Lo stato sionista è in un vicolo cieco e la cosa sta diventando molto chiara a molti suoi cittadini. Un corrispondente sionista (ex segretario governativo) descrive la situazione: 
Il significato della défaillance del 7 ottobre non sta solo nella perdita di vite umane... ma soprattutto nel fatto che potrebbe cambiare la percezione dello stato sionista... e gli attori mediorientali potrebbero smettere di considerarlo come una realtà temibile.
La leadership dello stato sionista deve comprendere che non possiamo più accontentarci di un qualche "senso di vittoria" diffuso tra l'opinione pubblica... È dubbio che la vittoria a Gaza sia sufficiente a riportare il timore verso lo stato sionista ai livelli di cui godevamo presso i nostri nemici. Una vittoria che si riduca alla mera liberazione dei prigionieri e a iniziative di fiducia per la creazione di uno Stato palestinese non sarebbe sufficiente a rafforzare l'immagine dello stato sionista in questo senso.
Se il pantano di Gaza... porta la leadership [dello stato sionista] a rendersi conto che non è in grado di riportare su questo fronte una vittoria netta, del tipo in grado ci portare a un cambiamento strategico nella regione, essa deve prendere in considerazione la possibilità di cambiare fronte e riaffermare la deterrenza dello stato sionista tramite la cancellazione della minaccia strategica in Libano ... la vittoria contro una delle organizzazioni terroristiche più ricche e potenti del mondo -Hezbollah- può ripristinare la situazione della deterrenza nella regione in generale... Lo stato sionista deve cancellare la minaccia dal nord e smantellare la struttura di potere che Hezbollah ha costruito in Libano, indipendentemente dalla situazione al sud.
Ma senza una vittoria a sud, un risultato significativo a nord diventa molto più importante.
 La citazione di cui sopra va direttamente al cuore della questione. Ovvero: "Come si può salvare il sionismo?". Tutte le altre chiacchiere dei leader mondiali sono in gran parte fumo. Non solo Gaza NON sta rassicurando i sionisti del fattoche stanno vincendo ma anzi, tra loro sta ampiamente proliferando una rabbia violenta per una inattesa e vergognosa sconfitta.
Alcuni membri del governo di guerra (ad esempio Eisenkot) pensano che lo stato sionista dovrebbe guardare in faccia la realtà: dovrebbe capitolare a Hamas, dare una possibilità a un cessate il fuoco, rilasciare i palestinesi incarcerati e salvare gli ostaggi detenuti a Gaza:
Penso che sia necessario essere coraggiosi, e dire che è impossibile riportare indietro vivi gli ostaggi in un prossimo futuro senza un accordo [per il cessate il fuoco]; chiunque stia mentendo al pubblico sta mentendo, e basta.
Ma questo non è il sentimento predominante tra i cittadini dello stato sionista. L'ultimo sondaggio di Peace Index riflette la cupezza dilagante: il 94% degli ebrei pensa che o stato sionista abbia usato la giusta quantità di potenza di fuoco a Gaza (o "non abbastanza", per il 43%). Tre quarti di tutti i cittadini dello stato sionista pensano che il numero di palestinesi feriti da ottobre in poi sia giustificato rispetto al raggiungimento degli obiettivi; ben due terzi degli intervistati ebrei affermano che il numero di vittime è decisamente giustificato; solo il 21% lo considera "un po'" giustificato.
Il vero prezzo che lo stato sionista pagherà, tuttavia, non è semplicemente il rilascio dei prigionieri palestinesi (anche se già questo di per sé creerebbe sommosse fra la popolazione); piuttosto, esso consiste nel timore che l'acquiescenza verso le richieste di Hamas segnerebbe la fine del paradigma securitario dello stato sionista. Questo paradigma prevede una sorta di "contratto" di spirito quasi religioso per cui gli ebrei godranno di totale sicurezza in ogni punto della terra d'Israele. I termini del contratto contemplano la piena sovranità e protezione a tutela degli ebrei, contro l'imposizione ai non ebrei -ovvero ai palestinesi- di una elaborata matrice di radicale insicurezza dello spazio e dei diritti. Ecco in cosa consisteva il paradigma universale alla base della sicurezza degli ebrei.
Fino al 7 ottobre.
Gli eventi di quel giorno hanno dimostrato che gli ebrei dello stato sionista non sono più sicuri all'interno del territorio dello stato e che il modo sionista di intendere la questione della sicurezza, deve essere ripensato o abbandonato per forza di cose. Questa consapevolezza ha portato alla nascita, sul piano psicologico, a una massiccio e diffuso senso di insicurezza. Come nota Moshe Zimmermann, professore emerito di storia all'Università Ebraica:
La soluzione sionista non è una soluzione. Stiamo arrivando a una situazione tale che il popolo ebraico che vive in Sion vive in condizioni di totale insicurezza... dobbiamo renderci conto del fatto che sul piano della sicurezza lo stato sionista sta peggiorando la situazione degli ebrei della diaspora, piuttosto che il contrario. La soluzione sionista presenta gravi difetti, e dobbiamo pensare a cosa l'abbia resa tanto difettosa.
Il dibattito minoritario di oggi sul concetto dei due Stati non può rappresentare "una soluzione" alle attuali tensioni, ed è fallace. Questo, scrive l'eminente opinionista Alon Pinkas, la Casa Bianca e Netanyahu lo sanno. È fallace perché lo zeitgeist nello stato sionista, la paura a livello di psicosi e la voglia di vendetta la rendono irrealiszzabile, perché i coloni zeloti non se ne andrebbero senza versare fiumi di sangue, e perché l'esistenza di due Stati per la maggior parte dei cittadini sionisti minaccerebbe la fine del sionismo, poiché il gruppo dei non ebrei insisterebbe sulla parità dei diritti, ovvero sulla fine delle prerogative di riguardo, nella popolazione, per un gruppo (gli ebrei) a scapito di un altro (i non ebrei - cioè i palestinesi).
Anche l'idea di un accordo di normalizzazione tramite l'Arabia Saudita è priva di fondamento. L'Arabia Saudita è vincolata dall'Iniziativa di pace araba del 2002 da essa stessa condotta, e che prevede uno Stato palestinese come pre-condizione per la normalizzazione. Inoltre, non è certo facile procedere a una ricostituzione dell'Autorità Palestinese intesa come una Vichy dello stato sionista addetta alla vessazione degli stessi palestinesi. Allora, come mai tanti discorsi sulle "soluzioni", scollegati dalla realtà politica?
Il fatto è che questo dibattito fa comodo sia a Biden che a Netanyahu. L'amministrazione Biden sta cercando di limitare i danni. La Casa Bianca spera, con questo atteggiamento, di fermare il deflagrare bellicista sollevato dall'assalto a Gaza e di far scivolare impercettibilmente la situazione verso quella "tranquillità" a livello regionale che essa ritiene "appropriata" per un anno in cui ci sono le elezioni.
A tal fine, i discorsi sulla normalizzazione tramite l'Arabia Saudita e sui due Stati sono "pacificatori" (anche se infondati) e possono dare l'idea che Biden stia in qualch emodo controllando il conflitto per evitare che si allarghi. Da parte sua, Netanyahu può sfoggiare quale forte e coraggioso guerriero egli sia opponendosi agli Stati Uniti e dicendo di no a un qualsiasi Stato palestinese.
Ma la realtà è che lo stato sionista si trova in un vicolo cieco che per giunta si fa sempre più stretto. La situazione prende sempre di più i tratti della tragedia, e di una tragedia non certo nata per caso. Tutto questo accade perché doveva accadere, per la natura dei partecipanti, perché gli attori coinvolti lo fanno accadere. E non hanno altra scelta che farlo accadere perché, beh... perché questa è la loro natura.
La situazione è quella descritta da Ted Hughes, il poeta laureato britannico, che scrisse del violento conflitto religioso nell'Inghilterra elisabettiana causato dalla soppressione calvinista e puritana del vecchio cattolicesimo. In Hughes la "Dea delle precedenti credenze pagane" -ancora animata da naturali energie umane ancora intatte- alla fine irrompe feroce e distrugge l'eroe puritano.
Si sostituisca la soppressione puritana con un infuriato Geova che aborre l'antico immaginario e l'antica civiltà islamica (per il suo presunto tradimento e odio letale verso Israele) per adeguare al contesto la "verità" di Shakespeare.
Il leitmotiv di Ted Hughes è quello della storia dell'Inghilterra come fardello della colpa protestante.
Shakespeare, scrive, era perseguitato dalla sensazione che non molto tempo prima l'Inghilterra fosse un Paese cattolico che "si era indurito nel protestantesimo". Nel poema Il ratto di Lucrezia l'anima del re romano che ha perpetrato lo stupro di Lucrezia si trova deturpata, e in ultimo il re perde tutto e viene bandito, a causa delle sue stesse azioni. La pura Lucrezia finisce per suicidarsi.
Ecco il punto: Ted Hughes ha scritto che tra i miti in competizione all'epoca di Shakespeare Tarquinio (il re romano) rappresenta "il puritano adoratore di Geova"; il suo mito della creazione gli dice che è il Dio trascendente e onnipotente a sussistere, non l'altra divinità. Il re romano si propone zelante di distruggerla dato che essa rappresent l'altro. Solo che queste mutevoli e proteiformi forze puritane si rivelano alla fine autodistruttive.
Biden ha abbracciato (per così dire) l'impulso ebraico diretto ad annientare la violenta "alterità" che erompe da Gaza, ma è presumibile che si renda conto di come in questo modo si sia trovato a superare un invisibile limite morale. È complice dei crimini che hanno colpito Gaza. Deve assumersi una parte di colpa. Eppure deve continuare su questa strada. Non ha scelta. Deve lasciare che Gaza (e probabilmente anche in Libano) tutto si compia. Perché questa è la natura di Biden.
E Hamas e Hezbullah non possono ritirarsi, perché sono state scatenate energie collettive a lungo represse. È troppo tardi per fermare l'impulso rivoluzionario. Un impulso che si sta allargando alla Cisgiordania, allo Yemen, all'Iraq e anche oltre. I porti dello stato sionista adesso sono circondati e sotto assedio missilistico.
Netanyahu al contrario, temendo la crescente prospettiva di una disfatta a Gaza, si è spinto fino ad adottare la modalità dell'eroe classico. Da un lato, può essere definito in senso stretto come quel genere di mito che celebra l'ascesa di un eroe maschio che parte per una missione, affronta per via ostacoli terrificanti, e che dimostra il suo coraggio in combattimento tornando infine a casa accolto da ovazioni. Dall'altra parte, però, nella narrazione di Omero gli eroi con lo status più elevato sono anche quelli più vulnerabili alla vergogna. Qualsiasi affronto, qualsiasi rovescio può minacciare l'intera identità di un leader e anche la sua posizione agli occhi dei suoi pari. Coloro che godono dello status più elevato possono essere quelli che più subiscono danni in caso di sconfitta. Ettore resiste agli appelli degli amici e della famiglia a non andare in guerra, e va incontro alla morte. La sua solitudine e la lontananza dai suoi cari aggiungono pathos agli strazianti momenti che precedono la sua morte, quelli in cui si rende improvvisamente conto che gli dei lo hanno ingannato e condotto al suo destino.
È questo il destino di Netanyahu? Gli dei lo stanno portando alla tragedia? Di certo lo hanno messo in un vicolo cieco. Una sconfitta a Gaza significherebbe la sua rovina, e lo stato sionista non sta riportando a Gaza una vittoria netta al punto da portare a un cambiamento strategico nella regione. Netanyahu è sotto pressione affinché consideri la possibilità di cambiare fronte per riaffermare la deterrenza dello stato sionista tramite l'eliminazione della minaccia strategica in Libano. In questa situazione lo stato sionista non può accontentarsi di niente di meno che di una vittoria, si fa presente a Netanyahu.
Nir Barkat, ex sindaco di Gerusalemme e favorito per la successione a Netanyahu come leader del Likud, ha affermato che lo stato sionista può permettersi di continuare a combattere e di aprire un nuovo fronte con il Libano, nonostante il conflitto costi ogni giorno miliardi di shekel (duecento milioni di sterline).
Barakat ha detto che la crisi, per quanto grave, 
è anche una grande opportunità: L'Iran è un obiettivo legittimo per lo stato sionista. Non la faranno franca. La testa del serpente è Tehran... Lo stato sionista si sta avvicinando a una guerra totale con Hezbollah nel sud del Libano, dopo aver evacuato il nord del paese.
Qualunque ne sia il costo... questa è una guerra di religione.
 Quindi si sta concludendo la seconda fase della guerra, e si sta aprendo la terza. L'intensità del conflitto allargato probabilmente impennerà, innescata da un cambiamento di status nel ruolo di Hezbullah: sarà un intervento dello stato sionista a dare il via, o sarà Hezbollah a fare la prima mossa? Biden autorizzerà il coinvolgimento degli Stati Uniti nel sostegno allo stato sionsita? Probabilmente sì, perché è nella sua natura sostenere lo stato sionista. Ma fino a che punto si spingerà?
I palliativi politici -le "soluzioni" politiche che si prospettano- lasceranno il posto a un dibattito dai toni più duri su come fare per far rispettare il cessate il fuoco. Questa incombenza probabilmente passerà da un'ONU ingesssata alle strutture più informali dei BRICS, con Russia e Cina che svolgeranno un ruolo preponderante e diretto. L'Europa sarà afflitta dalle spaccature, e anche gli Stati Uniti, sia pure in minore misura. Questa fase successiva probabilmente si protrarrà senza costrutto durante il processo in cui tutte le parti metteranno alla prova le rispettive forze contro l'altra. Questo sarà il momento in cui la coesione sociale dello stato sionista sarà messa a dura prova. Riusciranno a farla reggere? Le fondamenta del sionismo saranno riconfigurate? Il sionismo sarà costretto ad abbandonare le radici che ha in Jabotinsky?
Sarà anche il momento in cui la supervisione ebraica sulla matrice politica occidentale degli Stati Uniti e dell'Europa dovrà lottare per comporre la tenzone fra due miti i cui poli energetici in conflitto finiranno per distruggere l'ordine sociale mentre l'uno o l'altro dei principali attori del conflitto fa le spese di una tragedia inevitabile.
La rivoluzione e le guerre culturali non sono eventi limitati nel tempo; essi riguardano tanto il prima dell'evento (cioè il conflitto incombente), quanto il dopo.
Tuttavia se l'idea di Ted Hughes secondo cui l'equazione tragica di Shakespeare è quella in cui narrazioni archetipiche in competizione -con le loro energie che si scatenano in modo esplosivo- finiscono per sfociare in una tragedia violenta è corretta, allora dovremmo aspettarci che la rappresentazione attualmente in atto del mito-creazione ebraico contro l'intero panorama culturale della civiltà islamica abbia un impatto epocale sia negli USA che in Europa, ben oltre i dettagli del conflitto in corso in Medio Oriente.
Diventerà il perno della nuova era.
Infatti, i miti fondanti associati alla puritana repressione di Geova da un lato, e al rilascio delle energie della resistenza dall'altro, attraversano l'esistenza umana come una doppia elica. Essi stanno già traboccando nelle attutite ma ancora esistenti sensibilità religiose occidentali. Esse attraverseranno gli analoghi della "rivoluzione" e della "guerra civile" in atto in Occidente.