanto ameriKKKana, ma un rivolgimento mondiale. Le idee di Bannon su chi pottrebbe diventare interlocutore privilegiato per questo rivolgimento planetario fanno pensare che per l'Europa ed il Medio Oriente le conseguenze geopolitiche avranno una portata assai ampia. In primo luogo, Bannon ha detto che "questo movimento" non riguarda l'elezione di un solo individuo, ma rappresenta una rivolta diffusa in tutto il mondo, condotta da gruppi nazionalisti che si oppongono ad una élite globalista. "L'intero movimento presenta un aspetto comune in tutto il mondo... la gente vuole maggior controllo su quanto succede nel proprio paese. E vuole essere molto orgogliosa del proprio paese. Vuole delle frontiere. Vuole sovranità. Si tratta di una cosa che sta capitando ovunque. Lo si nota in Asia, in Europa, in Medio Oriente... e negli Stati Uniti."
In Vaticano nel 2014 un interlocutore aveva chiesto a Bannon se questi disparati movimenti diffusi ovunque (come appena descritto) ricevevano o meno sostegno dalla Russia, e se per caso non facevano che ripetere le idee dei russi; in questo caso si sarebbe dovuto guardare ad essi con preoccupazione. La risposta di Bannon fu molto interessante:
Penso che le cose siano un po' più complesse. Se andiamo a cercare i referenti di alcune di quelle che sono oggi le convinzioni di Vladimir Putin scopriamo che molti di essi si rifanno a quello che chiamo euroasianismo. Putin ha un consigliere che ha presente Julius Evola e vari altri scrittori dell'inizio del XX secolo che sono veri propugnatori di quello che viene chiamato movimento tradizionalista...
Una delle ragioni [per cui molta gente è attratta da simili concetti] è che penano che almeno Putin difenda le istituzioni tradizionali e che stia cercando di farlo da un punto di vista nazionalista. Penso che soprattutto in certi paesi le persone vogliano toccare con mano l'esistenza della sovranità, che vogliano il nazionalismo, che non credano in questa specie di Unione pan-europea o che, nel caso degli Stati Uniti, non credano al governo centrale. Preferirebbero un'entità basata sui singoli stati, quella stabilita dai fondatori all'origine, in cui le libertà erano controllate a livello locale.
Non sto giustificando Vladimir Putin e la cleptocrazia che egli rappresenta... Solo che noi, Occidente ebraico-cristiano, dobbiamo porre attenzione a quello che Putin afferma, finché a cosa rientra nei limiti del tradizionalismo, e soprattutto a ciò che afferma per sostenere il suo nazionalismo... Io penso che i paesi forti e i movimenti nazionalisti forti all'interno di ciascun paese possano essere interlocutori forti, e che l'Europa Occidentale e gli Stati Uniti siano sorti grazie a cose come queste, che sono poi quelle che ci attendono in futuro.
Insomma, Putin è un personaggio piuttosto interessante ed è anche molto, molto, molto intelligente. Lo noto negli Stati Uniti, in cui egli esercita molta attrattiva per i conservatori dal punto di vista sociale con il suo messaggio centrato sui valori tradizionali. Penso che sia una cosa cui dovremmo guardare con molta attenzione. Alla fin fine sono convinto che Putin e i suoi siano davvero una cleptocrazia e che rappresentino un potere imperialista di cui vogliono l'espansione. Nella situazione attuale comunque, in cui siamo davanti ad un nuovo califfato potenziale molto aggressivo -non è per metterli in secondo piano, ma la situazione oggi come oggi è questa- penso che per prima cosa si debba pensare a questo.
Due considerazioni, innanzitutto. La prima è che Bannon già nel 2014 e prima di far riferimento a Putin aveva illustrato al proprio pubblico che "ci troviamo in guerra contro il fascismo dello jihadismo islamico. Io penso che questa guerra stia producendo metastasi molto più velocemente di quanto il governo possa contrastarle". E poi continuava: "Io credo che verso l'Islam radicale si dovrebbe assumere un atteggiamento molto, molto aggressivo... Se considerate la lunga storia della lotta condotta dall'Occidente ebraico-cristiano contro l'Islam, penso che i nostri antenati siano stati coerenti, e penso che abbiano fatto la cosa giusta. Io penso che lo abbiano tolto dal mondo, che fosse a Vienna, a Tours o in altri luoghi". Quello che Bannon sembra suggerire è che il signor Putin e la Russia potrebbero benissimo essere degli alleati per questa "guerra".
In secondo luogo, Bannon ci dice che il signor Putin è "un personaggio interessante" e molto intelligente, e che bisogna considerare con attenzione le sue radici culturali e comprenderle. Bannon cita Julius Evola, un filosofo italiano, e il movimento tradizionalista dei primi anni del XX secolo. Bene, sia Evola che i tradizionalisti presentano aspetti che potrebbero ben accordarsi a Trump e a Bannon. Evola era radicalmente e cocciutamente antiliberale, e definiva il proprio punto di vista come maschile, tradizionalista, eroico e schiettamente reazionario. I tradizionalisti nel loro complesso inoltre pensavano che il difetto sostanziale del mondo moderno si trovasse nella sua negazione di una sfera metafisica all'esistenza umana e nella conseguente reificazione dell'essere umano. Un tema, questo, fondamentale in Bannon.
Se le radici culturali del Presidente Putin siano davvero queste, è materia che va oltre la questione. Bannon pensa di sì e, sia pure per allusioni, afferma che esiste qualcuno (il signor Putin) che condivide le nostre pulsioni istintuali e che sta combattendo il radicalismo islamico; qualcuno che "ci prende", al pari di Bannon e Trump, vale a dire qualcuno che comprende il movimento reazionario populista che interessa tutto il mondo, e che considera preziosi il concetto di sovranità e quello di nazione, non quello di globalismo, come essenziali per l'ordine internazionale. "Io penso che questo [inquadramento] possa portarci avanti", afferma Bannon. In altre parole, Bannon vedrebbe la Russia come interlocutore della "rivoluzione" di Trump, almeno in Europa.
Bannon ha ammesso che "sarà una lotta odiosa, lunga, estenuante". In un discorso in una riunione di conservatori ameriKKKani tenutasi nel 2013, affermava che "In questa città (Washington) esiste una tenace classe politica che comanda qui e che comanda in tutto il paese. Ed esiste un gruppo di libertari, di conservatori radicali, di conservatori del Tea Party e di conservatori favorevoli al concetto di governo limitato che sono qui per distruggerla. Sarà un brutto e duro lavoro, ma la realtà è questa. La gente non molla facilmente i propri privilegi".
Un'alleanza tra Stati Uniti e Russia, pur di limitata portata a causa delle inconciliabili divergenze che esistono tra le due parti, costituirebbe un grosso cambiamento per l'Europa sempre che si riesca ad arrivarci. Cambierebbe la carta geografica. Il bilancio dei poteri in Europa, che risale alla seconda guerra mondiale, ne risulterebbe rovesciato. Ed una guerra congiunta contro l'"Islam radicale" influirebbe per forza di cose sul quadro di alleanze che l'Occidente ha in Medio Oriente. Il Presidente Putin accoglierà di buon grado una rivoluzione di questo genere? Penso che si comporterà in modo molto cauto perché il cambiamento di rotta di Trump potrebbe essere inficiato, e piuttosto alla svelta, dalla crisi finanziaria. Il signor Putin cercherà di capire meglio quale potrebbe essere l'impatto di una simile concezione del mondo sui suoi rapporti con la Cina e con il Presidente Xi. E cercherà anche di capire meglio cosa pensi il signor Trump dell'Iran, che nella guerra contro l'Islam radicale rappresenta un attore di primo piano.
E se la "rivoluzione" di Bannon e Trump dovesse in qualche modo fallire? L'opinione corrente è che quelli di Davos si riprenderebbero la scena. Ma io sono scettico. Penso, come il dottor Paul Craig Roberts, che se Trump fallisce ci troveremo davanti ad una pesante ondata radicale.